“Anna Bolena, l’ossessione del Re” di Alison Weir. La vita di un’eroina imperfetta. Recensione

Dopo averci raccontato della sovrana per nove giorni, Jane Grey, di una giovane Elisabetta I e della grande e fragile Caterina D’Aragona, Alison Weir prosegue il suo viaggio, tra storia e fantasia, attraverso la complessa dinastia delle Regine Tudor, col romanzo storico “Anna Bolena, l’ossessione del Re”, edito in Italia da SuperBeat.

L’autrice, con l’eleganza e la delicata precisione che ne contraddistinguono lo stile, ci guida lungo la controversa esistenza dell’intrigante Anna Bolena da quando, a undici anni appena, si trasferisce alla corte di Borgogna per diventare damigella d’onore della Reggente Margherita, fino ai suoi ultimi passi sul patibolo dove le fu tagliata la testa con l’accusa infamante di aver tradito in modo blasfemo il suo consorte, il Re Enrico VIII. 

Anna Bolena, figlia di una nobile decaduta e di un ricco arrampicatore sociale senza titoli, è l’emblema della nuova nobiltà che cambierà per sempre il Cinquecento dell’Inghilterra e, probabilmente, di tutta l’Europa del tempo.Come, per amor di Anna, ma anche per intricate questioni economiche e politiche, Re Enrico VIII, alla spasmodica ricerca di un erede maschio, si sia staccato dalla Chiesa di Roma, dando vita alla Chiesa Anglicana, di cui ancora oggi ogni Re d’Inghilterra è capo supremo, e separandosi dalla legittima moglie, è Storia nota, che si studia sui banchi di scuola fin dall’infanzia. Nonostante ciò, Anna Bolena resta, tutt’oggi, tra i personaggi femminili più amati e studiati di sempre. Romanzi, film, serie televisive ne hanno raccontato le avventure e disavventure, non risparmiandole, talvolta, fardelli che, forse, storicamente, non le spetterebbe di portare. 

Alison Weir, in questo romanzo, ha il merito di restituirci lo spirito di un’Anna non solo verosimilmente meno Messalina di quanto la si descriva, ma anche senza farle troppi sconti, e di farci comprendere il suo acume e la sua intelligenza, oltre al suo fascino e alla sua furbizia. Senza dubbio sono state le ambizioni di Anna a condurla sul patibolo, oltre agli inganni, gli intrighi e i pochi scrupoli di tutta la sua famiglia nel servirsi della sua sagacia e della sua influenza su re Enrico, ma non tutto è da condannare in lei, a cominciare dalla sua grande modernità, dal suo desiderio di apprendere e di farsi un’opinione su tutto ciò di cui veniva a conoscenza, ragionando il più possibile con la propria testa, a costo di spingersi oltre il limite dell’orgoglio e dell’imprudenza.

A essere narrata con accenti squisitamente contemporanei, soprattutto dal punto di vista di Anna, è la grande rivalità con la sorella Maria, primogenita e più bella di lei, che fu, a sua volta, amante di Enrico, ma alla quale Anna riuscì a sottrarre tutto, come quando da bambine si litigavano l’attenzione dei genitori o dei fratelli. Tanto era bella e affascinante Maria, senza bisogno di impegnarsi nello studio, per il quale era decisamente negata, tanto era talentuosa ed esuberante Anna, che primeggiava nella musica e nella letteratura, pur non avendo gli stessi occhi espressivi e le forme generose della sorella. E questa competizione, fatta di odio e amore, si trascina nella vita delle sorelle Bolena, fino alla tragica morte di Anna, proprio come fossero due sorelle qualunque. Dopo il matrimonio con Enrico, ciò che ossessiona di più Anna è senza dubbio la ricerca dell’erede maschio per il quale il Re l’ha voluta in moglie. Più Enrico si allontana da lei, lasciandosi distrarre da altre donne e convincendosi che la moglie si sia macchiata di crimini imperdonabili, più il mondo di Anna si sgretola, non permettendole più nemmeno di occuparsi dell’unica figlia che è riuscita a dare a Enrico, Elisabetta, la futura Elisabetta I. Chissà cosa avrebbero pensato entrambi i suoi genitori, potendo vedere che grande Regina sarebbe diventata. E senza bisogno di essere un maschio

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