3. Impronte sulla sabbia. Fammi entrare.

La luna saluta il sole e gli cede il posto. Il mare lucente specchia il cielo, chiaro. Mario è appena arrivato, il padre è già salito sulla barca. “Vieni su, oggi è giornata buona, Ci faremo anche il bagno!”. Il giovane però sa di avere un appuntamento, lo spera.

“Resto qui papà, voglio giocare con un mio amico”. Il papà gli accarezza la testa e si raccomanda: “Va bene Mario, sono contento che tu abbia fatto amiciza con un altro bambino, ma sta attento agli uomini neri. Ce ne sono tanti, hai visto al telegiornale? Non mangiano da giorni, sono sporchi, cattivi. Io non mi allontanerò, ho il binocolo, voglio che restiate al solito posto, in modo che possa controllarvi”. Mario pensa che gli uomini neri non esistano, o meglio crede che non siano uomini dalla pelle nera, ma mostri cattivi che inventano le mamme per far spaventare i bambini e minacciarli se si comportano male.

Pensa che l’uomo nero sia un nemico di Babbo Natale, solo che vestito di giacca e cravatta nera, con la camicia bianca, e che abbia una pistola gigante tenuta su un cinturone da farwest, che si vede solo se l’uomo nero si sbottona la giacca. Questo anti Babbo Natale ha dei grandi scuri e i capelli impomatati. Vive nei tombini, ma ha tanti soldi e una casa bellissima, anche se sotterranea e condivisa con i topi. L’uomo nero ruba i bambini per una settimana, li fa piangere senza ascoltarli, forse è sordo, e poi li libera, li fa tornare a casa. Se Babbo Natale regala felicità, l’uomo nero prende i bambini per farli disperare per un certo periodo di tempo. Secondo Mario è un essere mitologico, forse non esiste, perché non l’ha mai incontrato, anche se qualche volta gli è sembrato di vederne alcuni, ma ogni volta che ha chiesto conferma ai genitori questi gli hanno detto che non si trattava di uomini neri. Mario sa che di certo parlare della loro esistenza è un modo usato dai suoi genitori per farlo stare buono, sa che in realtà non corre nessun pericolo e che il papà non lo controllerà stamattina, che penserà alla pesca e che si fiderà di lui. 

La spiaggia è polvere pulita, dorata. E’ polvere che resiste al mare e alla città. Ci si bagna di natura camminandovi sopra, e si pensa ascoltando i propri pensieri. Mario pensa al figlio della sirena, lo cerca con lo sguardo nell’acqua, ma stamattina non c’è nessuno in acqua, è troppo presto. “Ecciù”, un secco starnuto accompagnato da altre piccole frasi: “Che freddo stanotte!”, “Non c’è nessuno?”, “Sono solo?”. Viene da dietro una duna. “Sono qui!”, grida Mario con tutto il fiato che ha e inizia a correre, senza paura, con la curiosità, bramoso di meraviglia, verso quella voce che tanto cercava. E’ come l’apertura di un bocciolo, l’incontro. Davanti al sole che si fa sempre più forte, piano piano ci si apre al mondo, con tutti i colori che avevamo dentro e che non conoscevamo. Così i due si guardarono con attenzione, come la mamma di Mario guarda nella vetrina le scarpe che non può permettersi, ma non basta, allora si guardano come il papà di Mario guarda il pesce che ha abboccato all’amo, la sua giornata di lavoro, mentre tenta di tirarlo su, ma non basta. Si guardano come il Piccolo Principe ha guardato lontano nel deserto per trovare la speranza di arrivare da qualche parte, ma non basta. Si sono guardati infine come si scopre una nuova espressione del volto di fronte allo specchio, e, come neonati che prendono confidenza con la propria immagine, hanno allargato il sorriso, respirato con questo e poi si sono slanciati e si sono abbracciati, senza problemi. Senza convenevoli o preoccupazioni. Il Piccolo Principe nero ha dei capelli grossi, crespi, un po’ lunghi, che lavorati dall’acqua salata si sono intrecciati, formando piccoli dread che somigliano a rami pieni di foglioline. Sembra un albero in fiore, ha gli occhi grandi e lucidi che vogliono raccontare storie bellissime, occhi dai quali non si riesce a staccare lo sguardo, e sul volto color nocciola spuntano labbra delicate che regalano simpatiche smorfie che riempiono i silenzi di una mausica gioiosa. Ha degli abiti etnici del colore dell’oro, e una sciarpetta che svolazza da tutte le parti.

“Sei strano però!”, afferma Mario. “Hai una maglia che ti arriva alle ginocchia e hai una sciarpa quando fa tanto caldo”. Il Piccolo Principe nero si mette la maglia nei pantaloni: “Ora sono normale? Se ti piace sarò così, come mi vuoi. Non è una grande fatica. Non mi chiedere però di lasciare la sciarpa, me l’ha data mia madre e mi ha protetto nel viaggio. La sabbia non si mangia amico mio e il vento fa certi scherzi! Questa mi serve per proteggere il mio viso, per non farmi graffiare dal vento, per asciugare le mie lacrime, per nascondere le mie debolezze, per sentire vicino a me chi mi ama quando sono triste, per proteggermi dal freddo la notte, per ripararmi dal sole quando fa tanto tanto caldo, non come ora, che si sta tanto bene!”. Il Piccolo Principe nero è scalzo e Mario osserva i suoi piedi, cerca le sue scarpe o le sue ciabatte nei paraggi, ma non ci sono. il Piccolo Principe interpreta l’attenzione di Mario come un invito a giocare, si abbassa e appiattisce la sabbia che ha davanti con le mani, la leviga con delle carezze, poi si alza e inizia a disegnarla con i piedi.

Il suo piccolo alluce è una matita precisa. Traccia un grande cerchio, poi prende per mano l’amico: “Salta, entra dentro!”. Si erge verso l’esterno del cerchio e tenendosi in equilibrio stringe forte la mano di Mario, disegna una piccola barca fuori dal “suo mondo” e saltellando vi sale sopra. Guarda Mario e lo invita a seguirlo. Mario salta, ma non riesce ad entrare con tutti e due i piedi nella barca. “Non fa niente, è un gioco, non ti preoccupare”, lo tranquillizza il Piccolo Principe. I due sono stretti stretti, si guardano e ridono. “Ora tocca a te, disegna il tuo mondo e ci andiamo dentro”. Mario è in difficoltà, non sa come fare, è già uscito dalla barca una volta, non riesce a chinarsi per fare un cerchio con le mani, né a farlo utilizzado un solo piede. Interviene nuovamente l’amico: “Non devi per forza tracciarlo, immaginalo e fammi venire con te!”. Mario è contento, indica la sabbia prima non accarezzata dal Piccolo Principe, poi tutta la spiaggia, poi si gira verso la città: “Questo è il mio Paese, tu sei il benvenuto”. In quel momento dal parcheggio delle automobili l’assordante Nanunanunanu della sirena della polizia. Tre uomini armati e in divisa si dirigono con decisione verso il Piccolo Principe: “Quattro per quattro, 24, per la radice quadrata del prodotto di ab per bc”. Il Piccolo Principe non capisce cosa stiano dicendo e chiede a Mario, che traduce: “Vogliono le tue impronte”. “Ma sono sulla sabbia. Gli piacciono i miei disegni? Vogliono giocare con noi?”. “E’ un clandestino. E’ uno straniero”, rispondono i poliziotti. Da allora neanche Mario riesce più a capire cosa stessero dicendo.

E mentre Mario pensava fossero quelli gli uomini neri di cui gli aveva parlato il padre ed era bloccato dalla paura, le lacrime che segnavano il suo volto non riuscivano a levargli di dosso la felicità per aver fatto amicizia con quel bambino venuto da lontano. Il Piccolo Principe cercava di capire, vedeva quegli uomini così preoccupati per lui, che sembravano litigare per il risultato di un’espressione algebrica che non gli tornava. Lo presero in braccio per portarlo in caserma, Il Piccolo Principe salutò con la mano l’amico e facendosi forza, imbarazzato, cercò di spiegare al poliziotto che lo teneva: “Io sono bravo a disegnare, posso fare tutte le impronte che volete, ma non so ancora fare i calcoli. Ho paura di non potervi aiutare”. L’uomo gli accarezzò la testa, ma richiamato alla disciplina dai colleghi: “Orecchie di pennuto, lingua di drago. Il logaritmo di 6 per sessantotto alla trentaseiesima. Codice civile duecentotrentaquattro, codice penale, esternalizzazione, spending review. Siamo di fronte a un piccolo immigrato, forse un minore straniero non accompagnato. Forza: dobbiamo predergli le impronte digitali! Cinque, Sei, otto, problema sicurezza al quadrato, assicurazioni, spot, terrorismo ipotenusa”. 

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