Area, il jazz-rock made in Italy

Nel 1975 esce il live Are(A)zione ‘manifesto’ musicale e politico del gruppo

“Questo gruppo ha quattro anni di vita, e anche la sua musica, chiaramente. Vuole coagulare diversi tipi di esperienze: fonde jazz, come il pop, la musica mediterranea e la musica contemporanea elettronica. La problematica qual’ è? Abolire le differenze che ci sono fra musica e vita. Gli stimoli che trae questo gruppo vengono direttamente dalla realtà, trae spunto dalla realtà; e dalla strada, chiaramente” (Demetrio Stratos, 1976)

“Raccogliendo matrici musicali diverse – dal jazz al progressive passando per l’avanguardia – gli Area si sono rivelati tra le band più coraggiose e originali del rock italiano. Ma a lasciare il segno è stata anche e soprattutto l’incredibile voce del cantante, Demetrio Stratos” (Onda Rock)

Musica e politica

Nella storia recente della musica italiana il gruppo degli Area rappresenta un’eccezione, un raro caso di creatività, impegno politico-sociale e sperimentazione a 360 gradi. Nella loro prima fase, quella più innovativa e originale nella prima metà degli anni ’70, hanno introdotto molti elementi di novità nella musica popolare con la fusione tra il rock, il jazz, la sperimentazione elettronica e i suoni della tradizione mediterranea.

Il primo nucleo degli Area si forma a Milano nel 1972 attorno alla carismatica figura del cantante e polistrumentista greco Demetrio Stratos (che aveva frequentato il Politecnico del capoluogo lombardo), il batterista reggiano Giulio Capiozzo, il chitarrista fiorentino Paolo Tofani, il bassista francese Patrick Djivas e il pianista di Cesenatico, Patrizio Fariselli. Tutti questi giovani musicisti erano accomunati dal tentativo di esplorare nuovi linguaggi e orizzonti musicali: Fariselli proveniva dal jazz e dalla classica, Capiozzo aveva studiato i tempi dispari in Egitto, Paolo Tofani era un chitarrista appassionato dell’elettronica applicata ai nuovi strumenti come i primi sintetizzatori analogici (inizio anni ’70), mentre Djivas proveniva da un background tra il blues e il rock.

Dopo una serie di acclamati concerti come spalla ai Nucleos nel 1972, gli Area firmarono un contratto con la neonata casa discografica alternativa, Cramps, fondata da Gianni Sassi, Sergio Albergoni e Franco Mamone. La band potè comporre e registrare in assoluta libertà creativa “Arbeit Macht Frei” nel 1973 che mise in luce il gruppo come uno dei più originali e creativi dalla scena ‘progressive’ italiana allora dominata da Pfm, Banco, Orme, Osanna, Trip e New Trolls. La grande differenza stilistica degli Area (non cercarono assolutamente di seguire la strada inglese dei King Crimson, Yes, Genesis, E, L & P e Jethro Tull come per i citati ‘concorrenti’ italiani) fu di aver creato uno stile molto personale tra i linguaggi del rock, del jazz e della musica popolare mediterranea con l’inserimento di testi allegorici, ironici e caratterizzati da una forte collocazione di estrema sinistra extraparlamentare. Nell’album successivo, “Caution, Radiaton, Area” (1974) Patrick Djivas lasciò la band per unirsi alla Pfm. Al suo posto entrò il contrabbassista jazz Ares Tavolazzi. Tra il 1975 e il 1976 gli Area raggiunsero l’apice creativo con gli album “Crac” e il live “Area (A)zione”.

Are(A)zione: il festival del proletariato a Milano

Questo celebre album live fu registrato duranti una serie di concerti alla Festa del proletariato giovanile al Parco Lambro di Milano, alla festa dell’Unità di Napoli e alla Festa della gioventù a Rimini nel 1975. A livello politico e sociale, questi raduni anticiparono di due anni il movimento del 1977 che nacque a Bologna. Gli Area, al massimo della loro creatività erano composti da Demetrio Stratos alla voce solista, organo Hammond e percussioni, Giulio Capiozzo alla batteria, Ares Tavolazzi al basso elettrico, contrabbasso,  trombone e tromba, Patrizio Fariselli al piano acustico, elettrico, sintetizzatore Arp Odyssey, clarinetto e percussioni e Paolo Tofani alla chitarra elettrica e al sintetizzatore Ems Vcs3. L’album si apre con il celebre pezzo “Luglio, agosto, settembre (nero), allusivo al problema palestinese e critico verso la politica israeliana; segue “La mela di Odessa (1920)”, un omaggio al comunismo russo che aveva preso il potere da pochi anni. Dopo “Cometa rossa” e “Are(A)azione” chiude l’album “L’Internazionale”, l’inno dei lavoratori e anche inno ufficiale dell’Unione Sovietica tra il 1917 e il 1944. Al di là dell’aspetto politico e ideologico piuttosto fragile e discutibile (erano gli anni in cui per fare i concerti bisognava innalzare il pugno chiuso) in cui una larga parte della sinistra extraparlamentare mitizzava l’epopea della Rivoluzione russa, il disco degli Area è assolutamente straordinario dal punto di vista musicale. I cinque musicisti si sforzarono di tirare fuori dai loro strumenti il limite estremo delle sonorità attraverso una ricerca totale che abbraccia melodie, ritmi e armonie dal jazz, dal rock, dalla sperimentazione elettronica e dalla tradizione popolare mediterranea. Il risultato per quei tempi era davvero unico nel panorama italiano. La loro lezione fu poi seguita dal Perigeo, dagli Osanna e dai Napoli Centrale. Prima degli Area nessuno in Italia aveva mai ‘osato’ miscelare e fondere tanti linguaggi musicali come fece Miles Davis nel 1969 e poi John McLaughlin con la Mahavishnu Orchestra. L’immediatezza del rock fondeva con la complessità armonico-melodica del jazz e con i ‘colori’ del blues. “Are(A)azione”, a 39 anni dalla sua uscita, rimane come una delle testimonianze più lucide, creative e stimolanti del panorama musicale italiano. Le parole di Demetrio Stratos, morto nel 1979, sono esemplificative per capire il modo di intendere la musica degli Area: “Ognuno di noi portava un’esperienza particolare, si è cercato di fare una musica stile ‘totale’. Io vengo dalla Grecia, uno ha avuto esperienze di musica elettronica a Londra, due vengono dal jazz, uno dalla musica contemporanea, e cerchiamo di fondere, di avere un connubio tra dodecafonia e rock, fra rock e musica balcanica”.

 

 

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