1. Amici (Prima parte)

Accesa la sigaretta prende il posacenere e ancora bagnato dalla pioggia torrenziale di quella grigia e fredda giornata, si siede sulla poltrona che aveva trovato pochi giorni prima nella spazzatura vicino casa.

Alza la testa, guarda il soffitto per alcuni istanti, chiude piano piano gli occhi e comincia il suo viaggio introspettivo. La stanza cominciava a farsi sempre più grande ed i colori più intensi. Con le mani ancora bagnate prende un bicchiere e lo riempie con un po’ di whisky scozzese. Il freddo e l’umidità rendevano l’ambiente inospitale, quasi da non potersi togliere la giacca una volta arrivati. Non era il calore del focolare domestico quello che Sil trovava quando tornava a casa. Intanto il respiro si faceva più lento, il fumo sia dell’umidità che della sigaretta usciva dalla sua bocca e riempiva la stanza. I pensieri cominciarono a travolgerlo, in certi momenti rideva, in altri era teso e preoccupato. Fumava in continuazione. Finalmente arrivò l’alba e l’effetto del trip che si era preso la sera prima lo aveva abbandonato lasciandolo con una gioia di vivere indescrivibile. Sil si alza dal divano, si guarda attorno e si accorge di quanto sia disordinato. Non ha le forze per rimettere tutto a posto e nemmeno la voglia. La polvere era ovunque. Il tetro sole che entrava dalla finestra gli fece pensare di uscire a prendere un caffè per godersi quei rari momenti di luce. Fuori c’erano tre gradi, la brina sull’erba e le strade ancora un po’ ghiacciate. Il calore del bar gli riscaldava le ossa e il caffè fumante gli faceva ricordare i bei momenti della sua infanzia. Ora Sil vive da solo, non ha niente da fare nel senso che non ha un lavoro e nemmeno lo cerca. Vive la giornata e legge libri, soprattutto romanzi. Vive dei risparmi di qualche lavoretto che alle volte trova, sempre per caso. Amici non ne ha tanti o meglio non ne ha perchè sempre è costretto a cambiare di posto a causa della precarietà della sua esistenza.

A Sil non piace lavorare. Il lavoro lo aveva sempre offeso, umiliato, costretto a non essere se stesso per la maggior parte del suo tempo. Non riusciva a vivere in questa schizofrenia per guadagnare dello sporco denaro. Se poteva si aiutava vendendo un po’ di fumo ma la gente oramai avendo pochi soldi in tasca non poteva pagarlo e il rischio non valeva il gioco. Esce dal bar e si dirige verso il centro per visitare il suo luogo favorito, la biblioteca centrale. Lì poteva godere del silenzio, della lettura dei libri che erano gratis e del riscaldamento che come i libri non costava niente. In realtà Sil non era mai stato un grande lettore. Preferiva essere il protagonista dei propri pensieri e con il tempo aveva sviluppato un’intolleranza verso le storie scritte da altri. Era attratto solo dalla letteratura romantico decadente e dalla saggistica. In quei momenti dettati dalla solitudine, apprezzava il mondo che gli girava intorno e godeva del suo tempo. Guardava le persone che lo circondavano e le vedeva afflitte dalla fretta, dallo studio, dalla tecnologia, dalla preoccupazione. Le facce che stava vedendo, anche standosene in una biblioteca, riflettevano quelle di un mondo esteriore mosso dalla frenesia e dalla nevrosi. Sil si riveste del suo lungo cappotto nero, prende in prestito due romanzi francesi e appena raggiunta l’uscita dell’edificio si accende la sigaretta che si era preparato all’interno, al riparo dal vento, che quel giorno era freddo. Ora che fare? Un po’ di fame lo stava affliggendo e così decise di andare nella caffetteria dell’università più vicina dove con poco poteva mangiarsi un panino. Entra e vede un gruppo di studenti che si erano trovati per pranzare assieme e lui quindi decide di sedersi in un tavolino dalla parte opposta per non essere infastidito dalla falsa felicità di quel gruppo. Legge il giornale e solo si sofferma su un articolo, per di più in maniera fasulla, nel senso che in quel giornale non aveva trovato niente che lo interessasse ma per non guardare il vuoto si obbligava a leggere qualcosa con il fine di far passare il tempo che lo divideva dal suo panino. Pagato il conto esce e ricomincia il suo cammino verso l’ignoto. Dopo una siesta di due ore scende i quattro piani che lo separano dal mondo e fumandosi una canna decide di provare ad addentrarsi in un centro commerciale per comperare delle mutande, visto che quelle che aveva erano bucate. Entra in questo oblio di perdizione, dove l’aria è chiusa e secca; solo vede gente di fretta passeggiare come se fosse all’aperto con borse e bambini. Forse era l’effetto di quel fumo pesante in suo possesso che lo stava facendo sentir male o forse era l’atmosfera nella quale era piombato che lo strozzava in una angoscia atterrizzante. Voleva uscire da quel luogo ma era come se tutte le persone, che passando lo guardavano incuriosite da quell’aspetto bianchiccio e trasandato, lo trattenessero lì dentro camminando in un cerchio per non farlo andare via. Si siede in una panchina che era a lato di una fontana di falsa pietra e appoggiata la testa sulla sua mano destra chiude gli occhi. Dopo qualche istante la sicurezza del centro commerciale lo rianima e lo accompagna fuori dove pioveva a dirotto. “Tutto bene ragazzo?- gli chiede l’addetto alla sicurezza, “Si….si..”- risponde Sil confuso. Da quel momento Sil pensò di non voler più tornare in quel tipo di posti; la società gli faceva quell’effetto. Cos’era successo? Forse l’indifferenza delle altre persone lo aveva colpito a tal punto da perdere i sensi? Tornando a casa sotto la pioggia, senza ombrello, Sil si accorge di qualcuno che lo stava inseguendo, sentiva dei rumori dietro di lui. Si gira e si accorge che era un cane di taglia media, tutto fradicio, che cercava da mangiare nell’immondizia. Il cane lo raggiunge, gli fa un po’ di feste e comincia a seguirlo. Sil pensa che sia abbandonato e siccome l’animale lo stava accompagnando fino a casa decise di dargli qualcosa da mangiare e di asciugarlo un po’.

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