Perrone Editore. “Onda Marina e il Drago Spento” di Dacia Maraini ed Eugenio Murrali

Una fiaba ricamata di dettagli ancorati al reale

C’è una storia – un po’ fiaba, un po’ epistolario – che Dacia Maraini ha raccontato insieme a Eugenio Murrali. Onda Marina e il Drago Spento (Giulio Perrone Editore) narra di draghi e creature marine e di un tempo di pace dopo anni di conflitti. Un malinteso e poi un incidente scatenano infine la guerra tra un popolo di draghi valorosi – vere e proprie armi da fuoco – e il mare con i suoi misteriosi abitanti. Poi però – nel bel mezzo delle ostilità e del rancore – avviene qualcosa destinato a inceppare il meccanismo di un furore senza senso: accade, ad esempio, che il figlio del Drago Maggiore si innamori della figlia del Marino Maggiore e che i due si ritrovino a fuggire dalla guerra ognuno per strade diverse.

La storia di questo legame nato nel bel mezzo dell’odio si scrive nelle lettere che Onda Marina, creatura liquida e libera, consegna alla sua fidata colomba perché le porti al suo amico lontano, un drago bianco che tutti chiamano Spento perché incapace di fuoco e distruzione: “io non so cosa provo per te, Spento. Il tuo nome mi fa ridere. Può un drago chiamarsi Spento? Dove stanno le tue raffiche di fuoco? E perché ti rifiuti di cacciarle fuori? Però so che appena ti ho visto, ho provato un’immediata simpatia per te. Come se non fossimo così diversi, come se non appartenessimo a due mondi staccati, nemici, addirittura in guerra. I tuoi parenti stanno uccidendo i miei parenti. Dovrei odiarti, Spento, e invece ho solo voglia di starti accanto e di parlare con te”.

La voce leggera di gioventù di Onda Marina parla di stanchezza e solitudine, in un viaggio-fuga che odora di libertà e prigionia. La scopriamo tesa nel suo desiderio più profondo, più forte degli ostacoli che il suo corpo stesso le oppone: il sogno di volare la avvicina a una creatura ambigua e subdola, un gufo dagli occhi gialli e dal becco incapace di baciare, di cui si innamora e che arriva a sposare. Questa necessità di cercarsi in altro da se stessi – ignorando poi la verità limpida che vuole il nuoto come l’arte più vicina al volo – la trascina in un matrimonio pieno di ossessioni troppo simili alle parole della cronaca dei nostri giorni: “il mio sposo Guf-guf sta perdendo la testa: diventa ogni giorno più rabbioso e minaccioso. Mi accusa di tradirlo, ma ti assicuro che non ci penso nemmeno. Mi spia, non mi lascia un minuto sola. […] Ho riflettuto e ho deciso di scappare. È la sola cosa sana che possa fare in questo momento. Gli ho voluto tanto bene a questo gufo delle nevi ma evidentemente non conoscevo la sua smania di possesso, la sua ossessione di controllo. Se ce la faccio, andrò via”.

Le risponde – disperso nel deserto – un drago bianco che non sa fare il drago: il suo fuoco, quando c’è, è fiamma d’arte, è ricamo di fragilità: “ da ieri non ho più fiamma, è andata via del tutto. Non posso più lavorare, realizzare i miei numeri negli spettacoli. È stato terribile trovarmi di fronte al pubblico di creature del deserto, soffiare aria vuota con espressioni goffe e ridicole, cercare e non trovare dentro di me quella vampa che si era rafforzata, mi aveva illuso di poter creare disegni sempre più maestosi, immagini impressionanti che mi avrebbero fatto conoscere in tutto il deserto come un grande giocoliere”.

Un drago spaventoso che regala sorrisi e sollievo a chiunque incontri il suo volo. Un mostro mitologico dal candore di neve e dai gesti gentili, costantemente preoccupato per la sua Onda Marina, ma, allo stesso tempo, innamorato di Giravolta incontrata sul suo cammino. Spento scrive alla sua Onda, la rassicura, la consiglia, la consola; e poi svela un’anima di dolore nel rifiuto subìto per quel suo fuoco così diverso; nella rinuncia all’amore che insegue sogni e lascia indietro invece chi resta: “tutte le fughe, anche le nostre, dolce Onda, hanno un senso se a un certo punto finiscono e noi ci scopriamo diversi. La mia fuga finisce qui. Sono scappato dalle mie paure, dai miei sentimenti, dal terrore di non essere amato. Ho cercato molto, ho visto albe e tempeste che non avrei immaginato, conosciuto creature lontane e ascoltato le loro storie. Ho cercato tanto, qualcosa ho trovato. Tu sei il tempo e lo spazio in cui non ho paura di restare”.

La guerra è lontana eppure preme con le sue incombenze. La fuga dei due protagonisti si anima di creature colorate e vitali, e poi di neve, di laghi e coleotteri e miele. L’orizzonte si dissolve sotto i colpi di una battaglia che fa implodere il mare e il cielo, mentre arde nel fuoco: la guerra, le contese personali e collettive, fanno collassare gli elementi, ci restituiscono l’indefinita immagine della sopraffazione. Eppure l’amore e la speranza che trascinano i due protagonisti stanchi e disincantati l’uno verso l’altro aprono spiragli di pace, creano le fondamenta del domani.

La fiaba di Dacia Maraini e Eugenio Murrali ha i colori di un affresco e le profondità della corrispondenza più intima, intessuta di affetto e di valore perché ricamata di dettagli ancorati al reale. Le contese ci riguardano, ogni giorno, nei gesti quotidiani e nelle notizie dei giornali. La guerra si apre e crea voragini nelle relazioni, fa implodere cieli, scaraventa fuoco contro chi ci sta accanto, trasforma il mare in lacrime. Dovremmo sederci e scrivere lettere in cui raccontiamo perché il nostro fuoco s’è spento, perché desideravamo tanto volare. E attendere e leggere chi vorrà risponderci. E dovremmo raccontare di draghi gentili e creature marine, di arance e struzzi smemorati ai nostri bambini preziosi, perché il domani è loro, ma il tempo della responsabilità è ancora nostro.

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