Fraud Street, ovvero “La trappola” economica

ROMA – “Fraud Street”, la “via degli imbrogli”, così era stata ribattezzata nel 2008 Wall Steeet dal New York Post  l’arteria viaria situata nel quartiere di Manhattan che ospita la prima sede della Borsa finanziaria di New York. Chiusi nei grattacieli/fortezze che fiancheggiano questa strada gli uomini grigi dell’alta finanza giocano d’azzardo usando come fiches gli esseri umani.

Protetti da una cultura costruita su assunti religiosi i Signori dell’economia liberista si credono predestinati da un potere divino a guidare il mondo con il loro pensiero tossico imbevuto di alienazione religiosa.

Questo era, e lo è ancora, lo scenario che probabilmente ha fatto reagire la mente dell’autore del libro “La trappola – Radici storiche e culturali della crisi economica”, edito da L’asino D’oro Edizioni.
“Eppur si muove”: mentre la cultura dominante e la politica mostrano la loro impotenza di fronte a questa crisi economica, e le Banche mondiali con propri governi tecnici mettono le mani direttamente nelle tasche dei cittadini per prelevare gli ultimi spiccioli rimasti, c’è qualcuno che pensa, che vede, che elabora e poi racconta.

Andrea Ventura, l’autore del libro, è ricercatore presso la Facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze ed insegna Economia per le scienze sociali, e da anni studia in modo interdisciplinare il rapporto tra scienza e metodo con riferimento alla teoria e alla storia del pensiero economico. Ventura per raccontare la crisi che sta sradicando le fondamenta su cui si appoggia, oggi, la nostra società parte da molto lontano: parte da territori inesplorati dagli economisti proni, nonostante la catastrofe imminente, ad adorare le stesse divinità che hanno causato la crisi.
Ventura nella premessa scrive che “ … un devastante sodalizio tra teorie economiche errate e gruppi di potere economico e finanziario continua a costituire l’orizzonte all’interno del quale vengono definite le politiche pubbliche per arginare la crisi. Essendo questo sodalizio il risultato del percorso storico che l’ha generata, non si può essere ottimisti sul futuro”. Questa crisi, avverte Ventura, “contiene in sé qualcosa di più profondo. Quella che stiamo attraversando, infatti, può essere considerata una ‘crisi antropologica’, cioè la crisi di un’identità che si definisce nel rapporto razionale, utilitaristico, con gli oggetti materiali, e che è priva della possibilità di sviluppare un discorso coerente sulle questioni direttamente attinenti alla socialità”.
Ciò significa che è inutile sperare che chi ha creato questa crisi la faccia finire, perché la crisi è sistemica; quindi per uscirne si devono giocoforza ridefinire tutti i parametri sociali e politici mettendo in condizione di non nuocere quegli individui malati di bramosia che distruggendo la società si pongono da soli al margine di essa.
Questi individui, che si possono definire ‘asociali’, continuano in nome dell’utilitarismo ‘visto’ come unico propulsore del benessere sociale, a devastare la società che ormai, come mostra un grafico a pag. 236, è unita a livello globale dalla velocità dei trasporti.

Partendo da questi presupposti l’economista, usando anche strumenti inconsueti come l’antropologia, la politica e la psichiatria, scava nel passato e nel presente e fa emergere nessi sprprendenti. Nel primo capitolo dal titolo “Alienazione economica e alienazione religiosa” l’autore mette il luce l’assoluta contiguità e tacita complicità storica tra religione e ragione: “ … l’arricchimento materiale, procedendo senza fratture sul suo fondamento cristiano, ancora oggi mantiene una funzione di compensazione per la rinuncia nel presente in vista della vita dopo la morte, oppure tenta malamente di coprire il vuoto a essa connesso”. Vale a dire che le dottrine salvifiche cristiane che sviliscono la vita umana offrendone ‘una migliore’ dopo la morte, si sono insinuate nella cultura capitalista che offre luccicanti oggetti inanimati chiedendo in cambio l’impoverimento dell’essere che presuppone l’annullamento del rapporto con l’altro da sé. L’altro da sé viene spogliato culturalmente delle proprie caratteristiche umane per poter poi essere sfruttato come un oggetto della natura.

Ci fermiamo un momento per avvertire il lettore che le poche parole che possiamo scrivere su questo preziosa opera dell’economista Andrea Ventura, mostrano solo la crema che fluttua su pensieri ben più densi.

Il testo si chiude con un capitolo dal titolo “La società diversamente ricca e la distinzione tra bisogni ed esigenze”. Il capitolo, riassume la pars construens della tesi del libro, mostrando come in un recente passato si fossero sviluppate delle ricerche che facevano intravedere delle soluzioni alla crisi antropologica che già presentava le sue prime pericolose avanguardie.
Ventura comincia il capitolo con il pensiero di due politici, Enrico Berlinguer e Riccardo Lombardi, per poi andare ulteriormente a fondo nella sua profonda ricerca sulle cause della crisi.

Berlinguer parlava di “austerità” con queste parole: “Il socialismo non significa ascetismo. Sostenere un simile argomento sarebbe ridicolo e reazionario. L’uomo è fatto per esser felice: solo che non è necessario, per essere felici, avere l’automobile …. Oltre un certo limite materiale le cose materiali non contano gran che; e allora la vita si concentra nei suoi aspetti culturali e morali. Noi vogliamo che la nostra vita sia una vita completa, multilaterale, ricca e piena, una vita nella quale l’uomo esprima tutti i suoi valori reali”.

Il socialista Lombardi, con la sue idee per una “società diversamente ricca”, non si allontanava molto dai pensieri del segretario del Pci: “I socialisti – scriveva Lombardi in “Politica economica e sinistra italiana”  –  vogliono la società più ricca perché diversamente ricca: è il tipo di benessere, cioè il tipo di consumi, che noi vogliamo cambiare. (…) La nostra lotta è contro la società affluente e il benessere, non già perché non vogliamo il benessere, ma perché vogliamo un certo tipo di benessere, non quello che domanda tremila tipi di cosmetici, ma quello che domanda più cultura(…) più capacità degli operai di leggere Dante e apprezzare Picasso”.

Inutile dire che la società liberista/capitalista/globalizzata, non ha tenuto conto dei suggerimenti dei due politici di sinistra.  Ha continuato invece, accelerando ulteriormente, ad andare nella direzione opposta distruggendo le ultime risorse del pianeta terra.
Scrive Ventura: “Negli anni in cui all’interno della sinistra si ponevano i problemi che abbiamo esaminato, lo psichiatra Massimo Fagioli, in un volume pubblicato nel 1980, (Bambino donna e trasformazione dell’uomo N.d.R.) sviluppava una serie di considerazioni che hanno importanti implicazioni sulle problematiche che stiamo esaminando”. Inoltre alla luce della “Teoria della nascita”  di Massimo Fagioli è necessario ridiscutere “il ruolo che l’economia può svolgere per il benessere umano” in quanto questa deve coincidere con una ricerca che sottragga “la realtà non materiale umana all’influenza della religione”.
Se l’alienazione religiosa e l’alienazione economica hanno punti di coincidenza nefasti ci si deve liberare in primis dall’alienazione religiosa perché altrimenti questa risorgerà ogni volta come un mostro dalla mille teste per impedire la piena realizzazione umana e quindi sociale. Realizzazione umana e di identità che non hanno nulla a che fare con il possesso di oggetti inanimati ma, al contrario, coincide con la piena realizzazione del rapporto con l’altro da sé.

Massimo Fagioli: “Se [il bambino] si limitasse a vedere la ‘realtà della situazione vissuta immediatamente alla nascita, cioè il suo rapporto con gli oggetti inanimati, sbaglierebbe pensando che il senso del suo essere al mondo stia in rapporto con oggetti inanimati e non nel rapporto interumano”.
(…) Il rapporto uomo-natura va superato per la realizzazione del rapporto interumano. Il rapporto uomo-natura rapportato, anche in parte, al rapporto interumano, diventa violenza dell’uomo sull’uomo. Il rapporto uomo-natura mira alla soddisfazione dei bisogni degli uomini. Non può essere la stessa cosa nel rapporto interumano, pena l’omicidio, lo schiavismo, lo sfruttamento. (…) La soddisfazione dei bisogni non ha posto nel rapporto interumano. Essa ha sempre portato gli uomini allo sfruttamento dell’uno sull’altro, a fare di una parte dell’umanità un gregge di animali per la sopravvivenza degli altri.”

Come dice spesso lo psichiatra dell’Analisi collettiva, sono tutto sommato pochi i violenti che ‘vedono’ nell’altro da sé un oggetto inanimato da sfruttare. Purtroppo nella storia questi pochi hanno saputo accecare le moltitudini: vedi il ventennio berlusconiano.
Ma non ci sono solo berluscones griffati e grillini rampanti in giro: “Oggi un gruppo di persone sempre più numeroso,  con una fisionomia ben definita, – scrive Ventura nell’ultima pagina del suo splendido lavoro – sta svolgendo un percorso di ricerca complesso e articolato che investe discipline diverse. (…) Non deve neanche sorprendere che queste ricerche siano proposte con la fiducia che possano essere raccolte e approfondite, affinché si sviluppi e si diffonda una cultura in grado di contrastare quel ‘pensiero unico’ sulla realtà umana di cui gli esiti disruttivi della crisi economica costituiscono solo l’aspetto più superficiale”.

Scheda
Titolo: LA TRAPPOLA – Radici storiche e culturali della crisi economica.
Autore: Andrea Ventura
Editore: L’asino D’oro Edizioni –

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