Capitolo 22. Il partito poetico all’amara prova dei sondaggi

Costruire un piccolo governo del territorio è un’impresa molto difficile. Sa di governare, un po’ di dominare. Ma anche di dirigere un’orchestra. Si parla di poltrone. Di sedie scottanti. Di posti chiave per aree tematiche a compartimento stagno. La legge elettorale prevede che si diano i nomi degli assessori e molto altro.

La nostra è e resta un’armata Brancaleone, una Longobarda della politica. Per noi queste sono solo formalità. La nostra gestione di Primavalle è assembleare. E’ nei discorsi che si individuano le idee, le si analizzano, le si spezzano, distruggono e ricostruiscono. E’ nel caos che ognuno costruisce e libera il suo spazio. A ogni modo la lista “Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione” ha deciso di candidare me Presidente del Municipio e di fianco la crème dell’équipe, i possibili assessori dichiarati.
Noè al sociale:
– Voglio impiegare i disoccupati nel sociale. La loro paga sarà la licenza di costruire eventi per la collettività. Il welfare lo costruiremo insieme con le idee. Distribuiremo spazi vuoti e coinvolgeremo i soggetti svantaggiati. Vogliamo costruire una piccola moschea. Fare corsi interreligiosi e promuovere pene alternative per i ragazzi del carcere minorile. Promuoveremo cure alternative per i pazienti psichiatrici: teatro, pittura, cinema e poesia. Il centro del quartiere dovrà tornare ad essere la piazza.
Ascella ai trasporti:
– Mortacci vostra, questo sì ch’è ‘n controsenso. Io che ho campato ‘na vita grazie ar traffico e alle machine mo ve devo di’ come fa senza spreca’ benzina. ‘Ntanto dateve i passaggi. Ce fosse ‘no stronzo che viene a mette er pieno in compagnia. Sempre da solo o ar massimo co ‘n’artra persona. Aò! ‘E machine so’ omologate pe’ cinque! Poi le bici. In bici, dovete anna’ in bici, fino ar trenino o alla metro. Voi vede’ che l’autobus se svotano e ce se viaggia senza fa’ la fine de’e sardine? E me dispiace tanto, ma se volemo porta’ gente, dovemo fa ‘n paro de aree pedonali. Ar meno de sera, er fine settimana. Da Millesimo a Torrevecchia alta e Pietro Maffi. Percorsi liberi, puliti pei ragazzini e servizi navetta pe’ le zone strategiche pei vecchi e i problematici. Parcheggi gratis pei residenti e a pagamento pei non residenti. O so, è brutto, ma si arrivano, e arrivano perché ‘sto quartiere ‘o famo ‘na meraviglia, so’ sordi nostri. Se li magnamo tutti aggiustando le scole dei nostri fiji.
Anna alla cultura:
– Voglio un teatro e che siano gli eventi artistici il nostro lavoro. Organizzeremo spettacoli, visite guidate, concorsi letterari e quant’altro. Dovrà, l’arte, essere il nostro gioco, la nostra parola, il nostro “modus condividendi”. Dall’underground usciremo allo scoperto. Difenderemo le nostre scuole e organizzeremo dei piani di studio collettivo, con gli adulti. In difesa della memoria e alla scoperta delle nuove tecnologie.
All’urbanistica Franco “’o svotacantine”, un amico di Nené:
– Ce state a fa’ li bozzi coll’affitti e poi bum, gna’a famo più! ‘Nsomma, ma come cazzo è possibile che qua stamo tutti a piagne e i prezzi delle case nun s’abbassano mai? Mo ce penso io. Tutte le strutture vote da più de dieci anni sono libere. Sotto a chi tocca, senza litiga’. ‘E strutture pubbliche però, quelle no, nun se possono usa’ pe’ dormi’, devono resta’ pubbliche. Ner senso che devono esse riutilizzate pe’ cose belle. Utili pe’ tutti. E nun ve ne uscite coi soliti pub. Qua parlamo de spazi pelle associazioni, pei giovani, pei rivoluzionari.
Nené alle comunicazioni:
– E che ve devo di’? A Delemberte no’ ‘o capisce nessuno. Allora vo’o spiego io. Nun c’è ‘n cazzo dove nun ce sta la parola. E io questa porto, mica rogna.
Amadou alle riforme elenca i nostri sei punti programmatici:
– Primo: costruire una rete di mutuo-aiuto e di confronto tra i deboli di Primavalle, la maggior parte degli abitanti; secondo: continuare a ridipingere il quartiere; terzo: attrarre gente dagli altri quartieri; quarto: la rivoluzione dei diritti come casa, lavoro, pari opportunità; quinto: aumentare la qualità emotiva della nostra vita; sesto: la poiesis come azione che genera opere che non hanno niente a che fare con il loro autore, opere utili però alla collettività, creazioni con una vita autonoma che richiamino continuamente l’attenzione dei primavallini, stimolandone le loro capacità, le loro fantasie. Il nostro intento è tutto qui, vogliamo che il nostro quartiere sia il più vivo possibile.

Nonostante tutto mancano pochi giorni oramai al voto. I sondaggi ci hanno visto pian piano guadagnarci la scena, ci hanno dato forza, ci hanno fatto capire che stavamo facendo una cosa grande, ma poi si sono fermati. A oggi abbiamo dieci punti di svantaggio dalla lista del Professor Cagazza. Abbiamo raschiato il barile, ma ci stiamo rendendo conto che non è possibile andare oltre. Che ci vorrebbe un miracolo, uno di quelli cristiani. Ma non è il momento per chiedere una cosa così grande. Non è il caso, con tutti i problemi che ci sono al mondo.
Iniziamo ad assaporare la sconfitta, la viviamo tutti in modo diverso. Ci sono i depressi, come il cameriere rapper:
– A ‘sto punto non vale nemmeno la pena d’anda’ a vota’. Ma che l’abbiamo fatto a fare? La gente nun se cambia. Ma lo vedi dove stiamo? Ce sarà un motivo se stamo qua? Siamo dei coglioni, ci meritiamo Andreotti tutta la vita.
E i suoi amici rincarano la dose, dando all’amarezza una sfumatura più ludica:
– Se semo divertiti. E’ stato un gioco. E’ ‘na vita che giocamo, pe’ lo meno se semo disintossicati dalla playstation. Anche se c’è Fifa che c’aspetta. Dopo ‘sta batosta se ricomincia!
C’è però anche chi è felice così, tipo Gino:
-A ragazzi’, ma smettetela de di’ cazzate! Ma ‘o vedete che avemo tirato su? ‘Sto quartiere è diventato ‘n gioiello e manco avemo iniziato. Ner cinquanta eravamo felici pe’ ‘n palazzaccio novo. Pe’ ‘na strada de tera battuta. Noi avemo dipinto le case. L’avemo fatto co’ colori che so pugni nell’occhi pe’ ‘sti grigi palazzinari da quattro sordi. Fasse ‘na passeggiata oggi pe’ Primavalle è sentisse dentro a ‘n quadro. E vo’o dice uno che de arte nun ce capisce ‘n cazzo. Io oggi a cammina’ me sento bene, me sento più giovane. Addirittura l’asfarto è bello, è pieno de robba che brilluccica. Er Bronx è ‘n’attrattiva. ‘A gente occupa, ‘a gente ha ripreso a sogna’ d’avecce ‘na casa. Esse poveri nun è più ‘na vergogna. Avemo sdoganato la povertà come complesso d’esse inferiori. Io vado in giro a testa arta. So’ povero, embè che vòi? So’ povero e me ne vanto. Me faccio un culo così lo stesso. E se te i sordi te li sciacqui ar cesso a pulitte er culo cor velluto, io la mia fatica la spendo pe’ ‘sta casa a cielo aperto. Ch’è la mia zona. Che m’ha dato momenti belli e momenti brutti. Te sei er re dentro casa tua? Io so er re pe’ strada. Ma vòi mette? Se semo ripresi tutto, ma ‘sti cazzi de chi vince. Nun c’avemo mica bisogno d’esse premiati. A noi nun ce ne deve frega’ ‘n cazzo de ‘ste cose burocratiche. E poi i sondaggi, ma che so, ma che certezza danno? Se a me me chiamano e me chiedono chi voto, io li manno a fare in culo e je chiudo la cornetta ‘n faccia. Se semo ritrovati. Padri che hanno ripreso a parla’ coi fiji. Pure a Monte Mario ce ‘nvidiano. Pure là, da quei pecoroni, c’è quarcuno che se sta a da’ ‘na svejata. Che vole segui’ er nostro esempio. Aò, qua se parla de cose più ‘mportanti der municipio. Semo un movimento de liberazione e, per quanto me riguarda, ‘sto quartiere l’avemo bello che liberato. Dovemo solo da continua’ così. Quinni niente playstation, trippardo’, niente pianti, femminucce. Semo gajardi, semo primavallini.
C’è chi è arrabbiato, come il Conte:
– Ma io ci ho messo la faccia.
Gli altri lo sfottono:
– Capirai che faccia!
– Sì, sì, certo, certo. Ma voi non sapete un cazzo di me. Mi sono trasferito al Santa Maria, con Rosetta. Se perdiamo le elezioni ci sgomberano. Io ritorno dai miei, lei da quello stronzo del marito. Quello che abbiamo vissuto fin qui non ha avuto a che fare solo con il nostro quartiere, con il nostro stare insieme, con la comunità. Ha avuto a che fare anche con noi stessi. Con le nostre individualità. Ho trovato coraggio, non che me ne sia mai mancato. Vabbè, vabbè, sì, sì, basta va.
E tutti ad implorarlo di continuare:
– Sappiamo che ti fa male, che stai parlando di te, ma in qualche modo stai parlando anche di noi, di noi che siamo meno misteriosi di te, ma che forse nascondiamo più cose a noi stessi di quante ne nascondiamo agli altri.
– Io Primavalle la conosco meglio di tutti voi – decide allora di raccontare il Conte. – Ma, Cristo, non ce n’è mai stato un pezzetto che sono riuscito a condividere con qualcuno che amo. Primavalle per me è sempre stata piena di spine. Mai avevo trovato la forza di toglierle, quelle spine, di pulirne un angolo, di attrezzarlo come riparo. Ora l’ho fatto, ma non mi basta, perché per Rosetta non basta una dimora dove andare a dormire, servo io. A lei serve il Conte, quello vero. Quello che vive anche di giorno. Mi sono messo in gioco, l’ho fatto perché credo in quello che stiamo facendo e lei mi ha detto che non aspettava altro. Ora però non può crollare tutto. Sono una pentola in continua ebollizione, vorrei vederli in faccia questi bastardi che hanno paura del vento. Questi cretini che non vogliono stare meglio. Ma chi cazzo è che vota ancora quello stronzo di Cagazza? Lui se li compra i voti e io a chi si vende lo scannerei con le mie mani. Ma non è possibile. Non è possibile. Perdere una partita di calcetto è una cosa, perdere le elezioni è poco di più, perdere la faccia invece non lo sopporto. La cosa brutta è che non lo sopporto perché ora, solo ora, capisco che posso avere e fare molto. Perderei tutto, porca puttana!
C’è chi, come Noè, ci crede ancora:
– No, non è finita. Andrò porta per porta. Non mi spaventa. L’ho fatto per vendere le enciclopedie, lo posso fare anche adesso. Noi sappiamo come toccare il cuore delle persone. Ce la possiamo fare. Io non mi arrendo. Sappiamo come fare. Basta prendere una cassetta della frutta, mettersi sul marciapiede ed iniziare a tirare fuori la parola. Dobbiamo farci riascoltare. Primavalle è viva, sono sicuro che tutti sono con noi, solo che non tutti hanno la forza per ricordarsi ciò che hanno vissuto in questi giorni. Dobbiamo solo ricordarglielo. Il nostro quartiere è una pianta che va annaffiata in continuazione e prima del raccolto va inondata d’acqua. Quindi andiamo, non stiamo qui ad aspettare. Sfruttiamo ogni secondo.
Anna lo guarda con ammirazione e gli dà il suo appoggio. Allora Noè, il mio Noè, le prende la mano e lei lo lascia fare. Stanno iniziando a curare il loro giardino.
Poi c’è Guantanamo, che ha deciso di giocare sporco:
– E’ finalmente il mio momento!
Il Conte lo stoppa preoccupato:
– Bello mio, te lo sai, io sono l’unico che non ti teme qua a Primavalle. So’ due le cose che ti possono passare per la testa: fare una squadra che va a minacciare chi non ci vota oppure metterti anche tu a fare propaganda. Beh, la prima è esclusa a priori, perché noi non siamo dei mafiosi, la seconda, mi dispiace dirtelo, non è un’ottima idea. Spaventeresti le persone e rischieresti di far cambiare idea a chi ora ci sostiene.
– Faz, no, la cosa che mi gira in testa è un’altra. In pochissimi sanno che io sono dei vostri, allora io scenderò in piazza con gli altri. Mi farò gli ultimi eventi della campagna elettorale der Cagazza. Importunerò bonariamente le loro donne. Chiederò quarche numero de telefono. Toccherò er culo a quarche riccone ben vestito. Sputerò a terra. Scoreggerò a culo rotto. Rutterò in faccia ai più convinti. Applaudirò bestemmiando. Darò il peggio di me, tirerò fuori la bestia che sono, farò da sfollagente. Mi prenderò una rivincita con tutti quegli stronzi che attraversano la strada quando mi vedono. Li farò cagare in mano. Io sarò uno di loro. Se vogliono stare con Cagazza devono guardarsi allo specchio e vedersi come me. La mia presenza farà il vuoto. ‘Sti bastardi!
– Guantanamo non sei una bestia, sei un genio! – esulta il Conte. – E ricorda che sei un piccione, il più rozzo, ma un piccione.
Infine c’è chi è preda di infinite emozioni, tutte insieme: siamo noi, Madeleine ed io.
Sappiamo che il passato e il futuro sono il presente. Che basta un attimo e si vola via. Che basta un attimo e si cade a terra. Allora non vogliamo finisca. Non vogliamo sapere cosa accadrà. Aspettiamo un altro bambino. Abbiamo dato il massimo e ora ci godiamo Primavalle. Poco poco più in là, se pensiamo al passato, ci emozioniamo. Poco poco più in là, se guardiamo al futuro ci emozioniamo. In questa fase siamo meno lucidi. Siamo fermi su una zattera che abbiamo costruito assieme e messo nel nostro mare. Siamo fermi su una zattera che si muove. Siamo Antonine che ha guidato il suo esercito e che quando sta per arrivare non sa cosa fare, lascia la testa della corsa e continua a camminare. Lo fa seguendo il suo popolo, lo fa emozionandosi di ogni suo passo. Emozione per emozione ci concentriamo sul presente. Lo facciamo leggeri nonostante siamo dati per perdenti.

Foto di Giovanna D’Ambrosio
{gallery}POET{/gallery}

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe