Speranza e conoscenza (seconda parte)

Quanti pensieri gli attraversavano la testa, quanto scorreva veloce il tempo e nel contempo quanto sembrava lungo ogni attimo. A volte aveva paura, o meglio direi angoscia. L’angoscia infatti non è paura per qualcosa di definito, di determinato, ma anzi è paura per qualcosa che non si può definire. Orazio pensava alla morte, Orazio aveva paura della morte e questo pensiero, in certe notti a volte malinconiche, lo tormentava mettendolo alle strette con se stesso e con le sue risposte.

Tutto girava e niente sembrava cambiare. Ma chi dice poi che il cambiamento possa essere sempre benefico, risolutivo, e che invece non possa portare alla distruzione completa di quel fine equilibrio che si era creato prima di codesto previsto cambiamento.

Quanta televisione, quanto marcio che entrava nel suo cervello, che gli inquinava la mente, che gli distruggeva una corretta memoria degli eventi. Tutto appare in contrasto, le regole che sembrano vigere in natura si sconvolgono per portare a conseguenze inaspettate anche chi ha vissuto ottanta anni su questa terra. Orazio si sentiva proprio così! Pensava di aver vissuto al meglio tra i suoi sedici e i suoi vent’anni. In quello spazio di tempo gli era sembrato di aver capito tutto della vita, di essersi sentito un uomo, vivo. Ora invece aveva paura di tutto, perfino di uscire di casa. Non aveva più le forze per reagire; i suoi erano comportamenti falsi, che coprivano questa paura del mondo. D’altronde si sta parlando di un mondo malato, di una realtà che nemmeno Orazio capiva più. “Che brutta cosa l’amore” pensava tra se….. “Più ami una persona e più le fai del male; è come se ti sentissi autorizzato a farlo”. Intanto fuori se c’era bello o brutto a Campanin non importava nulla, lui era uno di quelli che se c’era da divertirsi o da star bene, non si faceva rovinare la festa sicuramente dal tempo. Non aveva la macchina, non aveva un lavoro, non aveva una ragazza e nessuno con cui confidarsi. Come faceva ad andare avanti mi chiesi, qual è la forza che lo spinge ad affrontare tutto ciò. Intanto che i soliti eventi della quotidianità si susseguivano giorno per giorno, Pedro, il cugino di Campanin, era immischiato in una brutta situazione lavorativa di sottomissione totale, ed aveva chiesto la collaborazione del cugino, che gentilmente lo aiutò. Ma i due in seguito alla stupidità di Pedro litigarono e quindi anche l’unica figura, odiata, ma fino a quel punto rispettata, veniva meno dalla vita di Orazio. Campanin non era un idealista però ci teneva al rispetto reciproco e odiava i giochi di forza tipici dei bambini, che ogni giorno e sempre più riscontrava nel comportamento anche di quelli più vecchi di lui. Non voleva lavorare per un padrone a cui non importava niente di lui e della sua vita, perché sarebbe stato sicuramente maltrattato da una persona di questo genere. Non accettava questo tipo di sottomissione, per la quale ad un certo punto della vita un uomo deve annullarsi in un edificio e soccombere agli umori di chi lo comanda solamente per poter sopravvivere fisicamente. “È la fine..non c’è una via d’uscita..” Poi ogni giorno subentrava la rabbia per aver gettato via il suo tempo e regalato del denaro a delle persone che lo avevano preso in giro. L’università e i suoi stupidi crediti, le stupide regole, i suoi falsi meriti. Si sentiva preso in giro, e anche maltrattato da questo. L’unica figura di importanza per lui era stata quella di un professore che aveva capito la sua umanità, e che lo trattava come un amico, ma purtroppo Orazio una volta conseguita la laurea non si fece più vedere, non lo andò nemmeno a salutare a causa della rabbia che aveva in corpo, poiché aveva capito in anticipo che ciò che aveva studiato non gli avrebbe permesso di fare nemmeno un lavoro che non avesse avuto a che fare con i cessi. Campanin non è che non rispettasse le persone che di lavoro facessero questo mestiere, anzi proprio nell’estate era andato a lavorare al mare e proprio a lui erano toccati la pulizia dei bagni della spiaggia che a mio avviso sono anche peggio di quelli di una stazione.

Quindi era un uomo che aveva sempre fatto lavori umili, ma che sperava di trovare qualcosa in cui potesse essere utile anche un suo ragionamento. Tutte belle e sane utopie. Se a questo mondo, o meglio in Italia, non si è figli di qualcuno, allora tutti i buoni propositi, professati dalla classe borghese in via di estinzione, possono essere cestinati tranquillamente, perché questo è un paese dove la “conoscenza” ha il suo fascino e rovina la gran parte dei cittadini che prima di trovarsi un lavoro si illudono che lo studio possa portare loro dei benefici per un proprio futuro lavorativo. Orazio pensava di essere stato fortunato a poter studiare, ma sapeva sin dall’inizio che ciò che andava a fare in società non poteva servire a nulla. O meglio la sua era una conoscenza pura delle cose, che non si preparava a servire nessuno e niente. Per questo era bandita dal mondo. La “conoscenza” di cui si parla in società è quella che si ha di persone che possono farti avere, tramite un favore, una vita lavorativa che va dal dignitoso ai massimi livelli di ricchezza. Chi conosce, perché ha studiato e ha delle conoscenze, ma non “conosce” le persone giuste è automaticamente fuori da tutto, totalmente abbandonato a se stesso. Le persone di questo paese, secondo Campanin, sono le une contro le altre per partito preso. Non si può fare più nulla, questa è una guerra tra poveri che va avanti da troppo tempo per poter intervenire 

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