Musica: “A moon shaped pool”, l’apice dei Radiohead

Il nuovo album del gruppo inglese sorprende per la qualità dei suoni e degli arrangiamenti

Come per pochi gruppi musicali in attività, ogni nuova uscita discografica dei Radiohead è molto attesa, al pari di un evento raro e carico di curiosità per una band che negli ultimi 25 anni ha tracciato un segno indelebile per l’innovazione e la ricerca sonora. Dopo oltre cinque anni di snervante e paziente attesa, il quintetto britannico ha pubblicato il nono album in studio intitolato “A moon shaped pool” che ha subito suscitato un grande interesse del pubblico e un notevole riscontro nelle classifiche internazionali.

Suoni, arrangiamenti e creatività

Il precedente album in studio “The king of limbs” (2011), non aveva pienamente convinto la critica specializzata, i Radiohead sembravano confusi sulla direzione musicale da intraprendere dopo il meraviglioso “In Rainbow” del 2007. Alcuni critici azzardarono anche l’inizio del declino creativo di una delle band più originali del panorama internazionale. Le registrazioni del nuovo album sono state particolarmente lunghe, elaborate e complesse. La band iniziò a lavorare subito dopo la fine del tour promozionale di “The king of limbs” nel 2012. Thom Yorke, cantante e figura carismatica del gruppo era determinato nel voler un deciso cambiamento rispetto alla precedente fatica discografica. Il primo passo fu quello di produrre l’album con il fidato Nigel Godrich, molto abile anche come ingegnere del suono. Il secondo aspetto che caratterizza il disco è la presenza della London Contemporary Orchestra e il coro polifonico diretti da Hugh Brunt.  “A moon shaped pool” è stato registrato negli studi Saint Rèmy de Provence dal settembre del 2014 al marzo del 2015 con la formazione che vede Thom Yorke, alla voce, chitarra acustica, pianoforte e piano digitale, Colin Greenwood al basso elettrico, il fratello Jonny alla chitarra elettrica, sintetizzatori digitali e analogici, effetti elettronici a pedale e onte martenot, Ed O’Brien alla chitarra solista e percussioni, Philip Selway alla batteria e Clive Deamer alle percussioni nel brano “Ful stop”.

Analisi di un’opera sorprendente

Il disco si apre con “Burn the witch”, (la traccia meno interessante nonostante un intercedere incalzante della ritmica) uscito alcuni giorni prima della pubblicazione dell’album. Le sorprese arrivano subito con la seguente “Daydreaming”, caratterizzata dalla splendida voce di Yorke e da un tappeto di suoni di sintetizzatori campionati. Entra poi il basso elettrico che anticipa le evoluzioni di una sezione di archi che rende questa melanconica composizione una perla che splende nel buio delle tenebre. “Decks dark” si apre con suoni sintetici su cui parte la voce sognante di Thom Yorke, sempre slegata dalla melodia principale. Anche in questo bravo è presente l’orchestra i cui archi si fondono mirabilmente con il tappeto di tastiere elettroniche. Un delicato arpeggio di chitarra acustica e siamo in “Desert Island disk”, un brano intimista e delicato; una ballad con gli archi che si fanno strada pian piano. Segue “Ful stop” che inizia con suoni elettronici cupi e drammatici. Il brano poi prende forma con violini, violoncelli e una ritmica incalzante che rendono la canzone maestosa. E’ uno dei momenti più incisivi dell’album in cui appare perfetta l’osmosi tra suoni acustici e quelli delle tastiere. La successiva “Glass eyes” è un vero gioiello ‘ambient’ di grande suggestione. I sofisticati arrangiamenti mettono in evidenza l’interpretazione vocale di Yorke; sintetizzatori e violini creano tappeti che sembrano quasi prendere l’ascoltare e portarlo su spazi infiniti. Un brano struggente che lascia il segno. “Identikit” torna su una dimensione più elettronica e ipnotica grazie al lavoro delle percussioni di Phil Selway. Poi improvvisamente entrano maestosi cori femminili e l’orchestra che rende la composizione semplicemente grandiosa. Atmosfere spaziali e un pianoforte preparato ci introducono in “The numbers”. Poco dopo si inseriscono una serie di arpeggi di chitarra acustica che anticipano la voce sognante e cristallina di Thom Yorke, in grande evidenza in tutto l’album. Anche in questa traccia dai tratti inquietanti è decisivo il ruolo dell’orchestra diretta da Hugh Brunt. Chitarra acustica e voce sono protagoniste in “Present Tense”, una ballad sempre in bilico tra arpeggi folk che sostengono un drammatico sottofondo di cori femminili. Con la successiva “Tinker Tailor soldier sailor rich man poor man beggar man thief”, torniamo su atmosfere surreali e metafisiche che ricordano l’album “Kid-A”. Suoni sintetizzati e campionati fanno da base per la splendida voce di Yorke. Quando entra la sezione ritmica e il pianoforte il registro si fa sempre più marziale e drammatico. Violini dissonanti completano questo ‘dipinto’ davvero straordinario. Gli arrangiamenti gridano al miracolo per complessità e scelte avanguardistiche. L’album si chiude con “True love waits” che inizia con un piano digitale e voce in dissonanza rispetto alla linea melodica.

Con “A moon shaped pool” i Radiohead sono tornati prepotentemente alla magia creativa dei tempi di “Ok Computer” e “Kid A” con una maggiore consapevolezza e maturità. Il punto di forza che rende l’album a dir poco sorprendente è la complessa tessitura degli arrangiamenti che pone l’ascoltatore come se fosse davanti ad un meraviglioso mosaico bizantino fatto di suoni del XXI secolo.

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