Istat, Censis, Inps. Continua la serie nera dell’economia

Oggi piovono dati. E piovono dati perfettamente coerenti tra loro, evidentemente frutto delle politiche di governo e assolutamente nerissimi. Istat. Pil in crollo come i consumi

 

ROMA – L’Istat ci informa sui Conti economici trimestrali e ci dice che nel primo trimestre del 2012 il prodotto interno lordo italiano, il famigerato Pil, e’ diminuito dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e dell’1,4% nei confronti dello stesso periodo dello scorso anno. Si tratta di una correzione al ribasso della precedente stima preliminare, diffusa il 15 maggio scorso, che aveva rilevato la stessa diminuzione congiunturale ma una diminuzione tendenziale dell’1,3%.
La variazione del Pil acquisita per il 2012 e’ pari a -1,4%, se in maniera inspiegata ed al momento insperata, la contrazione della nostra economia si arrestasse ad oggi e sopravvivesse ai tagli ed agli aumenti dell’Iva il Pil 2012 chiuderebbe a questo livello, questo meno 1,4 per cento è infatti, nella definizione dell’Istat, la “ crescita annuale che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno“.
All’interno della riduzione del Pil brilla il fatto, piuttosto ovvio, di avere tutte le componenti della domanda interna, eccetto la spesa della P.a., “in diminuzione, in un contesto di marcata contrazione delle importazioni e di lieve calo delle esportazioni”. Particolarmente preoccupante è il dato relativo a quel che resta della domanda interna che, al netto delle scorte, ha sottratto 1,2 punti percentuali alla crescita del Pil (-0,6 i consumi delle famiglie, -0,7 gli investimenti fissi lordi, mentre la spesa della P.a. ha contribuito positivamente per 0,1 punti percentuali).

Inps. Gli esodati si moltiplicano per sei, ma i fondi no

Nella Relazione inviata al ministero del Lavoro, a firma del direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, vengono definite e quantificate numericamente le categorie interessate alla salvaguardia rispetto alle nuove regole di accesso alla pensione sulla base delle impostazioni normative e interpretative della Ragioneria generale.
Secondo la Relazione, la platea complessiva dei lavoratori che rientrano nella definizione di esodati sulla base del decreto Salva Italia e del Milleproroghe e’ di 390.200 persone, tale platea include i 65.000 lavoratori salvaguardati che, sulla base di criteri interpretativi dei ministeri del Lavoro e dell’Economia, potranno andare in pensione con le vecchie regole.
Per arrivare ai quasi 400.000 lavoratori contro i 65.000 inizialmente previsti dal Governo, l’Inps ha fornito qualche numero.

 

Come si crea un esercito di senza lavoro e senza pensione

Prosecuzione volontaria, sono ben 133.000 le persone autorizzate ai versamenti volontari nati dopo il 1946 e con un ultimo versamento contributivo antecedente il 6 dicembre 2011. Il Governo ne aveva contati 10.250.
I cosiddetti ‘cessati’, ovvero coloro i quali, usciti dal lavoro per dimissioni, licenziamento o altre cause tra il 2009 e il 2011, hanno piu’ di 53 anni e non si sono rioccupati, sarebbero 180.000 secondo l’Inps e 6.890 di questi rientrano tra i salvaguardati.
Secondo il Governo potranno andare in pensione, come previsto nel decreto in via di emanazione, con le vecchie regole per queste due categorie solo coloro che maturano la decorrenza della pensione, attenzione la decorrenza della pensione e va quindi inclusa la ‘finestra mobile’, entro 24 mesi dal 6 dicembre 2011 data di entrata in vigore del Salva Italia. In questa maniera riescono a rientrare solo coloro i quali maturano i requisiti entro maggio 2012 se autonomi e novembre del medesimo anno se dipendenti.
Altre differenze, seppur leggermente meno forti numericamente, ci sono anche per i lavoratori in mobilità, con 45.000 persone che andrebbero incluse tra mobilita’ ordinaria e quella lunga a fronte dei meno di 30.000, per l’esattezza 29.050, salvaguardati dal decreto, medesimo discorso per i fondi di solidarieta’, 26.200  persone a fronte delle 17.710 previste dal Governo.
Un discorso differente va fatto per i beneficiari del congedo straordinario per l’assistenza ai figli gravemente disabili, categoria che vede il proprio numero moltiplicarsi per 22 volte, passando dai  150 previsti dal decreto in via di emanazione a 3.330 unità.
Le differenze di numeri sulla mobilita’ sono date dal considerare il 4 dicembre 2011 come spartiacque in un caso inserendo i lavoratori per cui era già stato fatto l’accordo collettivo con l’azienda e nell’altro solo coloro che erano effettivamente usciti dal lavoro ed erano stati posti in mobilità

Censis. Meno consumi, anche per chi i soldi ancora li ha

“Di fronte al venir meno della tradizionale sovranita’ statuale e al progressivo scivolamento verso l’eterodirezione, con la cessione di porzioni di sovranita’ agli organismi sovranazionali e ai mercati finanziari internazionali, entra in gioco lo spirito adattativo degli italiani .In un ciclo declinante della spesa pubblica e di recessione economica, gli italiani provano a difendersi, mettendo a punto meccanismi di gestione dei propri bisogni”.
A dirlo è il Censis nella propria ricerca su ‘La crisi della sovranita’, illustrata dal presidente Giuseppe De Rita e dal direttore generale Giuseppe Roma nel secondo appuntamento per il ciclo ‘Un mese di sociale’.
Un altro adattamento che gli italiani stanno opponendo alla crisi economica viene definito dal Censis “arbitraggio nei consumi” . Secondo l’Istituto di ricerca  “e’ in atto una revisione dell’approccio al consumo, con strategie di razionalizzazione delle spese, ricerca di sconti e offerte speciali, riduzione degli spostamenti in auto o moto”.
In reazione ad una minore capacita’ di spesa, il 97% delle famiglie italiane riduce gli sprechi e il 95% rinuncia all’acquisto di cose nuove.
Fino ad arrivare a una nuova visione filosofica della vita, la “riduzione del desiderio di beni materiali” che sembra essere “indipendente dalla disponibilita’ economica e forse  e’ l’effetto non previsto della crisi”.
Oltre alla riduzione dei consumi c’è una certa ricerca di auto produzione ed auto protezione, testimoniati dall’aumento degli impianti fotovoltaici e dallo spostamento delle spese sanitarie dal pubblico al privato, anche ricorrendo a fondi e assicurazioni sanitarie private, considerati “strumenti protettivi autorganizzati”.

Oltre i dati,  sarebbe bene riflettere

La lettura incrociata dei dati dipinge un paese sull’orlo del burrone che è fermamente deciso a fare un grande passo in avanti.
Ridurre la spesa pubblica ha un grosso impatto negativo sul PIL e quindi sul rapporto deficit/Pil, rimodularla e migliorarla no, tassare i redditi più bassi ha un grosso effetto sul Pil a causa della maggiore propensione al consumo, tassare i redditi più elevati no. Costringere i cittadini a ricorrere alla sanità privata significa escludere milioni di anziani, di giovani, di mamme con bambini piccoli dalle cure, oggi lo Stato potrà anche risparmiare qualche spicciolo ma la mancata prevenzione di oggi comporterà un maggior onere sociale domani.
Ogni giorno diventa più urgente fermare la deriva ultrarigorista e tornare a fare politica con testa e cuore.

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