Musica. Davide Bancolini, un debutto promettente. L’intervista

Intervista al cantautore milanese che ha pubblicato il suo primo album, “Eudaimonìa”

La ‘fucina’ italiana dei cantautori

Il vasto e variegato panorama dei cantautori italiani si conferma come uno dei filoni musicali più importanti della tradizione popolare nel nostro Paese. Dopo la rivoluzione portata dalle canzoni di Domenico Modugno, dagli anni Sessanta in poi si sono affermate diverse generazioni di autori del calibro di Adriano Celentano, Gino Paoli, Umberto Bindi, Luigi Tenco, Fabrizio De Andrè, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Lucio Battisti e Franco Califano. Il decennio successivo è stato caratterizzato da artisti quali Lucio Dalla, Ron, Franco Battiato, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Riccardo Cocciante, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Claudio Baglioni, Francesco Guccini, Angelo Branduardi, Antonello Venditti, Fabio Concato, Rino Gaetano, Renato Zero e Sergio Caputo. Gli anni ’80 sono stati dominati da Zucchero, Eros Ramazzotti, Vasco Rossi e Luca Carboni. L’attuale generazione è partita da Ligabue, Biagio Antonacci, Samuele Bersani, Francesco Baccini, Sergio Cammariere, Carmen Consoli, Tiziano Ferro, Elisa, Raphael Gualazzi e Giorgia.

Tra questi giovani cantautori si può tranquillamente collocare il ‘debuttante’ Davide Bancolini, milanese trapiantato nella Capitale per esigenze professionali.

Il suo percorso artistico è iniziato prima con l’amore per il teatro, anche se da adolescente aveva studiato la chitarra e il pianoforte. A Roma è stato fondamentale l’incontro con la regista teatrale Laura Tricoli. Poi è stato decisivo per il debutto come cantautore, la conoscenza di Giovanni Gava, pianista e maestro di canto. Con lui e Michele Lotrecchiano, Davide Bancolini ha inciso il suo primo album, intitolato “Eudaimonìa” (da Eudemonismo, ovvero quella dottrina morale che riponendo il bene nella felicità la persegue come un fine naturale della vita umana).

Ascoltando l’album colpisce la maturità delle musiche, la perfezione degli arrangiamenti e la profondità dei testi. Anche se per ogni cantautore le parole hanno la priorità sulle musiche, nel suo primo disco Bancolini non ha ‘trascurato’ l’aspetto dell’espressività musicale. Negli undici brani di “Eudaimonìa”, la musica è protagonista insieme ai messaggi dell’autore sull’amicizia, sull’amore e sulla speranza per un futuro migliore. Eccellente la scelta dei musicisti: Marco Colavecchio al basso, Michele Lotrecchiano al piano, tastiere, orchestrazioni e programmazione dei sintetizzatori, Marcello Sirignano al violino, Michael Supnick alla tromba e al trombone, Angelo Anastasio alla chitarra elettrica, Francesco Isola alla batteria, Andrea Pace al flauto e sax soprano. L’apporto di questa band è stato determinante per la riuscita del progetto di Davide Bancolini. A mio avviso il brano migliore del disco rimane “Qui per te”, in cui il testo e le musiche sono perfettamente bilanciate in poco più di quattro minuti di grande musica. Per essere un debutto possiamo affermare che il futuro musicale per Davide Bancolini è assai promettente. Abbiamo sentito il cantautore milanese per rivolgergli alcune domande sul suo primo album e sul suo modo di concepire l’arte.

Ascoltando le tue composizioni non passa inosservato il tuo amore per il teatro, quando e come ti sei avvicinato alla forma artistica teatrale?

In realtà il teatro è stata la passione che per molto tempo ho coltivato di più. La musica c’è sempre stata, scrivo canzoni da quando avevo 15 anni, ma era qualcosa di intimo, che ho lasciato in un cassetto per molti anni, senza troppa voglia di condividerla. Invece, al teatro mi sono avvicinato subito e senza timore, dalle scenette in oratorio fino a far parte di compagnie teatrali importanti, sia a Milano che a Roma. Inoltre, sono un po’ figlio d’arte, perché mio padre ha recitato per tanti anni con grande soddisfazione e mi ha trasmesso l’amore per questa meravigliosa forma artistica. Il teatro mi ha anche aiutato molto a vincere le mie timidezze e a conoscermi, perché sul palcoscenico si è sempre “un altro”, ma, misteriosamente, anche e sempre “se stessi” (come cerco di dire nell’ultimo brano del cd, “Teatro” appunto). Per citare il grande Gigi Proietti: “Viva il teatro, dove tutto è finto, ma niente è falso!”.

Com’è stato il tuo approccio alla musica? Prediligi l’aspetto dei testi o parti dalla melodia per comporre le tue canzoni?

Nelle mie canzoni i testi sono sicuramente più importanti e la musica è “al loro servizio”. Curo però molto anche la parte melodica, perché penso che le canzoni devono piacere ed essere immediate e semplici da cantare. Cerco di far passare testi abbastanza complessi e introspettivi attraverso musiche più “digeribili”. Mi piace scrivere testi molto “poetici”, usando spesso immagini e metafore, in modo da lasciare a chi ascolta uno spazio per sognare, rileggere il brano e “farlo suo”.

Quanto sono state importanti per la realizzazione del tuo primo album le presenze di musicisti come Michele Lotrecchiano e Giovanni Gava?

A Giovanni Gava devo tantissimo. E’ lui che mi ha, si può dire, scoperto. E’ stato il mio primo insegnante di canto e mi ha incoraggiato a far diventare alcune delle mie canzoni un vero progetto artistico. Ha curato la direzione artistica del disco, mettendomi a disposizione una squadra di musicisti fantastici. Michele Lotrecchiano è tra questi, ha curato tutti gli arrangiamenti dando una personalità ad ogni brano (la matrice pop si è contaminata con vari generi, dal jazz, al latin, fino anche al sinfonico), ma cercando di dare una coerenza musicale a tutto il lavoro. Vorrei però citare lo straordinario chitarrista Angelo Anastasio che ho avuto la fortuna di incontrare e che, oltre ad avere suonato tutte le chitarre del disco, mi accompagnerà nei live in acustico che stiamo preparando per i prossimi mesi. Angelo ha lanciato Gerardina Trovato, scoperto Andrea Bocelli, collaborato con Ramazzotti, Renato Zero e molti altri. E’ autore della musica di “Dare to live – Vivere”, che ha venduto milioni di copie. Insomma un vero pezzo da novanta! 

Ci sono stati dei cantautori a cui ti sei ispirato?

Ho la presunzione di credere di avere uno stile abbastanza “mio”, per quello che dicevo prima. Però ci sono sicuramente delle influenze di alcuni cantautori italiani. Io stimo tantissimo Enrico Ruggeri, soprattutto per la ricercatezza dei testi e per il fatto che, pur sperimentando tanto, è sempre rimasto “fedele a se stesso”. In questo mi ritrovo molto, anch’io voglio spaziare nell’universo musicale, essendo in parte ancora alla ricerca del mio stile, ma voglio rimanere fedele a quello che per me rappresenta la forma canzone: “Una penna e un foglio … ma può essere complessa come la vita”, per citare un altro grande, Guccini, perché le mie canzoni sono “pezzi di vita”, con un taglio decisamente introspettivo.Tra i riferimenti assoluti direi anche Fabrizio De Andrè, per la grande ricerca poetica e profondità filosofica. E De Gregori per l’impostazione vocale (molti mi dicono che ho un modo di cantare simile a lui) e lo stile “acustico”, che dà maggiore risalto alle parole.

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