Corrado Augias, come Sherlock Holmes, indaga sui misteri del Vaticano e sui suoi inconfessabili segreti

CORRADO AUGIAS, I segreti del Vaticano, Mondadori, 2010, pp. 385, Euro 19,50

Corrado Augias è oramai diventato un autore da “cult” con la sua scrittura lineare, semplice, preziosa. Difficile (forse impossibile) trovare nei suoi libri una sciatteria, un periodo di difficile comprensione. Si direbbe che egli creda in una letteratura popolare, gramscianamente intesa, come veicolo di promozione delle masse a quei luoghi sovente irraggiungibili per il volgo e che invece sono a portata di mano.

Nei Segreti del Vaticano egli aggiunge un altro capitolo alla sua saga di gran successo sui luoghi misteriosi (i Segreti di Parigi, i Segreti di Roma, i Segreti di Londra, i Segreti di New York), cioè sul volto coperto delle grandi metropoli, quelli che ci troviamo di fronte ogni giorno senza sapere nulla della loro storia millenaria. Augias finisce, così, per assurgere a quella condizione di “flaneur” di Baudelaire, in perenne peregrinazione raziocinante fra mura cadenti e manufatti post-moderni, rintracciando in ognuno di essi il loro significato profondo. Sembra di vederlo, nel suo “old fashion”, novello Sherlok Holmes, scrutante indizi reconditi in un pezzo di calcare, capace di ricostruire una tragedia di sangue o uno sterminio.

Ne I Segreti del Vaticano Augias ricostruisce la storia bimillanaria della Chiesa cattolica. Ovviamente era impensabile farlo in senso sincronico (a questo ci hanno pensato storici quali Gregorovius, non a caso spesso citato dall’autore) e quindi il senso di quella storia viene racchiuso in episodi determinanti, che da soli consentono di comprendere l’evoluzione di quello che è stato senza dubbio un potere economico-politico prima di apparire come un insediamento spirituale. Già perché la prospettiva affrontata da Augias è racchiusa in una parola: la Chiesa di Cristo ha mai avuto un interesse spirituale? No, ad eccezione di qualche Papa, che non a caso viene subito eliminato. Per dimostrare questo assunto, Augias ripercorre le vicende terrene di due Pontefici: Celestino V (Pietro da Morrone) e Giovanni Paolo I (Albino Luciani). Il primo fu il Pontefice accusato da Dante di aver fatto “il gran rifiuto” favorendo per ciò stesso il futuro Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), che probabilmente lo fece poi uccidere. Pietro da Morrone era un eremita dedito alla povertà, inadatto a guidare le sanguinarie fazioni di Roma e fu facile preda di colui che istituì il primo anno santo (1300) mirando a potenziare in tutti i modi la ricchezza e il potere terreno degli eredi di Pietro. Il secondo, eletto nel 1978, durò in vita appena 33 giorni. Augias scrive di un Albino Luciani molto simile a Celestino V, con una sua idea di Chiesa povera, aderente allo spirito originario dei Vangeli, quindi anche lui del tutto fuori posto. Cominciò a vagheggiare una Chiesa che devolvesse la maggior parte dei suoi ingenti introiti ai poveri, all’Africa derelitta, ai dispersi nel mondo. Insomma, quanto di più lontano dalle brame materiali degli attuali gerarchi vaticani.

La tragica fine di Albino Luciani segna il suo drammatico confine con un mondo che di spirituale e di “cristiano” ha veramente poco. Augias mostra di credere all’ipotesi di uno scrittore inglese, David Yallop, che nel suo “In nome di Dio” ricostruisce il caso e attribuisce la morte di Giovanni Paolo I al veleno che avrebbe bevuto inconsapevole poco prima di addormentarsi. Luciani sarebbe stato ucciso dai suoi principali collaboratori proprio perché giudicato pericoloso per la ricchezza materiale della Chiesa. Altrimenti non si spiegherebbe come mai, onde fugare ogni dubbio, il Vaticano non abbia mai acconsentito all’autopsia sul suo corpo, che avrebbe fugato ogni dubbio.

Ma gli altri “indizi” della corruzione vaticana raccontati da Augias non sono da meno: addirittura evidenti in una figura come Paul Marcinkus, cardinale americano, principale collaboratore di Giovanni Paolo II, che, diventato presidente della potentissima banca vaticana (Ior), ne fa un crocevia di traffici illeciti e di riciclaggio di denaro sporco, addirittura incrociando gli interessi della mafia. Ci sarebbe materiale per dubitare della “santità” di Karol Woytila, che non si peritò di avvicinare il soglio di Pietro ad interessi inconfessabili pur di poter finanziare il “suo” sindacato anticomunista polacco “Solidarnosc”.

In definitiva I Segreti del Vaticano sono una sorta di manuale per orientarsi nel difficile percorso di intendimento della missione degli eredi di Cristo nel mondo. Se non si conoscesse il messaggio evangelico, si potrebbe persino pensare che il fondatore del Cristianesimo fosse stato un malvagio, tanto numerosi sono i crimini commessi da chi si ispira al suo pensiero. Come istituzione terrena, la Chiesa non è stata molto diversa da una qualsiasi monarchia, anche i re, infatti, si dicevano “inviati di Dio”. E proprio come quelli i monarchi vaticani uccisero e sterminarono in una prospettiva di dannazione sanguinaria che non ha eguali in nessun altra congregazione religiosa. E di questo torrente di crimini Augias ne scorge i rivoli nascosti in cui è possibile che anche i credenti trovino ispirazione per maturare una decisiva riforma dell’Istituzione.

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