Nadima

Nadima, sei arrivata in una fredda mattina di Marzo travolta dal chiacchiericcio della gente. Ricordo i tuoi capelli lunghissimi, neri, che cadevano lungo il viso smilzo. Avevi labbra sottili e serrate e due occhi di legno liquido incorniciati da sopracciglia folte che donavano al viso un’espressione dura e feroce.

E nascosta nella durezza dei tuoi occhi, delle tue mani strette nei pugni, delle labbra serrate e dei tuoi ventun’ anni, ancora non sapevi cosa il destino ti avrebbe riservato. Eri così giovane eppure per te avevano scelto un marito molto più grande, un uomo semplice che dalla vita non aveva preteso molto ma ora, per lui e per il suo clan, era arrivato il momento di concretizzare. Tu eri perfetta, giovanissima, anche tu Rom e forse, pensavano, facilmente addomesticabile; la compagna perfetta per un uomo che sentiva forte lo scorrere degli anni, senza calcolare che tra i tuoi e i suoi c’era un abisso incolmabile. Ti accolsero calorosamente, erano in tanti, c’erano uomini dalla barba nera e donne vestite con gonne lunghe. Ti sentivi smarrita tra quegli estranei che ti lanciavano occhiate di grande soddisfazione perché erano sicuri che non avrebbero potuto scegliere meglio. L’unica a non poter scegliere eri stata  proprio tu. 

C’era una gran confusione, voci che si mescolavano, grida, risate, tu però eri impassibile, ferma, immobile come se nulla potesse scalfire i tuoi pensieri, ma ad un tratto vidi le tue guance infiammarsi in una vampata di sdegno, quando una mano tentò un castissimo abbraccio attorno alla tua vita. Gli angoli della tua bocca si contrassero in una smorfia di dolore ma nessuno si curò di questo. Eri lì, questo gli bastava. 

Passarono i mesi e ogni tanto ti incontravo per strada, sempre in compagnia di altre donne, turbe rumorose dove tu eri palesemente una nota stonata.

La gente parlottava sul tuo conto, ipotizzavano di tutto, dall’età  alla provenienza, immaginavano la tua famiglia, i tuoi affetti, la tua vita precedente e quello che poi sarebbe stato il tuo futuro. Gustavo era un uomo buono dopotutto e per tanti la sorte che ti era toccata non era poi così male. Sì, perché, per loro, non avresti potuto ambire a qualcosa di diverso. 

Io ti guardavo e vedevo una giovane ragazza costretta in un ruolo non suo, i tuoi occhi mi ricordavano quelli delle tigri nei circhi, dallo sguardo feroce ma intristito dalla  cattività. E ti pensavo moglie di un uomo che non avevi sognato, voluto, e che non avresti amato, perché eri una ragazza come tante altre, giovane, con il diritto di scegliersi la persona da avere accanto per la vita. Una scelta accettata, subita, ingoiata come un amaro boccone … Perché il matrimonio doveva rappresentare l’unica ancora di salvezza per te e per tante altre? Me lo chiedevo e non trovavo risposta, non la trovo ancora adesso.

Iniziai a suggestionarmi, ti pensavo costantemente, non so cosa mi stava succedendo. Non riuscivo ad accettare questa tua situazione eppure neanche ti conoscevo, eravamo due perfette estranee. Fantasticavo su una tua possibile fuga, ti avrei suggerito di scappare, di correre incontro alla tua vita. Ma forse fantasticavo, dopotutto io non avevo avuto neanche il coraggio di fare l’erasmus e di certo ero la persona meno adatta per suggerirti un tale stravolgimento di vita.

Dopo qualche tempo le tue forme si ammorbidirono plasmate dalla gravidanza e mi sembrò che anche i tratti del viso si fossero ingentiliti. Iniziai ad abbandonare le strane idee sovversive che avevo riversato su di te; forse, pensai, saresti stata felice anche così, dopotutto un bambino è sempre un dono. E poi le cose non vanno mai come pensiamo, la felicità prende delle strade diverse da quelle che ipotizziamo nei labirinti contorti della nostra mente. In quest’idea riposi la mia rassegnazione.

Era una domenica di fine ottobre,  nel pomeriggio sentii una sirena squarciare il silenzio e delle donne in strada che gridavano frasi spezzate, strozzate in gola. La sera venni a sapere che non erano riusciti a salvare il tuo bambino. Furono giorni di dolore, di pianti, di preghiere, di riti antichi e di fiori bianchi. Ti pensavo tanto.

Adesso a distanza di anni, ancora mi ricordo di te e ti penso, ma col sorriso sulle labbra. Ti penso con gioia, la stessa che provai quando un giorno mi dissero che eri andata via. La rassegnazione aveva dato posto al coraggio, avevi scelto di poter scegliere. Io ti ricordo col sorriso. Ciao Nadima.

Condividi sui social

Articoli correlati