Capitolo 16. Ora si fa sul serio. La televisione tra pornografia e poesia

Le strade si lasciano riempire di cartelli abusivi. Di manifesti con foto a grandezza naturale. Foto ritoccate che contengono messaggi studiati. I miei contendenti sembrano uomini eleganti. Hanno vestiti classici e la cravatta. Sono in posa e mostrano il loro profilo migliore. Promettono di stare al fianco di tutti i cittadini, di costruire una città migliore. Dicono che taglieranno le tasse, apriranno nuove strade. Si fanno ritrarre al fianco di un disabile sulla sedia a rotelle o mano nella mano con un’anziana signora. Ma non gli basta.

Hanno rispolverato immagini di altri tempi per alzare una campagna del terrore. Il loro obbiettivo sono io. Ci sono manifesti che mi ritraggono a tavola e nel mio piatto c’è una bistecca. Sotto c’è scritto “Carne di bambino”. Poi ci sono io affacciato da un terrazzo, sono appoggiato sulla ringhiera e dalle mie mani partono dei fili che muovono i passanti. Ci sono riproduzioni di scene tristi, il viso di Aldo Moro ostaggio delle brigate rosse col messaggio “Fallo per lui, non votare Delemberte”. Sotto a un fungo atomico stilizzato si legge  “Maurice vi vuole tutti kamikaze”. Poi in bianco e nero una serie di NO. “No agli intellettuali analfabeti”. “No ai campi da golf nel Bronx”. “No alla musica classica per i disperati”. “No alle parole in aria”. “No a un presidente svizzero”. “No al comunismo ricreativo”. Hanno soldi da buttare e allora giù con gli spot pubblicitari con un alieno che sbarca a Piazza Millesimo e afferma: “Siete miei!”. Oppure il video di un signore che entra nell’urna, posa la scheda e pensa di essere in campagna: si vede cacciatore e spara un colpo, buca le ali di una farfalla e ammazza un piccione. Torna l’inquadratura sull’elettore che vota, esce dal seggio e, una volta in primo piano, invita il pubblico: “Prendi la mira, non fare errori!”.

Non immaginavo che la campagna denigratoria potesse esplodere con questa rapidità e con questa veemenza. Sono ancora allibito al pensiero di quante energie vengano sprecate così inutilmente quando vengo ridestato dallo sfogo di Noè: 

–  Maurice, dobbiamo contrattaccare! E’ arrivato il momento!

– Perché? – gli chiedo sorpreso. Non voglio scendere al loro livello. 

– Ti stanno massacrando. Siamo in Italia: a forza di bombardarci di menzogne alla fine abbocchiamo tutti.

– Ma noi stiamo lavorando sodo, la gente partecipa. Perché sei preoccupato?

– Perché se infangano lei, Delemberte, infangano anche noi. Ma di questo nessuno se ne accorge.

– Nessuno chi? 

– Delemberte, tutti!

– Spiegati meglio. 

– Delemberte, noi ci siamo raccolti attorno a lei, se questi stronzi la indeboliscono, indeboliscono il nostro collante. Non saremmo in grado di restare uniti. Con lei tutti quanti siamo riusciti a vedere qualcosa di grande, ma senza di lei vedremmo solo cose più piccole. 

– Mi stai dicendo che senza di me non stareste insieme?

– Sì, ne sono certo. Tutti sono incazzati per come la stanno insultando gli altri candidati, ma non si rendono conto che questo gioco è molto più di un attacco personale. E’ un attacco alla nostra collettività.

– Noè, mi spaventi. Io non sono il Duce, sono il suo contrario. Io non sono niente, a me questi personalismi della politica moderna sono sempre sembrati dei grossi bluff. 

– Allora lo dica, lo spieghi. E’ arrivato il momento di confrontarsi con questi brutti ceffi.

– Non ne capisco l’utilità. Preferirei stare sempre con voi, incontrare più persone possibile.

– Delemberte siamo in Italia, lei può stare con tutti, farli sognare, farci dei progetti assieme, ma se poi la televisione mostra una prova di forza e da questa traspare netto il messaggio che c’è qualcuno più forte di lei, allora può stare sicuro che molti le volteranno le spalle. C’è la crisi e si preferisce sempre stare con i più potenti.

– Con i potenti vorrai dire…

– Il Dottor Pietro La Sorca l’ha invitata ad un confronto al tg regionale. Deve andare.

– Noè, io posso andare, ma non in qualità di rappresentate del nostro movimento. 

– Perché?

– Non abbiamo un manifesto. Non conosco il signor La Sorca. E forse c’è qualcun altro di noi che preferirebbe andare in televisione al posto mio. Io ci sono stato troppe volte.

– Non avrà mica paura?

– Ancora con questa paura! Ma siete fissati con la paura! Non ho paura! 

– Allora cosa c’è?

– C’è che ci sono delle differenze tra un partito, un movimento, un’associazione, un collettivo e una singola personalità. 

– Delemberte, noi la vogliamo come Presidente. Per noi il Presidente di un municipio è uno sceriffo. 

– Sbagliate! Non avete capito niente!

– Ma così perderemo!

– Ma cosa stai dicendo? Ragioni come se stessimo giocando a ruba bandiera. Ma non l’hai capito che la bandiera non la tiene nessuno? Che la bandiera non esiste? Che ce la dobbiamo costruire da soli la nostra vittoria?

Noè sembra deluso. Lascia il discorso in sospeso e si allontana, non riesco a fargli comprendere la mia posizione ed io non ho intenzione di accettare la sua. Questo dibattito mi ha riempito di amarezza per la prima volta da quando sono a Primavalle. Neanche Madeleine riesce a rincuorarmi, anzi mi ritrovo a discutere anche con lei che rincarando la dose mi dice che secondo lei ci dovrei andare. Dovrei andare in tv? Dovrei andare un cazzo! Odio la televisione! Gli studi televisivi, i giornalisti, le domande di rito, lo share, le telecamere. Odio quei trenta minuti di gloria. Odio la falsità. 

Sono assolutamente convinto che il linguaggio sia un’arte nobile che non può cedere la sua essenza al mezzo col quale si propaga. In tv non ci andrò, come ribadisco la sera, mentre partecipo a un intervento organizzato all’uscita della metropolitana, a un gruppo di ragazzi che mi passano il megafono chiedendomi ancora della mia presenza al tg regionale.

Ma Primavalle è sincera. E’ genuina. Non ha mezze misure. Non ha filtri. E questa volta non ci sono silenzi, non c’è spazio per le incomprensioni, tutti assieme giudicano la mia risposta, la mia ferrea posizione, come un errore. Un grosso errore. Vengo così inaspettatamente sommerso da una sequela di improperi.  

– Ma vattenaffanculo!

– Sei un deficiente!

– A’mbecille!

– Tornatene da do’ cazzo sei venuto allora.

E ancora:

– A cagasotto!

– A merda!

– Tornatene ar paese tuo!

Nené viene a proteggermi da quella pioggia di accuse, mi prende per un braccio e con forza mi porta via. Mi sento come un cantante che ha stonato di brutto sul palco e tutti lì a tirargli la verdura. Arriva il papà e lo porta via. Vorrei piangere, tanto sono ferito:

– Non capisco perché secondo voi la televisione sia un passaggio obbligato.

– Ma li mortacci tua! – mi riprende anche il mio salvatore Nenè. – Non capisco io! C’hai la possibilità de amplifica’ quello ch’avemo fatto e niente. Te tiri indietro. Ma vaffanculo va’!

– Nené, pure tu?

– E pure io sì!

Capisco che Noè non è l’unico a pensarla in quel modo, non basterebbe convincere lui, o Madeleine. Decido quindi di tornare dai miei contestatori per cercare di ragionare insieme.

– Voi siete convinti che ci debba andare. Ma perché dovrei? Non sarebbe ingiusto nei vostri confronti? Io lì a prendermi gli applausi e voi qui, lontani dalle telecamere…

Mi risponde una signora sui quaranta:

– Delemberte, so’ andata a fa’ terapia pe’ la schiena, mi fio è n’ignorante, mi marito è disoccupato. Me so’ dovuta vende ‘na catenina pe’ curamme. Secondo lei ce posso anda’ io in televisione?

– E perché no? – le rispondo.

– Perché? Perché me se magnano. Perché pe’ loro io so’ come i bambini rinsecchiti dell’Africa. So’ bona pe’ fa tenerezza, ma quanno parlo me ridono in faccia oppure da dietro. Io nun vojo esse un pezzo de ‘no spettacolo. Io vojo che ce vada lei. Che me rappresenti. E che lo faccia co’ le parole giuste.

– Signora non sono d’accordo. Lei parla in un modo stupendo, io non sarei in grado di dire le stesse cose in un modo più toccante.

– Delemberte, lei se sta a sbaja’! A noi ce piace quello che c’ha ‘nsegnato. Ce piace e ce stamo a inizia’ a piace’ pure noi. Lo so, lo so che pure io parlo bene. Ma parlo bene coi miei fii, coi miei fratelli. Qua se tratta de politica zozza. Qua se tratta d’annà a casa der ladro, de fa er bottino e nun lascia’ impronte. Ce serve ‘na faccia pulita. ‘Na bocca de velluto. Un cervello fino e perché no? Ce serve un nome. Nun volemo un dittatore, mica semo scemi! Volemo che lei, lei che riesce a parla’ co’ noi, riesca a parla’ pure co’ loro. A noi nun ce ascolterebbero. Lo faccia pe’ tutti noi…

Neanche io voglio essere parte di uno spettacolo pornografico, ma il discorso della signora mi lascia senza possibilità di scelta.

– Va bene. Andrò.

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