Libri. Isola bisentina: la porta di Agarthi

ROMA – Difficile immaginare, percorrendo il lungolago di Capodimonte, che la piccola isola, che si scorge in lontananza, abbia rappresentato per gli etruschi il centro della loro civiltà.

L’isola Bisentina (il cui nome deriva da Bisentium, antico centro di origine etrusca fondato sulla sponda di fronte del lago) dal punto di vista geologico è quanto resta di un cono eruttivo che entrò in attività quando già esisteva il lago, circa 132.000 anni fa. 

Ma a rendere speciale quest’isolotto del lago di Bolsena non è tanto la sua storia geologica quanto quella legata alle antiche civiltà che l’hanno abitata ed eletta a luogo sacro e alle numerose leggende che la vedono protagonista.

Nel Medioevo fu roccaforte, rifugio dalle invasioni e prigione per ecclesiastici (la famigerata “Malta” che Dante Alighieri citerà nel canto IX del Paradiso). Nel 1431, su desiderio del Papa Eugenio IV, l’isola Bisentina diventò una piccola Terra Santa, che i religiosi trasformarono in una Via Crucis naturale. Il punto più alto del monte Tabor con l’Oratorio della Trasfigurazione, il Golgota con la Crocefissione, il Monte Sinai con il Tempietto di Santa Caterina… luoghi connotati da una forte simbologia.

Secondo una delle tante leggende, l’isola Bisentina custodirebbe uno dei varchi al mondo perduto degli immortali: il regno di “Agarthi”, dal sanscrito “l’inaccessibile”.

Un regno leggendario, collocato al centro del pianeta, popolato da una civiltà evoluta, pacifica, moralmente retta, forse già a contatto con entità aliene. Un mondo sotterraneo dove vivrebbero grandi maestri antichi, depositari di segreti arcaici e che ospiterebbe, nella sua oscurità, anche gli scomparsi sacerdoti etruschi. 

Ma chi erano gli etruschi?

Gli etruschi erano il popolo più enigmatico e affascinante che vivesse in Italia. Un noto storico amava dire che le notizie su di loro “non coprono più di cinque o sei pagine di libro”. Nulla di più esatto. E ancora oggi la parola che più frequentemente ritorna quando si parla e si scrive degli Etruschi è “mistero”. Probabilmente per nessun altro popolo dell’antichità è stato usato questo termine con tanta convinzione e disinvoltura. Alcuni sostengono che gli Etruschi abbiano voluto ammantarsi di mistero con proposito, con lo scopo preciso che nulla di loro fosse mai conosciuto. A cominciare dalle loro origini, passando per ogni forma più elementare della loro esistenza: la lingua, la religione, le loro abitazioni e le strade ubicate nel sottosuolo.

Così appariva anche ai Romani stessi il mondo Etrusco: un relitto isolato e sopravvissuto di un mondo lontano e perduto, incomprensibile e alieno, “né simile per lingua, né simile per costumi” come scriveva Dionigi di Alicarnasso al tempo di Augusto. È attestata tra i due popoli una lunga consuetudine di contatti, rapporti, e scambi. Roma trasse moltissimi elementi costitutivi della propria cultura dall’esperienza etrusca. Le minuziose prescrizioni sulla scrupolosa osservanza delle pratiche rituali furono la caratteristica che più colpì i romani venuti a contatto con questo popolo. Riti complessi seguivano, per fare un esempio, alla caduta di un fulmine in un determinato luogo, che veniva immediatamente recintato per precauzione e dichiarato sacro. 

Lo stesso grembo materno della neonata Roma fu un grembo etrusco. Romolo, nel pieno dei suoi poteri, venne colto da un dubbio. Se i rituali dei latini, quelli che conosceva, non fossero stati sufficienti per fondare una città gloriosa e prospera? Il dubbio si insinuò a tal punto che decise di rivolgersi alla civiltà a quel tempo più avanzata. I rituali etruschi erano, però, avvolti nel mistero. Decise, quindi, di contattare i potenti Locumoni etruschi. Mediatori tra gli uomini e la divinità, erano detentori di poteri magico-religiosi. Potremmo definire i lucumoni come medici–sciamani capaci di viaggiare secondo le leggende nei mondi astrali acquisendo prodigiose conoscenze utili alla guida della comunità. Il loro abbigliamento consisteva in una “camicia” dalle ignote funzioni e oltre al lituo avevano una sorta di stetoscopio con un filo di lana che captava l’afflato tellurico. Questi sacerdoti consegnarono a Romolo i “Libri rituales” quello che oggi definiremmo un manuale costituzionale, con tutte le ritualità necessarie per fondare una gloriosa e prospera città.

In base a tali rituali cominciò a tracciare il solco intorno alle pendici del Palatino che doveva delimitare il perimetro della nuova città. Era il 21 aprile del 753 a.C.

Tornando all’Isola Bisentina… la mappa delle “Vie Cave” etrusche (squarci profondi trenta metri, scavati nelle profondità di quella Terra che gli Etruschi consideravano sacra) mostra come la loro distribuzione obbedisca a un grande disegno geometrico. Tutte convergono verso un preciso centro geografico: il lago di Bolsena. Non è casuale che intorno al lago sorgesse il Fanum Voltumnae, il più importante bosco sacro dell’Etruria. L’Isola Bisentina, in particolare, era considerata dagli etruschi un’isola sacra, il vero cuore geografico e spirituale di tutta la “nazione” etrusca. Qui, una volta l’anno, magari proprio all’interno dello spazio ipogeo utilizzato successivamente dalla Chiesa per la sua prigione, i Lucumoni, in rappresentanza delle dodici città etrusche, si riunivano per celebrare l’unità spirituale del popolo etrusco. Da qualche parte sull’isola, gli etruschi scoprirono il varco per Agarthi. Un varco che poi, forse, venne occultato dagli stessi sacerdoti. 

Molti ritengono, infatti, che il popolo etrusco possa aver deciso di scomparire volontariamente inabissandosi nel sottosuolo. Secondo questa ipotesi, Agarthi, la città sotterranea, li avrebbe accolti e protetti. 

Di tutto questo e di molto altro si parla nel romanzo DNA, un thriller fantascientifico, edito da Leone Editore. Il romanzo “DNA”, mescola elementi di Paleoantropologia, Archeologia, Teologia ed Astronomia. Anche se la storia è romanzata, tutti i luoghi e i siti dei ritrovamenti, cui si fa riferimento nella vicenda, sono reali (compresa la loro ubicazione) e tuttora esistenti. Un modo per scoprire anche luoghi inesplorati del nostro territorio e antiche civiltà scomparse.

Ecco una breve presentazione.

1979, Molise, Italia.

Durante uno scavo viene ritrovato un reperto che nasconde una verità sconcertante. Un’organizzazione che opera all’interno del Vaticano riesce, però, a isolare la notizia della scoperta. 

Oggi, Città del Messico.

Estela, psicologa e ricercatrice messicana, si mette sulle tracce di Daniel, il suo ragazzo misteriosamente scomparso da giorni, durante una spedizione speleologica in Italia.

Un’indagine che si trasformerà presto in qualcosa di inaspettato e pericoloso. Costantemente inseguita e minacciata da un misterioso Ordine religioso, ricomporrà, faticosamente, un puzzle che nasconde una clamorosa rivelazione. Qualcosa capace di rivoluzionare quanto pensiamo di conoscere sull’evoluzione dell’uomo e di scuotere le fondamenta della Chiesa e del credo cristiano. 

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Breve biografia e contatti:

Dario Giardi, ricercatore in campo energetico e ambientale, è autore di guide turistiche, con la casa editrice Polaris di Firenze e con la Lighthouse Publisher di New York, dedicate alla sua grande passione: l’arte e la cultura celtica, etrusca e romana. Ultimamente sta lavorando alla sceneggiatura di un progetto cinematografico internazionale: un film fantasy/documentario sulla civiltà celtica, prodotto da una casa di produzione svizzera. Collabora con riviste di archeologia misteriosa (Italia Misteriosa, Fenix, Xtimes). Per Leone Editore ha pubblicato il suo romanzo d’esordio: “La ragazza del faro”. “Dna” è il suo secondo romanzo.

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