1. Il figlio della sirena, un bambino venuto da lontano

Una mattina fresca, prima che il sole inizi ad asciugare i ricordi della notte, Mario è sulla spiaggia. Piccolo, attende che il padre finisca con la rete, che metta tutto nelle casse e che lo porti al mercato. Non ci sono teli stesi a terra a pochi centimetri gli uni dagli altri.

La spiaggia non è rattoppata da pezze colorate e da etichette svolazzanti. Si sente l’odore del mare e non quello della crema protettiva. Mario è un bambino che sa stare in silenzio. Sa ascoltare il mare, sa distinguere un’onda dall’altra. Un suono, una melodia, la può custodire nella memorria. La ritrova a casa portandosi le sue “medaglie” alle orecchie, le conchiglie più belle trovate aspettando il papà. Le ascolta mentre gli altri guardano la televisione. 

Nel cielo un gabbiano annuncia il viaggio che ha di fronte, emette il suo grido rauco e si mette in volo. All’orizzonte invece qualcosa si muove al contrario. La luce riflessa si infrange su una testolina nera che fa capolino tra le acque: “Ciao terra, ciao terra! Arrivo, sto arrivando, aspettami!”.

Mario si porta la mano destra sopra le sopracciglia come a prendere la mira, per mettere a fuoco la voce di un bambino, in un paesaggio che sembra incontaminato dall’uomo. E’ il mondo e il momento perfetto per la fantasia. Potrebbe essere un pesce, un grande pesce parlante. “Chi sei? Da dove vieni?”. E la testolina scende giù e poi risale su, scende giù e risale su, per poi sentenziare: “Da lontano, da molto lontano”. 

“Dalle profondità?” domanda Mario perplesso.

“Sì. E tu?”, risponde la voce dal mare, come se avesse la situazione sotto controllo, come se fosse a casa sua e non al largo.

“Io sono qui”, risponde ad alto volume Mario. E poi, tra sé e sé, riflette: “Sono sempre qui, tutte le mattine”. Alza di nuovo gli occhi e trasognante chiede: “Sei il figlio di una sirena?”.

“Mia mamma è maliana”, risponde il misterioso essere che viene da lontano e Mario pensa: “Lo sapevo, è un tritone”. 

“Ma sei cattivo?”. La risposta  non si fa attendere: “Perché mi dici questo? Incontriamoci prima”. Mario allora cerca di saperne di più: “Perché sei laggiù? Come ci sei finito?  Mio padre dice che chi supera il faro, chi si allontana dalla riva è un bambino cattivo”. La creatura che si tiene a galla tenendosi stretto a un tronchetto di legno volta la testa in direzione opposta alla costa  e si distende come a voler vedere solo il cielo e l’acqua più scura.

Passano dei minuti e Mario non riceve risposta. Deluso, grida: “Vattene via brutto tritone, sei cattivo!”, ma subito la vocina si fa sentire di nuovo: “Io quel faro lo voglio raggiungere, di certo se stessi al tuo posto non lo supererei per giocare. Io non sono cattivo. Ora fammi guardare il mare, voglio guardare indietro, lasciami pensare a quello che ho lasciato prima che raggiunga la vostra terra”. 

Mario capisce di aver sbagliato: “Vieni dai, veloce, ti aspetto!”. Ma niente, il suo interlocutore ora è concentrato, non può distrarsi. Mario grida ancora: “Sono qui, dai, smettila di pensare. Vieni sulla spiaggia”. E ancora: “Ehi, Ehi, rispondi! Tutto bene?”, e impaziente: “Ehi, ehi, ma sai nuotare? Che gusto ci trovi a guardare dall’altra parte? Non c’è nulla, un bel nulla. Lo vuoi capire?”. 

Le richieste di attenzione di Mario sono interrotte dall’arrivo del papà che ha terminato il lavoro. Arriva con un sorriso da adulto per rimproverare il figlio: “Che stupido gioco! Preparati che dobbiamo andare. Smettila di parlare con i pezzi di legno!”. Mario ha gli occhi lucidi, perde la parola, prende le sue cose e segue imbronciato le indicazioni del padre. Passo dopo passo verso la macchina inizia a contare i minuti che lo separano dal ritornare in spiaggia. Pensa al suo amico e spera che tutto gli vada bene, che si riescano a conoscere, a incontrare. 

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