1. Amici (Seconda parte)

Acceso il fuoco della cucina economica, un lieve calore cominciava a propagarsi per la stanza e con qualche pezzetto di pane vecchio e un po’ di formaggio il cane e Sil cenarono. I due diventarono subito amici e iniziarono a condividere la loro vita.

Sil chiamò il suo nuovo amico o meglio amica Tebra. Da quel momento diventarono inseparabili. Tebra riempiva le giornate di Sil e Sil quelle di Tebra. I due giocavano come bambini, dormivano insieme e condividevano pranzo e cena. Come sempre all’inizio del mese c’era da pagare l’affitto e i soldi scarseggiavano. “Come faccio stavolta… non so se quella merda di uomo vuole comprare o no questa settimana..”- pensava Sil. Si riferiva a un suo cliente che una volta ogni due settimane gli comprava del fumo. Dalla spensieratezza di quei giorni si tornava alla solita disperazione esistenziale e alla tragica lotta dell’individuo contro le sue possibilità. Sil si alza, prende Tebra e va a casa del tizio che forse avrebbe comprato qualcosa. “C’è qualcuno? Oh, apri sono Sil!!”- gridava fuori dalla porta d’entrata. Dopo dieci minuti un signore di circa cinquanta anni risponde e apre la porta. “Si entra Sil, scusa ma avevo le cuffie e non riuscivo a sentire il campanello” – disse l’uomo. “Allora come va? Se vuoi ho 200 euro di afgano da venderti. Già domani non ce l’ho più perché me lo aveva chiesto anche un altro ragazzo”- esclamò Sil. Tebra intanto annusava tutti gli angoli della casa, curiosa. “Va bene, vado a prendere i soldi, grazie del piacere!” – disse quel signore tutto contento. Luis era un professore di filosofia all’università al quale piaceva fumare e che aveva conosciuto Sil in biblioteca. Scriveva libri lui, era un pezzo grosso nel suo ambiente, ma aveva questo vizietto che diceva lo rilassasse e lo aiutasse a pensare. Sil divertito da quella figura si fidava e lo trattava come un suo conoscente oramai. La sola differenza era che lui non aveva un soldo per vivere mentre questo signore aveva tutto. Ciò lo infastidiva e per questo molte volte pur essendo in “amicizia” gli dava meno del dovuto, per poter guadagnare qualcosa di più. Terminato l’affare e congedatosi da quella figura illustre Sil e Tebra si dirigono verso la piazza del centro per vedere se ci fosse qualcuno in giro. Seduto sui gradini con la sua birra c’era l’instancabile bevitore di nome Renè, un francese che aveva perso tutto al gioco e che viveva per strada suonando la sua chitarra. Sil, che lo aveva conosciuto in un bar, si sedette per fumare una canna con lui e Renè gli chiese se volesse una birra. Lui accettò. “Che bel cane! Nuovo?” – chiese il francese. “Si, si chiama Tebra!” – rispose orgoglioso Sil. Tebra era proprio bella, era un incrocio con un lupo ed un cane da pastore, bianca e grigia con gli occhi neri, intensi. Per questo le aveva dato questo nome, i suoi occhi ricordavano la profondità e l’oscurità della notte. “Sai, quando giocavo per me i soldi non avevano un valore reale, erano soldi vinti al gioco e quindi non erano sudati… adesso per un euro posso aspettare ore…. Io spendevo anche mille euro a sera!” – diceva Renè tutto orgoglioso di un passato che lo aveva ridotto così. “Ah, io mille euro non li vedo da un po’!” –  rispose Sil ridendo. Poi non avendo tanto più in comune da condividere e terminata la birra Sil chiamò Tebra e si dileguò per le vie del centro. C’era una manifestazione quel giorno e la polizia era ovunque. Era pericoloso uscire allo scoperto, meglio lasciare il tutto a casa. “Andiamo Tebra!!” – e i due si diressero verso casa. 

L’acqua della doccia non era del tutto calda pero ci si doveva accontentare. Per cena ci sarebbero state delle patate e un po’ di riso. L’odore di hashish permeava la stanza e Tebra dormiva. La lettura del libro della biblioteca accompagnava quella notte fredda e malinconica e intanto il mondo continuava a girare inseguito dalla lotta per la sopravvivenza. Tutti si davano da fare per guadagnare, per essere qualcuno, per avere una posizione, per mentire, per rubare, per vendere la propria dignità. Sil e Tebra se ne stavano in disparte ad osservare impauriti un mondo che per loro non aveva niente a che fare con la vita e con il tempo. Tebra intanto aveva dei disturbi e i soldi per il veterinario non c’erano. Sil allora mise da parte i suoi idealismi e si abbassò a cercare quello che rende l’uomo simile ad un cosa, un lavoro. Sil doveva guadagnare qualcosa per pagare il veterinario con cui adesso aveva un debito di 300 euro. Tebra era stata operata ad una mammella e ai denti e adesso i conti andavano pagati. Sil che non aveva i soldi neppure per se stesso, avrebbe dato tutto per la sua compagna di vita. Si mise a cercare qualcosa da fare. Non c’era nulla in giro. Incontrò per caso un posto da cameriere in un ristorante del centro e da lì iniziò il suo nuovo calvario. Lavorava 13 ore al giorno senza pausa, era pagato in nero tre euro la ora e per di più umiliato da un padrone figlio di papà che non aveva mai lavorato in vita sua. Doveva stare tutto il giorno distante da Tebra, lei intanto faceva i suoi bisogni in casa. Quando Sil tornava la notte era morto e qualche volta non aveva nemmeno le forze per portare Tebra di sotto a prendere un po’ di aria. La sua vita era diventata un incubo. Le risa della gente felice e ebbra del vino che serviva, gli tornavano in sogno la notte. Non aveva tempo nemmeno per andare in farmacia a prendersi delle aspirine. I suoi colleghi naturalmente vivevano nelle stesse condizioni ma non dicevano niente, anzi sembravano essere felici della propria situazione e si ritenevano fortunati perché avevano un lavoro. Sil era costretto a vivere in questo mondo 13 ore al giorno. Tutto girava attorno solo a quella merda di padrone del ristorante. Come poteva essere realtà tutto questo, si domandava Sil tra sé. In pieno centro, senza contratto e sottopagato. Intanto i colleghi essendo l’ultimo arrivato lo trattavano da idiota e gli dicevano che era un fallito perché non sapeva portare tre o quattro piatti alla volta. Sil avrebbe voluto uccidere qualcuno, ma pensava a Tebra e al suo bene. Tra poco si sarebbe licenziato e non avrebbe più rivisto quelle persone. Infatti raggiunta la cifra per pagare il veterinario non si presentò più in quella merda di posto, dove già a sostituirlo c’era un indiano. Tebra era felicissima di poter stare con il suo amico tutto il giorno come una volta. E che bello era tornare a leggere un libro, riappropriarsi del proprio tempo, fare quello che si vuole e non avere nessuno che ti insulta e che ti umilia ad ogni ora. Che bello e sano era non lavorare. Sil si promise che non sarebbe più tornato a fare quelle cose, ad abbassarsi tanto, ad umiliarsi per quattro soldi. Se non fosse stato per il veterinario, non ci sarebbe mai andato a lavorare. Accesa la sigaretta, si alza, si stende per terra vicino a Tebra e guardando il soffitto pensa a come stava bene da piccolo, coccolato e amato da tutti. Ora nei suoi 36 anni, doveva essere qualcuno per la società, ma il problema era che lui non voleva essere nessuno. Non aveva scelto di vivere. Non voleva trovarsi a stare in posti di lavoro e ridere delle battute degli altri solo per poter finire senza problemi una giornata. “Che schifo!” pensava. L’unica soluzione che vedeva era la galera. Tre pasti al giorno, un letto e forse il riscaldamento gratis. Ma Tebra? Che fine avrebbe fatto? Oramai se ne era innamorato e sembrava che anche lei amasse il suo padrone. La notte calava piano piano ed un altro giorno passato a non fare niente finiva. Che bello era il non produrre, lo starsene distante dalla logica del profitto. Ma anche per lui questo era da considerarsi se voleva sopravvivere. 

Chiamato Paco, il pusher di sua fiducia, si mette il cappotto e scende al parco per prendere il suo materiale da lavoro.

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