Capitolo 15. Il teatro nella valle. L’amore prende la Bastiglia

Esulta Nené:

– Eddaje! C’a avemo fatta! 

E’ suo il primo passo all’interno della valle dell’Insugherata. Sembra lo sbarco sulla luna. La terra è soffice e le sue impronte sono evidenti. A uno a uno lo seguiamo. Ci sono asfodeli alti un metro.

Un signore anziano mette in guardia Madeleine: 

– Attenta che te taji le gambe!

– La ringrazio, ero molto affascinata da questi bellissimi fiori.

– ‘Sti fiori so’ come noi. Pò piove, pò picchia’ er sole, stamo sempre in piedi. C’avemo le spine? Se ‘e semo fatte diventa’ petali. ‘O vedi ‘sto venticello? Alle margherite le spaventa, alle rose le spoja, all’asfodeli je fa er solletico. ‘O vedi come ridono? A belli de papà! Poi so’ cattivi! Attenta, to ‘o ripeto, sembrano boni, ma se te pizzicano! So’ come l’ortica. Quanno te vai a ‘nfratta’ puoi sta’ sicuro! Nissuno te verrà a rompe er cazzo. Er rischio d’esse pizzicati pe’ fa’ i guardoni nun se lo corrono manco quelli de Monte Mario. L’unica cosa è che devi sta’ attento a dove te metti. Questi nun te fanno sconti. Se l’acciacchi te vengono contro. Maledetti! So’ fieri, forti, ma pure dolci. Benedetti! Me sembrano fiori de ‘n’artro tempo. De ‘n’artro secolo. I vedi ‘n bianco e nero, ‘n po’ tristi, ‘n po’ felici. Lì lì pe’ mori’, eppure secondo me so’ immortali. 

Si sentono sirene in lontananza. Poi d’improvviso rombi di motore. Sono due camionette della polizia. Prendono il curvone davanti all’ingresso con velocità. Inchiodano di botto.

Un celerino con i baffi:

– Fuori tutti, basta con questa pagliacciata!

Altri quattro agenti tirano fuori i manganelli. I bambini si mettono a piangere. Alcune persone non sono riuscite nemmeno ad entrare.

– Dobbiamo arrivare al cubo – mi dice Noè, indicandomi un masso di cemento a cento metri.

Inizia a correre e Baffo lo richiama col megafono:

– Lei, lei laggiù, dove vuole andare?

– Sono cazzi miei! – gli urla contro Noè.

Il Conte corre in senso opposto a quello di Noè, verso la polizia. Il resto dei presenti, me compreso, resta immobile.

Il Conte arriva a tutta velocità addosso a Baffo, gli strappa il megafono, se lo porta alla bocca:

– Gente, udite gente! Sveglia gente, sveglia! Udite? Dove cazzo siete? Voglio che mi ascoltiate tutti. Siete buoni a chiamare il 112 o il 113 per queste cazzate, ma poi quando vi scippano per strada fate pippa. Quando vi licenziano vi mettete a piangere. Quando vi tagliano la pensione sociale vi chiudete in casa. Avete rotto il cazzo! E voi, voi guardie de ‘sto cazzo, dove state quando la gente ruba dentro gli appartamenti, quando spigne la cocaina ai ragazzini? Dove cazzo state? Dove cazzo state quando gli stronzi vanno a chiede il pizzo ai commercianti? Siete troppo impegnati ad aiuta’ i ricconi a sfratta’ la povera gente. ‘Sto quartiere basta ‘n ragazzino pe’ favvelo vede’ pieno de problemi, pe mostravve dove occorre interveni’. Tutti chiedono aiuto e nun ce l’hanno e voi dove venite? Qui da noi che nun metteremmo un dito addosso manco a ‘na formica. Gente, udite gente, vaffanculo! 

Una guardia non si trattiene, allunga il braccio indietro, carica la manganellata e la sfoga sulla testa di Faz. Questa si piega, si rialza. Sanguina dalla tempia, ma il Conte dà fiato ad altre parole:

– Mi padre de botte me n’ha date tante. Mena, mena, che te senti più omo. Ma qua d’ominità ce sta solo er sogno. Er sogno de riapiasse ‘n briciolo de dignità. A strada è roba mia. Da qua io nun me smovo. 

Baffo interviene:

– A ragazzi’, levate da davanti. Noi stamo a fa’ er lavoro nostro. C’hanno chiamato! Se ce sta ‘n cancello vor di’ che voi là dentro nun ce potete entra’.

E Gino:

– A pezzo de merda, j’hai fracassato er cranio e te giustifichi co’ sta cazzata, ma li mortacci tua!

Baffo:

– Modera le parole!

– E no! A stronzo! Questo a me nun me lo dici! Nun me tocca’ le parole, ah stronzo!

Baffo:

– A te te conosciamo.

– So’ ‘na persona diversa.

– Pijatelo!

I poliziotti bloccano il Conte e anche Gino, che risponde:

– L’artre vorte reagivo, ve le davo. ‘Sta vorta parlo. Fa male senti’ le parole! Queste so’ diventate l’arma mia. Me state a tene’ senza motivo. Qua so’ tutti testimoni, v’a a state a prenne co’ du’ innocenti. M’avete preso a me perché c’avete er pregiudizio. Diteme invece perché ‘sto cancello è chiuso. L’Insugherata è ‘n parco pubblico oppure privato?

Baffo:

– E’ pubblico.

– Allora perché deve sta’ chiuso? 

Gino si volta verso un manifestante:

– Me fai ‘n favore?

– Sì, dimmi.

– Chiama la polizia e denuncia il fatto che quarcuno ha barricato un luogo pubblico e non permette a nessuno d’entracce. Dije che è stato fatto senza motivo e che vòi un intervento, ma devono fa’ subito. Nell’immediato!

– Allora? – chiede Gino al manifestante che ha appena chiuso il telefono.

– Hanno detto che arrivano!

E Gino:

– Poi dici le barzellette sui carabinieri!

Nel frattempo si è avvicinato il parroco:

– Lo sapete cosa significa portare una croce?

I poliziotti non rispondono.

– Non è la stessa cosa di portare un distintivo. Non è uguale a portare una divisa, né una pistola o un manganello. E’ molto di più. 

Baffo:

– A prete, mo te ce metti pure tu! Me meraviglio!

– Mi meraviglio io di voi – gli risponde il parroco risentito. – Che gli avreste fatto a Giuda? Lo avreste strangolato! E a Gesù? 

Baffo:

– Basta così, abbiamo sentito troppo. Smettila, abbiamo avuto fin troppa pazienza. Semo cristiani pure noi. Gesù era ‘na brava persona.

– E perché noi non siamo bravi cittadini? Gesù stava dalla parte dei più deboli. Era un extracomunitario. La Madonna e Giuseppe si riparavano dal freddo e di sicuro non si sarebbero fatti problemi ad aprire il portone d’un parco o di una stalla. Dio toglie ai potenti per premiare gli ultimi. Il tutto accade con una logica. Voi come state agendo? Dove è finita la vostra cristianità?

– A prete, ma come t’o devo di’, a noi c’hanno detto che stavate a entra’ là dentro, semo venuti e v’avemo beccati in castagna. Là dentro nun ce dovete anna’.

– Siete venuti per sorvegliarci e poi per punirci?

– E’ er nostro lavoro!

– Bel lavoro de merda! – Esclama il Conte ancora tenendosi la testa sanguinante. – Er prossimo intervento contro chi sarà? Forse mi nipote s’è annato a prenne ‘na merendina de nascosto! Oh cazzo! Mo che fate? J’annate a da’ le botte? Ma l’imprenditori che evadono il fisco? I mafiosi? Quelli che hanno costruito tutti sti palazzi coll’amianto? Gli sfruttatori? Quelli lasciamoli dove stanno!

Noè è in piedi sul masso:

– Insugherata libera!

E l’eco:

– Libera, libera.

Noè:

– Insugherata libera!

E l’eco:

– Libera, libera!

Suona il baldacchino di una camionetta. Viene chiamato Baffo che inizia un siparietto a due volti alternandosi tra ricetrasmittente e megafono.

Prende la ricetrasmittente, ma noi riusciamo a sentire solo le sue risposte.

– So’ già qua. Questi so’ entrati senza permesso. 

E poi:

– E che ne so io chi l’ha chiusa.

– No, nun ce stanno cartelli de lavori in corso, se li saranno dimenticati.

– Aspetta che je do ‘n’occhiata.

Baffo si avvicina all’Insugherata, entra dentro e dice tra sé e sé:

– E’ bello sto parco, ma niente. De lavori manco l’ombra.

Ritorna alla camionetta, blatera un altro po’ e poi riprende il dialogo con l’interlocutore dall’altra parte della ricetrasmittente:

– Me ne porto quarcuno in caserma?

– Come cazzo faccio a dije ‘ste cose? Nun ce sto a capi’ niente!

Prende il megafono:

– Siete tutti imputabili di occupazione di suolo pubblico!

E Faz:

– Di liberazione di suolo pubblico!

Baffo alla trasmittente:

– C’hanno ragione però. Questi nun l’hanno mica occupato il parco, anzi l’hanno aperto.

E poi al megafono:

– No, voi siete entrati in un posto momentaneamente non accessibile e lo avete occupato rischiando di compromettere il piano istituzionale di conservazione del posto.

E Faz:

– Ma che cazzo stai a di’. Qual è sto piano? E poi come se occupa uno spazio pubblico, mica c’avemo messo ‘na veranda o du’ tavolini!

Baffo alla trasmittente:

– Qual è il piano istituzionale?

Baffo al megafono:

– Il piano prevede la salvaguardia della riserva dalle azioni vandaliche e dalle opere di abuso edilizio.

Faz:

– Qui nessuno vuole costruirci e nessuno vuole rovinare il Parco. Lo vogliamo vivere! Che piano è? La cintura di castità per la figlia vergine! Noi non ce ne andiamo! Abbiamo il diritto di restare qui. E con la mia ferita come la mettiamo? 

Baffo alla trasmittente:

– Cazzo! Ehm, un coglione dei nostri qua ha dato una manganellata in testa a un ragazzo. Questo perde sangue e continua a rompermi il cazzo. C’ha ragione… 

Baffo al megafono: 

– Dobbiamo chiudere il cancello!

Il Conte:

– A questo punto, se lo fa. noi che siamo fuori le gireremo la denuncia per occupazione di spazio pubblico e chi sta dentro la incolperà per sequestro di persona.

Baffo alla trasmittente:

– Ma noi possiamo chiuderlo questo cancello oppure no?

Baffo al megafono:

– Ok il cancello resterà aperto, ma voi dovete andarvene.

Faz:

– Col cazzo!

Baffo blatera alla trasmittente, poi si consulta con i suoi. Questi prendono delle cose nelle camionette, si mettono in fila indiana. I primi due si spostano a destra, il terzo a sinistra. Gli altri sparano dei lacrimogeni.

Tutti scappano, io sono vicino a Madeleine, ma non so cosa fare. Non ho voglia di uscire dal parco, non so come recuperare la situazione. Lei vorrebbe seguire la folla, ma ha paura di imbattersi negli asfodeli. Ci prende per mano qualcuno: è Noè. Ci accompagna dietro al masso:

– Io raggiungo il Conte, voglio vedere cosa gli hanno fatto. Voi state qui, per terra. Non tiratevi su finché la polizia non se ne è andata. Vi lascio lo zaino, c’è una bottiglia di champagne. Ce la manda mio padre. Va meglio con lui! Era del suo matrimonio. Voleva che l’aprissimo a sfregio avvenuto.

Siamo seduti a terra, le spalle sul masso. A dieci centimetri di distanza l’uno dall’altra. Dietro di noi ancora fumo, di fronte la valle. Si sente l’acqua di un ruscello e piano piano le voci delle guardie che si allontanano. Siamo in silenzio. Il vento sposta i capelli di Madeleine che dondolano sul suo volto e sfiorano il mio. Hanno l’odore della primavera, quando si fa sera e attorno è già inverno. 

Madeleine guarda davanti a sé, c’è una discesa, c’è il verde e poi il cielo. Si intravede la chioma di qualche albero. Sembrano cespugli, appartengono ad un altro piano del paesaggio. Il buio non esiste. Ci sono le stelle, sembrano alte e poi vicine, sono lampadine che illuminano il nostro nascondiglio. Lo illuminano solo per noi. 

– Hai una sigaretta? – mi sussurra Madaeleine.

Ce l’ho, eccome se ce l’ho. Ho un pacchetto da venti immacolato. Acquistato tre giorni fa e ancora incelofanato. Glielo passo.

– Non fumi più?

– E tu invece quando hai iniziato?

– Ho paura. Tutto qui.

– E quando si ha paura si fuma?

– Non lo so, dimmelo tu…

Riprendo il pacchetto, tiro fuori due sigarette. Ne accendo una e gliela passo, poi mi metto l’altra in bocca e utilizzando la mia abilità di ventriloquo:

– Sì, si fuma.

Accendo anche la mia sigaretta e dopo due tiri le domando:

– Paura per questa situazione?

– No. Non è andata male.

– No. Ma hai sentito Gino? Ha detto che le parole sono le sue armi!

– E il parroco? E’ stata la prima volta che ho pensato a Dio come un eroico Robin Hood!

Sorrido. Lei sorride. Mi tappo la bocca. Lei si tappa la bocca. La ridarella sale ed è contagiosa, ci facciamo forza, non possiamo rovinare tutto ora.

Non ce la faccio, ricomincio a ridere, lei mi attorciglia la sua sciarpa attorno alla bocca. Mi riprendo. Ultimi tiri di sigaretta. Il silenzio.

Madeleine posa la sua testa sulla mia spalla ed io:

– Paura di cosa?

– Paura. Paura e basta. E’ difficile spiegarlo.

Ha un tono dolce e triste. Vorrei stringerla forte, dirle di non preoccuparsi perché ci sono io al suo fianco, ma so di non essere in grado di rassicurarla. So di essere un fallito, un venditore di contratti telefonici che non sta facendo il suo lavoro.

Ancora il silenzio. E i pensieri che si susseguono nella mia testa. Quante cose vorrei dirle! Ma sono sempre lì a bloccare la mia lingua sul palato. A segarmi le gambe da solo. E dei mille rimproveri che mi faccio, uno me ne esce con la voce:

– Ma cosa sto facendo?

– Stai facendo il poeta. Perché tu sei un poeta, Maurice.

Non so se sia stata realmente lei. Sono apparse delle lucciole sul prato. Mi è sembrato di vedere una stella cadente. Forse è l’eco di qualche rumore proveniente dalla strada. I miei denti che iniziano a battere per il freddo. Le metto il braccio destro dietro la schiena e la stringo sul fianco. Accenno un abbraccio e lei non si oppone. Penso abbia freddo. Penso abbia sonno.

– Hai paura – sentenzio.

– Hai paura? – le chiedo.

Madeleine mi risponde:

– No. Ora no. E’ un pensiero.

– Un pensiero che ti spaventa?

– Sì.

– E ora?

– Ora è un pensiero, leggero. Mi spaventa di meno.

Sentiamo mettersi in moto una vettura che si allontana.

– E’ una camionetta – affermo.

Madeleine:

– E l’altra?

– Ora andrà via anche l’altra.

Il silenzio. Due minuti, niente. Cinque minuti, niente.

Mi chiede di dare un’occhiata. Di voltarmi, affacciarmi. Sono imbranato, pigro.

-Come posso? Prova tu?

E lei:

– Ora ho paura.

– Dai, ce l’abbiamo fatta. Non avere paura, sei piccola, non potrebbero vederti.

– Ho paura di tornare a casa.

Stavolta sono sicuro, era stata lei a parlare. Proprio lei. 

– A casa?

– Sì, a casa.

– Ma dove, a Lugano o a Primavalle?

– A casa e basta.

Il silenzio. Un silenzio che dovrei riempire. Che fa male solo a Madeleine. Un silenzio che la mia euforia non sa interrompere. Le mie paranoie, il mio egoismo, se lo mangerebbero. Ho solo una possibilità: pensare ad alta voce.

– Vuoi stare qui. Qui in questo posto fuori dal tempo. Fuori dal tempo c’è quello che desideri. Qui dove le paure diventano pensieri leggeri. Qui dove mi hai richiamato poeta. Come sei bella! Ti amo! E tu mi ami ancora! Sì, mi ami ancora. Ti amo! Ti amo! E tu? Tu mi ami ancora?

Ritorno in me. Ho fatto una cazzata. Non posso recuperare in nessun modo. Torna il silenzio.

Le tolgo il braccio dal fianco, lo alzo, lo sposto per recuperare un’altra sigaretta. Allungo la gamba sinistra per poter cercare più facilmente il pacchetto nella tasca dei pantaloni. Lo trovo. Prendo la sigaretta. Allungo la gamba destra per cercare nell’altra tasca l’accendino, ma niente. Non lo trovo. Sono stressato. Lei invece è sempre appoggiata su di me, delicata. Come se non fosse successo niente. Come se non avesse sentito niente. Mi innervosisco ancora di più. 

Mi porto la sigaretta alla bocca.

E Madeleine:

– Peccato…

Penso: “Peccato cosa? Cosa cazzo vuoi stronza?”

– L’accendino ce l’ho io!

“Dammelo, dai, cazzo!”

– Sicuro?

“Ma porca troia, dammi ‘sto cazzo di accendino e vaffanculo! Non è questo il momento di fare la salutista”.

– Mi avevi fatto una domanda…

Riavvolgo il nastro. “Cosa cazzo le ho chiesto? Non ricordo più. Mannaggia a me”. Bluffo:

– Vediamo…

– Ho paura.

“Cristo! Di nuovo?”

Madeleine:

– Sei in silenzio, tu cosa pensi? Ti amo?

“Ecco!”

Resto in silenzio, mi batte il cuore velocemente. Come a dieci anni di fronte a Lucilla, la mia compagna di banco, il giorno dopo che decisi di volerle chiedere di diventare la mia fidanzata. Ero lì in attesa di una risposta. E lei a chiedermi: “Perché? Cosa significa essere fidanzati?” Ci manca solo che Madeleine mi chieda cosa significhi essere innamorati! Ho paura. Ho paura e non è un pensiero leggero, è un peso che mi affossa. Ho paura di sprofondare e di portare con me tutta la valle.

E lei:

– Ti interessa saperlo?

Io:

– Ho paura.

E lei:

– Davanti a noi non ci sono asfodeli. Allunghiamoci, alziamo la testa, cerchiamo la luna.

Siamo sdraiati, la luna ha un sorriso sottile. Madeleine mi prende la mano:

– Ti amo!

Le chiedo se può ripeterlo. Penso di aver sentito male.

E lei:

– Ti amo!

Delicatamente facciamo l’amore. In silenzio rifacciamo l’amore.

Le dico:

– Ti amo!

Mi risponde:

– Ti amo!

Sono felice, non capisco più niente, mi alzo in piedi per vedere se è vero. Se sono in volo, in sogno oppure no.

– Cosa fai? La polizia! – mi richiama preoccupata Madeleine.

– Quale polizia?

Sono sveglio. E’ vero. Madeleine mi ama e abbiamo fatto l’amore.

– Maurice, l’altra camionetta!

Non c’è. Non c’è nessuna camionetta.

– Madeleine, siamo soli, noi due, il nostro mondo.

Ci abbracciamo, stappiamo lo champagne del papà di Noè.

E ad alta voce:

– Alla nostra storia!

E l’eco:

– Storia, storia!

E io:

– Ti amo

L’eco:

– Amo, amo!

E Madeleine:

– Anch’io!

L’eco:

– Io,io!

Il silenzio, le undici. 

Suona il mio telefono: “Una mattina mi son svegliato…”.

E’ Noè.

– Noi siamo nel cortile di un condominio in via delle Benedettine. Ci hanno fatto nascondere gli inquilini di questi villini. E’ brava gente. Voi come state?

– Bene. Molto bene!

– Avete avuto paura, eh? Una cosa è scriverle queste cose, un’altra è viverle!

– Ragazzino, ma con chi credi di parlare! Noi di queste cose non abbiamo mica paura!

– Allora guarda nello zaino, davanti. Ci sono i fuochi, te la senti? Dacci cinque minuti, veniamo all’ingresso e ci godiamo lo spettacolo.

Dispongo sul masso i cartocci, i missilotti, i petardi. Madeleine mi passa l’accendino. Aspettiamo di sentire i loro passi e le dico:

– Al tre gridiamo: lo sfregio dell’Insugherata!

– Ok!

– Uno, due, tre: Lo sfregio dell’Insugherata!

E l’eco:

– Erata! Erata!

Accendo le micce. Prima il fracasso dei petardi. Poi in cielo si alternano colori e disegni da sagra di paese. Il nostro paese delle meraviglie.

Il Conte fischia come un pastore, i bambini sono entusiasti. Gli anziani commossi. Ci sono anche degli autoctoni. E’ uno spettacolo incredibile. Fontanelle di verde, rose di luce, stelle celesti che si rincorrono. E’ la volta degli ultimi missilotti.

Sparo il primo, subito dopo il secondo ed infine il terzo.

Ognuno ha un sibilo iniziale, poi venti secondi di silenzio, a seguire un’esplosione a mitraglia che sembra non finire mai. 

Un applauso liberatorio. 

L’eco della valle.

Gino che urla: 

– Li ha visti tutta Primavalle!

Il cielo riprende il suo aspetto stellato. Dall’ingresso si sente un accorato:

– Noooooooooooo!

Madeleine mi guarda negli occhi:

– E’ finito?

E io:

– No, abbiamo appena iniziato!

Arrivano il Conte, Nené, Amadou e tutti gli altri:

– Ogni anno festeggeremo lo sfregio!

Gino ha una cassa di birra e qualche coperta.

Siamo in tanti, è notte, stiamo bene. Stiamo insieme.

 

 

 

 

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