Le “carte segrete” di Bettini e il viaggio di Wittgenstein

ROMA – “Il linguaggio è un labirinto di strade”, scriveva Ludwig Wittgenstein. “Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo stesso punto da un’altra parte e non ti ci raccapezzi più”. Leggendo l’ultima fatica editoriale di Goffredo Bettini, Carte segrete, un’intervista di Carmine Fotia, pubblicata da Aliberti, ascoltandone le presentazioni pubbliche, conversando criticamente con amici e compagni, la sensazione che ci si trovi dinanzi a una storia con più strade è forte.

E forte è anche il senso di dis-orientamento che essa induce, quel dis-orientamento felice e probabilmente cercato che costringe il lettore a dirsi “non mi ci raccapezzo”, nel senso di Wittgenstein, pur essendo giunti alla meta, da una molteplicità di strade. E qui la meta, tanto per Goffredo Bettini che per Carmine Fotia, che lo intervista da giornalista di grande talento, è la restituzione alla politica, alla vita politica, del senso in qualche modo perduto. Dunque, nel racconto di sé di Goffredo Bettini, si può ritrovare quella chiave “segreta”, che apre tante porte, ma a patto di stare al gioco wittgensteiniano del disorientamento e dello spaesamento. È una sorta di patto col lettore, più o meno impegnato, per il quale la costruzione del senso e dei significati delle “carte segrete” di Goffredo Bettini assume valore universale, in quel viaggio che non ti aspetti, la cui meta è una sola, ma le cui strade sono davvero molteplici.
In occasione di una delle tante presentazioni pubbliche di Carte segrete, questo straordinario gioco wittgensteiniano è emerso in modo tanto naturale, quanto provocatorio, nel senso della densità della riflessione collettiva. Si era in una sede universitaria prestigiosa, in una biblioteca (e qui si potrebbero sprecare perfino metafore borgesiane sul viaggio del lettore, dove la meta è sempre lo spaesamento), e con invitati di spessore. Nella biblioteca della Link Campus University è andato dunque “in scena” il confronto tra Goffredo Bettini, Vincenzo Scotti, presidente di quell’Ateneo, e Gianni Pittella, vicepresidente vicario del Parlamento Europeo. Non è stata una presentazione qualunque. Anzi, ha dominato il confronto che non ti aspetti, serio, rigoroso, puntuale, provocatorio. Il domandarsi cruciale si prestava alle esperienze comuni dei tre interlocutori, non a caso provenienti da tradizioni politiche diverse: cosa è davvero accaduto in questi anni alla politica, al suo pensiero pubblico, tanto da aver smarrito il senso originario?

Così si è dato inizio a quel viaggio, costituito da strade molteplici, ma con una meta comune. La strada indicata da Gianni Pittella è segnata dalle indicazioni della Sinistra di tradizione socialista democratica ed europea. In essa si legge il monito di Norberto Bobbio, per il quale vale la pena riflettere sulla sostanza di una differenza culturale con la Destra, o con le Destre, nazionali ed europee: la Sinistra è la lotta per l’uguaglianza, formale e sostanziale, di ogni cittadino; la Destra è la certificazione, per diritto, del privilegio. Si va su questa strada, ha detto Pittella, “che ricostruisce quel respiro e quella visione che tanto mancano nell’attuale politica italiana, dominata e ridotta a vuoti tatticismi”. E questa strada, conduce dunque alla riforma della politica, attraverso una difficile battaglia delle idee all’interno del Partito Democratico, alla cui segreteria Pittella si è candidato. Ed eccola la meta, che egli condivide con Bettini, restituire alla politica il senso perduto, mediante la ricostruzione di un grande partito di massa.

La seconda strada di quel viaggio: la testimonianza di Vincenzo Scotti, in passato più volte ministro e uno dei leader storici della Democrazia Cristiana. In questo itinerario, è prevalsa la ricerca della condizione umana del Goffredo Bettini politico, con una indicazione precisa di alcune pagine pregnanti del libro. “Le più belle”, ha detto Vincenzo Scotti, “sono quelle in cui si racconta e si riflette sugli anni della sua depressione. Un uomo politico non è un robot. Egli è parte di quella condizione umana che viene intepretata dal pensiero religioso cristiano come mistero e come limite. Il mistero del senso ultimo della vita. Il limite della sua naturale condizione di creatura”. Per questo, ha sostenuto Vincenzo Scotti, la politica è nella sua crisi più spaventosa, perchè non sa, o non vuole, misurarsi con la crisi d’identità più ampia della convivenza urbana, della prevalenza dell’individuo sulla comunità, con la crisi della democrazia messa in discussione da moderne e recentissime esperienze neoautoritarie. Quale la meta suggerita da Scotti? Intanto, egli ha indicato ai giovani studenti la strada della sfida alla modernità. “Non sono pessimista, sul presente e sul futuro: dico ai giovani che sono chiamati a vivere in un’epoca straordinaria, ma devono affrontare la sfida, senza lasciarsi prendere dalla paura”. Ma qui, la sfida di Scotti è anche al modernismo: “stiamo ripetendo errori già compiuti in passato, pensare che le riforme, istituzionali e di sistema, siano il frutto di tecniche, piuttosto che di riflessione politica. La politica ha la missione di ricostruire le identità perdute: quella comunitaria, e quella della convivenza urbana, su tutte”. La meta è dunque la ricostruzione del senso della politica come ripresa dell’identità comunitaria smarrita.

Il terzo itinerario: il racconto di Goffredo Bettini. “Sono arrivato alla politica da giovane più per esperienze psichiche che per convincimenti ideologici”, ha detto, per motivare la sua lunga stagione nel Pci, dopo il decisivo incontro con Pietro Ingrao. L’esperienza psichica genera passioni, e le passioni generano convincimenti e impegno esistenziale. In parte, era questo che alla generazione di Bettini veniva consegnato dal pensiero e dall’esperienza antifascista: la passione per la democrazia  e per gli ultimi, oppressi e diseredati. Una passione, ha detto Bettini, che oggi trova perfino una spiegazione nelle scienze neurobiologiche con la scoperta dei neuroni specchio, i quali, pare, giustificano le forme di empatia. Insomma, la strada indicata da Bettini, nel libro e nella conferenza di presentazione alla Link Campus Universty, conduce alla meta della ricostruzione della comunità politica, come comunità di destino, nella quale prevalga il senso di ciò che Elias Canetti chiamava, in Massa e Potere, “la soddisfazione del sopravvissuto”. Dal labirinto di Wittgenstein, in un giorno della primavera romana, è emerso lo spaesamento positivo, grazie a tre protagonisti della nostra vita pubblica.
 

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