Capitolo 11. Origliare l’amore sul cemento

Foto di Alessandro Schiariti

Foto di Alessandro Schiariti

A Primavalle la giornata dura di più. Non conosce il limite della notte, come se la vita ricordasse a tutto un quartiere che va vissuta più a lungo. Va pensata, cavalcata, domata, coccolata, scopata, corteggiata, urlata, sussurrata, camminata, sudata.

Totonno ha fatto un ottimo lavoro, ha trasformato una vecchia portineria in una bomboniera per due innamorati. La moquette blu segna il cammino verso l’unica stanzetta, un soggiorno con una branda ad una piazza e mezza e una poltrona. La brandina è preparata con cura, con lenzuola bianche orlate di merletti ricamati a mano. C’è un angolo cottura, con un frigo e un tavolino. Sul tavolino, un vassoio con due cannoli giganti, farciti di cioccolata del principe come quelli del Conte Faz, e una bottiglia di vino della Tenuta di Torrevecchia. Accanto ai bicchieri, un biglietto, segnato da una scrittura tremolante, in stampatello: “Buonanotte Dottore, Buonanotte Dottoressa”.

Una piccola porta di legno dà accesso al minuscolo bagno: tazza, lavandino e doccia in 2 metri quadri. Mi accomodo sulla poltrona, Magdaleine sulla brandina.

Siamo stanchi, ma felici. C’è il silenzio di un film muto. I nostri sguardi si incrociano ogni qualvolta voltiamo una pagina. Lei legge Murakami, “Kafka sulla spiaggia”, io Foucault, l’“Archeologia del sapere”. Lo faccio con brama, ma non me ne frega più molto di quei discorsi, li ho fatti miei da un bel pezzo, voglio solo accorciare i tempi che separano il mio sguardo dai suoi occhi. Vorrei una scusa per attaccare bottone, sono come un dodicenne davanti ad una bella coetanea, mi chiedo se è il caso di parlare del tempo, di prevedere la pioggia, così, tanto per vedere se suscita qualche reazione, oppure penso di chiedere l’ora, ma subito mi freno. Ho paura mi risponda che sia tardi, che posi quel dannato libro giapponese e si metta a dormire. 

Vorrei aprire quella bottiglia, ma non ne ho il coraggio. Mi ricordo di mia nonna, della sua preghiera del cuore, del fatto che mi sono sempre promesso di non usarla per stupidaggini e allora tra me e me recito: “Cuore, amore, Gesù, sono una pecora e tu sei il mio pastore, apro a te tutto il mio cuore, entra e cerca di capire  quel che voglio da te”.

La religione è la mia scaramanzia, Gesù è il mio talismano. Sono un comunista che si vende bene di fronte ad ogni ostacolo insormontabile e lassù qualcuno vede e provvede anche per quelli come me. Un po’ atei, ma così religiosi da farsela sempre una chiacchierata con Dio, pur di non sentirsi soli. 

La sacralità di questo raccoglimento viene scossa dalle voci provenienti dall’appartamento vicino. Voci che sembrano onde, prima calme, poi mosse. Diventano urla, imprecazioni. Onde che si scontrano sugli scogli, che si perdono nel mare, che si rincorrono, fuggono, si avvicinano, si sfiorano, non si placano.

E’ una voce femminile, la prima ad animare la nostra serata che sembrava stesse già volgendo al termine. E’ agitata, violenta, ma anche trascinata come un lamento. 

– Questo non me lo puoi fare! Mi stai distruggendo. Sei un bastardo egoista!

E subito il presunto bastardo egoista che risponde:

– Sei orgogliosa! Io mi sto solo difendendo. Non esisto per te. Ho il diritto di dirti quello che non va.

La donna si altera ancora di più e in tono quasi disperato urla:  

– Ma cosa vuoi? Cosa cazzo vuoi da me?

– Voglio un figlio e lo voglio ora e tu invece stai sempre a rimandare. Dimmelo almeno, non mi prendere per il culo!

– Sei uno stronzo, sei un egoista schifoso. Come ti permetti?

– Sono quattro anni che stiamo insieme, ci amiamo: perché no?

– Mi colpevolizzi di ogni cosa. Credi sia colpa mia?

– Ma che cazzo dici, non ci abbiamo mai provato!

– Io speravo di essere già incinta, ma no! Non è così.

– Vaffanculo, io non ti colpevolizzo di niente. Abbiamo fatto l’amore tre volte negli ultimi tre mesi, nemmeno se fossi stata la Madonna saresti rimasta incinta. Che c’è? Ti faccio schifo ora? E sì, perché è questo il problema, dimmelo!

– No!

A quel punto lei scoppia, piange, ma quando poi interviene, è dura. Lui non piange, ma ha il tono più basso e tra uno sfogo e l’altro immagino perda delle lacrime pesanti, di quelle che rigano il viso, che infiammano la pelle. Sia io che Magdaleine abbiamo posato i libri e siamo assorti dall’ascolto.

Mentre io mi alzo e, dopo aver tirato fuori il mio coltellino da campeggio, provo finalmente ad aprire la bottiglia, riprende il ragazzo:

– E’ da quando abbiamo deciso di provare che sei cambiata! Dopo due giorni hai iniziato quella terapia, non avevi mai voluto prendere medicine, ma ora invece sembra che godi ad abusarne. Poi pensi solo al tuo lavoro.

– Ma cosa stai dicendo? Sei impazzito? Ma io ti ammazzo…

– Ammazzami, ammazzami pure, ma questa è la verità!

– Ma lo capisci che io sono una donna, che mi fanno subito fuori se aspetto un bambino? Il contratto mi scade tra due mesi, mi sto dando da fare perché voglio che almeno me lo rinnovino. Con cosa lo campiamo nostro figlio, col tuo misero stipendio?

– Lo vedi? Poi sarei io a distruggerti! Non ci è mai mancato niente, io me ne fotto del tuo contratto, di qualche centinaio di euro in più al mese me ne sbatto. Cogliona!

– Sono costretta a dire cose che non penso, a fare la razionale. A dover passare per quella che rimanda quello che sogna. Beh, vaffanculo! Sei proprio uno stronzo!

Ogni rumore sembra soffocare di colpo la propria voce. L’assenza di suono è un buco nero che rimanda a quella povera ragazza, alla sua condizione di donna in un mondo fatto di milioni di parole senza significato, di musiche mangia frastuoni, di promesse spezza sogni. Lei innamorata del suo uomo costretta a soffiare sulla fiamma delle loro passioni per restare con i piedi per terra in un percorso di cemento che si tramuta sempre più velocemente in pericolose sabbie mobili. E lui lì, senza le giuste parole, a muoversi tra la rabbia e i gesti di un disperato malinconico innamorato che ha nostalgia dell’attimo prima, del bacio che non può più chiedere, ma che ricorda come se gli fosse appena stato dato.

– Amore, scusa.

– Scusa un cazzo!

– Ah sì, allora vaffanculo te! Qui stiamo parlando della cosa più importante della nostra vita e tu continui a fare l’orgogliosa. L’egoista sei tu! Forse è la prima volta in cui i nostri momenti non coincidono. Tu non te la senti, ma io ne ho la necessità. Cazzo, quest’anno ho pensato di morire dopo l’incidente. Io ho un debito con la vita. Rimandare sarebbe sputare su me stesso, sulla forza che ho tirato fuori per andare avanti, per costruire una famiglia. E tu? Tu che volevi restare incinta mentre io pensavo di morire, ora ti tiri indietro?

– Io non posso sentirmi vecchia a trent’anni. Cazzo, non sono vecchia, ma lo sono! Non avrò altre possibilità di lavoro! Io non mi compro niente da più di un anno. Vado in giro con quello che indossavo quando avevo vent’anni. Non usciamo mai, non incontriamo mai nessuno. Tu stai sempre al lavoro e per cosa? Per ottocento euro al mese. Dobbiamo essere realisti… 

– Sono realista, non abbiamo debiti e se non usciamo è perché lavoriamo tutti i sabati e tutte le domeniche. I nostri amici in mezzo alla settimana lavorano!

– Non lo vedi come siamo ridotti?

– Lo vedo, sì che lo vedo. E’ per questo che ho bisogno di avere un figlio ora. Ci siamo conosciuti che avevamo tanti sogni, passavamo il tempo in radio. Avevamo un sacco di speranze e ora? Ora stiamo cadendo a pezzi. Se aspettiamo un altro anno cosa gli mostriamo a ‘sto ragazzino? Due derelitti? Io gli voglio far vedere quello che non ho avuto. E per farlo ho bisogno di essere forte. Sento di avere ancora delle possibilità, di non essermi venduto del tutto a questo mondo. E finché resisto voglio avere un figlio, mostrargli tutto quello che un uomo qualunque non può.

– Ma cosa gli vuoi mostrare, che per la fatica non riesci nemmeno a rimanere sveglio per scambiare due parole? Che per uscire la mattina all’alba non riesci nemmeno a farti una doccia?

– No, gli voglio far vedere che suo padre con ottocento euro al mese fa un lavoro pulito, onesto, che aiuta gli altri, che fa volontariato, che sa amare. Che non tradisce la moglie, che è innamorato. Che ha memoria, che crede che il mondo si possa cambiare. Voglio giocare con lui, voglio sbagliare con lui. Voglio fargli vedere che non bisogna eccellere a questo mondo, che può essere eroico riconoscere i propri limiti. Che del tempo trascorso insieme è la qualità quello che conta, non la quantità. Voglio fargli vedere che mi fido di te, che è con te che voglio crescerlo. Voglio raccontargli quello che abbiamo vissuto, voglio ridere degli altri con lui e voglio che si senta a casa, qui. In mezzo a noi.

Lei piange, piange. Sembra strozzarsi. Si sente un botto, come un pugno sul legno.

Magdaleine mi fa segno di alzarmi, di andarle vicino. Ne approfitto, mi butto sulla brandina e la abbraccio.

Lei tende l’orecchio verso la parete e mi sussurra preoccupata:

– Se l’ha toccata chiamiamo la polizia.

Non le rispondo, ma sarei pronto a farmi ridurre in una pozza di sangue pur di continuare ad abbracciarla.

Poi sentiamo la donna ridere e l’uomo bestemmiare.

Magdaleine si agita:

– E’ una risata isterica, per favore, fa’ qualcosa!

Prendo “Kafka sulla spiaggia” e lo scaravento a terra, per fare rumore, con l’intento di far sentire a loro la nostra presenza.

Dall’altra parte l’uomo continua:

– Mi sono fatto male! Sta zitta che i vicini ci sentono!

Magdaleine, respirando sollevata, si scosta da me e trova lo spunto per criticarmi.

– E’ identico a te, quando ti incazzi prendi a pugni le pareti!

– Ma sarà successo due volte. Una quando il cane di tua zia mi ha fatto cadere l’hard disk ed ho perso venti pagine di racconto, l’altra quando…

– Ricordatelo bene l’altra…

– Non sono violento!

E cerco di riabbracciarla.

Lei sorride e per un attimo si lascia avvolgere senza difese. 

– No. E’ vero, non sei mai stato violento, ma sei geloso. E quella volta eri andato fuori di senno. Ora però tieni le mani al tuo posto e sentiamo invece di chiacchierare.

Magdaleine mi stacca dalla mano la bottiglia aperta e si attacca. Una goccia di vino le cade giù fino a bagnarle la sottoveste. Se glielo facessi notare si innervosirebbe, allora mi godo lo spettacolo, sperando che arrivi a bagnarle il seno, per intravederne i capezzoli. Mentre ho il solito problemino lì sotto, Miss Capezzolo Bagnato è sempre più appassionata alla vicenda. Questo mi toglie nuovamente dall’imbarazzo.

I due ora parlano sottovoce, sembrano aver ritrovato la bussola poetica.

– Sorcio, hai sbattuto il ginocchio al tavolo come quella volta al Taggino. Eri in panchina e io ero sugli spalti a vedere mio fratello. Il tuo allenatore ti ha fatto cenno di entrare e tu alzandoti, imbarazzato, hai sbattuto sul tavolo dei ragazzi che segnavano i punti.

– Sì, ma poi sono entrato. E quando ho fatto canestro ti ho guardata.

– E mio fratello si è incazzato.

– E l’allenatore ci ha fatto uscire entrambi. Ma ne è valsa la pena.

– Era il 1996!

Sghignazzano, i malefici, mentre Magdaleine si allontana rasserenata, allora io cerco di richiamare la sua attenzione per tenerla ancora vicina a me.

– Senti, senti…

Prego Dio di far uscire dalle loro bocche qualcosa di interessante e anche questa volta mi sento ascoltato. E’ la donna a riaccendere la serata.

– Mi piacerebbe risentirti in radio, hai una voce sensazionale. Non ti perdonerai mai di averla lasciata. Eri un altro.

– Non puoi dirmi questo, lavare il culo ai vecchietti non avrà lo stesso appeal, ma io sono la stessa persona.

– Amore mio, ti stimo tanto, ma prima o poi dovevo dirtelo, sei sprecato. Tu sai parlare. Sai accompagnare le persone, sai entrare in contatto con tutti. Metti tutti a loro agio. Certo, quelle stupide trasmissioni sulla Roma le avrei evitate, ma ti ricordi quando trasmettevi dal Pronto Soccorso del San Filippo Neri? Le tue trasmissioni tra le ire degli utenti e poi le cronache dei codici rossi… E “La voce dei Rom” o le interviste fuori dal Centro per l’impiego? Era bello sentirti leggere i giornali, inveire contro i politici. Era bello tornare a casa e trovare la tua voce dal vivo, ogni parola la vedevo di persona. La sentivo sul mio corpo. Insomma, era eccitante! Ora sei diventato un orso, brontoli invece di raccontare.

– Ci abbiamo creduto finché abbiamo potuto, quelli come noi non dovevano andare avanti con gli studi. Si sono fatti del male e basta. Non prendiamoci in giro, la gavetta è infinita. O sei figlio di, o devi avere una botta di culo. Che poi, anche quella, diciamoci la verità, è quasi sempre più una botta al culo che una botta di culo. Io non ci credo a quelle puttanelle che dicono di essere state selezionate o a quei leccaculo che dicono di essersi meritati il posto… O l’hanno dato, il culo, o l’hanno preso in culo. La fortuna non esiste!

– Un figlio costa, non possiamo permetterci di tirarlo su con l’acqua alla gola. Io non voglio che debba rinunciare al suo talento. Voglio sostenerlo lì dove i nostri poveri genitori non hanno potuto.

– Ma che cazzo dici? Vuoi mettere da parte un milione di euro?

– No, ma i soldi per un’altra persona sì.

– Io di meglio non posso fare. Ho cercato, ma niente. Arrotonderò facendo l’imbianchino il fine settimana!

– Se va male rischieremo, continueremo ad arrangiarci e ci convinceremo delle tue belle parole, che sono le stesse che rimbombano nel mio cuore: “Come si mangia in due, si mangerà in tre”. Ora però diamoci un’ultima possibilità. Io cercherò di farmi rinnovare il contratto. Tu però che possibilità ti darai?

– Ti aspetterò.

Si sentono scoppi di baci, fruscii di carezze.

Mi alzo in piedi e lascio i due al loro amore. Strappo la bottiglia a Magdaleine, divento serio e al contempo mi accorgo di essermi messo in moto. Alzo le pupille, guardo il vuoto, lasciando negli occhi tanto bianco da sembrare in trans. Magdaleine odia questa scena, ma sa che sto per partorire qualcosa di straordinario. Di vivo.

-Diamo una possibilità a questo ragazzo. Sembra bravo, no?

-Vuoi arruolarlo tra i piccioni? Lascia stare, già ha tanti problemi.

-Una radio, faremo una radio clandestina, come da ragazzi. La sua radio. L’autofinanzieremo con parte dei giri di cappello nei comizi. Poi useremo il metodo del nostro amico Jean. Troveremo centoventi sostenitori che gli daranno dieci euro a testa ogni mese. Lui in cambio dovrà organizzare delle belle serate e li dovrà sempre far entrare gratis.

Magdaleine mi allunga la mano destra, con il palmo rivolto verso l’alto. Vorrei darle la mano, ma so che mi sta chiedendo il vino. Glielo passo, lei manda giù un sorso e interrompe le mie fantasie.

-Ti ricordi come si fa a montare tutto?

-Io no, ma ti pare che non ci sarà un pirata informatico da queste parti?

Magdaleine sghignazza, forse pensa che sia il solito sognatore inconcludente, poi si infila sotto le coperte e mette la testa sotto il lenzuolo. Io scrivo una lettera al nostro vicino, domani gliela metterò sotto la porta. Mi tolgo le scarpe, spengo la luce e mi siedo, avvolto nel sonno. 

Ci sono terreni così fertili dove la fortuna del contadino è avere la testa fra le nuvole e il far cadere ogni tanto un seme dalla tasca, a volte anche perdendolo, significa far nascere cose nuove. Inaspettate. Migliori anche dei più rosei progetti. A volte in questi campi non servono ingegneri del sapere, architetti della vita, ma narratori che vedono e pensano meno veloce di quel che dicono, ma non per questo sguinzagliano la voce senza onorare il rito della parola. Narratori ce onorano l’essere umani sentendosi poeti. E’ così che in pochi giorni la mia lettera piantata sotto la porta di due sconosciuti ha fatto crescere una radio: il vicino ha accettato il mio invito, un ex-poliziotto amico del Conte Faz ci ha rimediato il materiale, il cameriere rapper del pub di legno ci ha sistemato il software e ci ha agganciato alle frequenze FM.

La prima trasmissione se l’è sparata in solitudine per riprendere confidenza con il mezzo. Ha parlato della fortuna, cercando di convincersi e di convincere tutti i radioascoltatori della sua esistenza. Poi ha fatto un appello simbolico: ha iniziato a nominare e a descrivere tutte le persone del quartiere che conosce, per farle sentire partecipi, per fargli capire l’importanza di questa radio. Una radio che li conosce, una radio tutta per loro. Ha promesso di non svelare la sua identità, lasciando capire che solo chi lo conosce lo può riconoscere. E visto che solo chi lo conosce lo ascolta, ha già vinto. Ha creato un segreto tra lui e i suoi radioascoltatori.

P.S.

Nella prossima puntata la trasmissione dello speaker clandestino con ospite Maurice Delemberte!

P.P.S.

E’ possibile visualizzare e sfogliare l’ebook provvisorio di Piccioni e Farfalle fanno la rivoluzione (Capp.1-11):

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E’ anche possibile scaricarlo gratis direttamente in pdf:

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