Vite invisibili. Storia di una coppia di clochard a Roma Termini. Reportage

ROMA – Dopo dieci anni e più che fai su e giù per la tratta ferroviaria Valmontone –Roma termini e viceversa ti capita di vedere tante cose. Oggi raggiungo Roma per lavoro rispetto a prima che lo facevo per studio. Passano gli anni e quel luogo che ogni giorno attraversi quale la stazione termini la vedi in continua evoluzione. L’espressione “la modernità liquida“ del sociologo Zygmunt Bauman ne rappresenta un’applicazione diretta.

Spazio e tempo in continuo fluire, appunto liquidi. Come ogni luogo di viaggio, c’è gente che parte, arriva. Lungo i binari una folla si muove scomposta assumendo tante forme. Ci si saluta prendendo lo stesso treno, incontri il vicino di casa, il conoscente, l’ignoto, l’amico. Lavori infiniti di ristrutturazione ne fanno un cantiere infinito. Si aprono e chiudono negozi, cosi come i passaggi pedonali, le vie di accesso e deflusso cambiano continuamente. È davvero difficile trovare qualcosa di statico, di fermo, invece esiste è visibile nonostante ciò risulti invisibile. 

Binario 20 – 21 una striscia di cemento quasi simile ad un pontile di un porto ricoperto  di mattoncini. Uno spazio stretto ma al tempo stesso lungo, dove ogni giorno diversi treni vomitano ed assorbno centinaia di pendolari. Ormai se fai il pendolare ti accorgi prima ancora che il treno entri in stazione che stai per scendere al binario 20, non tanto perché vedi l’insegna con su scritto il numero, ma perchè vedi loro. Felizia e Rimastak la coppia di Clochard che con il loro carico di bagagli sono sempre fermi li. Stessa panchina da anni, dei veri osservatori della liquidità umana. Ordinati, puliti, soprattutto gentili salutano ogni qual volta che una persona incrocia il loro sguardo Tante volte mi son chiesto chi fossero e quale fosse la loro storia. Decido di realizzare un reportage sulle vite invisibili, proprio li al binario 20 della stazione di Roma Termini.

Un giorno di rientro, con la macchina al collo, chiedo alla signora se mi concede uno scatto, lei acconsente. Poi dopo giorni è venuta l’idea di cercare di raccontarli. Cosi decido, passo e ne parlo con la signora Felizia, finalmete conosco il suo nome e lei il mio. Stazione termini, do appuntamento alla coppia di closhard, mi presento sul binario con la macchina ancora in borsa. Il marito che di solito  dorme di giorno per permettere alla compagna di dormire di notte è invece sveglio. Mi aspettava quasi immaginasse che sarei arrivato a quall’ora.

Rimastak si chiama, ci presentiamo, espongo anche a lui cosa intendo fare, ovvero cercare di raccontarli. Quanti anni hai Rimastak e da dove vieni.

Con la calma di chi sa di essere intervistato, mi dice ho 62 anni e sono APOLIDE.  Cerco di capire di più chiedendogli di dove è originario. Della Lituania mi risponde, nato e cresciuto li e poi come un fiume in piena si inzia a raccontare parlando del suo passato, del lavoro che faceva e del viaggio intrapreso con la moglie.

Nel frattempo la moglie Felizia è sveglia, mi riconosce e saluta, il tempo di andare in bagno in uno dei vagoni parcheggiati li accanto e si unisce anche lei alla conversazione.

Siete sposati gli chiedo? Felizia lei invece di anni ne ha 56 mi dice di si, abbiamo due figli ma non sono come vedi con noi. Sposati da 38 anni, mentre da 8 anni siamo qui in Italia su questo binario. Di cosa vi occupavate quando stavate in Lituania Rimastak l’operaio meccanico ed il muratore, mentre io la direttrice di una scuola d’infanzia. Oggi invece siamo qui.

Perchè siete partiti provo a chiedergli, cosa vi ha spinto? La risposta è secca, il desiderio di partire di viaggiare. Partire cercando che ci venisse concesso il foglio di via per spostamenti a chi non possiede nazionalità. Prima tappa la Germania, poi la Spagna, l’austria e l’Italia. Otto anni da allora dal nostro arrivo in Italia, il passaggio della frontiera e subito il fermo da parte della polizia con il conseguente sequestro di documenti. Da li in poi la nostra vita e ferma alla stazione Termini. Organizzatissimi, cercano di non farsi mancare nulla. Piatti, bicchieri, tante coperte e vestiti.

Uno degli elementi essenziali se però si vuol sopravvivere è l’acqua. Fino ad un paio di anni fa in stazione lungo i binari erano presenti molte fontanelle, oggi invece tutto ciò non esiste più. Ai piedi della loro panchina c’è un contenitore di plastica pieno di acqua ed una bacinella. Questa mi dice Felizia è la nostra cucina,  il nostro lavabo e la nostra lavatrice. Li facciamo quasi tutto, ci si lava il  corpo, le attrazzature domestiche e si fa il bucato. Ancora non è finita la conversazione e Rimastak salutandomi si mette a letto. Felizia intanto prepara un caffè. Tra la folla di passati che scappano per non perdere il treno in partenza,  da un forneletto di quelli da campeggio inizia a bollire l’acqua. È freddo e i vapori salgono su quasi si stesse producendo un incantesimo. Ne approfitto per fare qualche scatto cercando di rendermi quanto più invisibile  Chiedo a Felizia come fanno per mangiare. Intenta a ordinare la loro panchina, ascolta la mia domanda e mi sorride e spostando lo sguardo non più verso di me, mi dice ci arrangiamo. Stare al freddo se pensi poi che di sera – notte dobbiamo lasciare il  binario e dirigerci verso l’estreno della stazione, è dura. Ci mancano le vitamine, il sostegno alimentare, a volte barcolliamo per  via non dell’alcool in quanto non beviamo vino ma a causa della fame. La caritas che sta non molto distante da qui, ci porta del latte e dei  biscotti, ma non bastano. Il caffè ormai è pronto, lascio che Felizia se lo versi nella sua tazza e  l’afferri stretta tra le mnai per riscaldarsi. La saluto prendendo il treno accanto direzione Valmontone.

GALLERIA FOTOGRAFICA

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