La crisi riguarda tutto il sistema

ROMA – Il dibattito in Parlamento sull’emergenza economica è stato per tutte le parti in campo un evento di stampo «provinciale». Si è perso ancora una volta un appuntamento importante con la storia.

La crisi globale è stata menzionata come un fantasma di comodo per poi ricorrere alle solite polemiche e ai fatti di casa nostra.
Secondo noi invece bisogna partire dalle dinamiche globali della crisi perché soltanto in questo modo si possono trovare soluzioni efficaci e sinergie.
Non si tratta di parlare della storia partendo sempre dal peccato originale! Ma non si possono ignorare le cause scatenanti di una crisi globale ancora in escalation e limitarsi a generiche considerazioni sulla situazione italiana.

Bisogna sempre incominciare dalla testa e non dai piedi se si vogliono affrontare alle radici i problemi.
Prima di tutto riconosciamo che la crisi è del sistema finanziario internazionale e non solo dei singoli Stati, dei loro bilanci e del loro debito pubblico.
Purtroppo il concerto degli Stati ha avuto la grande responsabilità di sottomettersi alla volontà dei mercati e non vincolare la finanza internazionale a regole e controlli.
La devastazione generata dalla crisi finanziaria e bancaria ha sollecitato una politica di salvataggi che è costatata agli Usa e all’Europa più di 5.000 miliardi di dollari.
Ciò, insieme al crollo del commercio e della produzione mondiali, ha fatto lievitare il debito pubblico degli Stati occidentali di circa 20%.
In alcuni paesi, tra cui l’Italia, con debolezze strutturali più forti (una lenta modernizzazione, una bassa ricerca tecnologica, un burocratismo asfissiante, una corruzione diffusa, ecc) i vecchi nodi e i problemi sono esplosi in modo più dirompente.
Il bailout è stato fatto nei modi più incompetenti e isterici possibili. Non si è chiamato in causa il «curatore fallimentare» per separare i titoli buoni da quelli tossici e riformare l’intero sistema. Tutto è stato salvato, anche la bolla dei derivati che si aggirava intorno ai 700.000 miliardi di dollari.
Si è tanto parlato di una nuova Bretton Woods, di una grande riforma di sistema. È rimasta sulla carta e si è progressivamente diluita e persa sui tavoli del G 20.
Questa finanza internazionale, gonfia di liquidità, rischia di provocare un’altra crisi sistemica. È una speculazione senza patria che trascina i mercati oggi contro l’Italia o la Spagna, domani contro l’euro e gli Usa e, perché no, anche la Germania.
Il necessario new deal globale di stampo rooseveltiano, secondo noi, esige una visibilità delle autorità degli Stati e della politica mondiale.
Se ciò è vero, urgente diventa la realizzazione politica dell’Europa. Non basta la moneta unica. Occorrono politiche economiche europee che portino crescita ma anche sacrifici da parte di tutti i suoi membri.
Come la Germania ha investito nell’integrazione e nello sviluppo delle sue regioni dell’Est dopo la caduta del Muro, così l’Europa non può permettere la deriva dei suoi Mezzogiorno.

Certo non si potrà accettare ulteriormente che i lavoratori tedeschi vadano in pensione a 65 anni e quelli di altri paesi no.
In quest’ottica il nostro paese può progettare gli interventi necessari per risolvere le emergenze e per avviare la ripresa.
Il nostro debito pubblico di 1.900 miliardi di euro pari al 120% del Pil è un macigno che ci trascina a fondo. Soltanto l’aumento del famoso spread Btp-Bund tedeschi di 400 punti inciderà in tempi brevi per più di 10 miliardi di euro sullo stock di interessi. Si consideri che da oggi alla fine del 2012 i titoli del Tesoro in scadenza ammontano a ben oltre 300 miliardi di euro. Ciò annulla ogni taglio apportato al bilancio.
Se il debito italiano è di dimensioni straordinarie, le misure da adottare necessariamente devono essere straordinarie. Responsabilmente si deve abbattere in tempi brevi almeno il 20% del debito pubblico. Certamente non lo si può fare soltanto con interventi convenzionali o lineari.
Noi riteniamo che una patrimoniale non sia più evitabile. Non la si consideri come una bestemmia. Essa dovrà essere ripartita tra i redditi e i patrimoni più alti ed affiancata dall’alienazione straordinaria e rapida del patrimonio confiscato alla criminalità organizzata. E da una rinvigorita lotta alla grande evasione fiscale e contributiva.
Nel contempo si dovranno sostenere i redditi degli strati sociali più disagiati per incentivare i consumi. Bisognerà agevolare fiscalmente le Pmi produttive e accelerare la realizzazione di tutte le grandi opere già finanziate e i pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche. Imprese e fornitori avanzano più di 60 miliardi di euro!

Alcuni propongono di alienare il patrimonio dello Stato valutato in circa 700 miliardi. Una parte significativa di questo patrimonio può essere invece messa a garanzia di un fondo per gli investimenti in infrastrutture, in nuove tecnologie e ricerca.
La ripresa produttiva resta la nostra sfida più grande.
A chi si oppone a queste misure di fiscalità straordinaria consigliamo la lettura del recente documento dell’Onu «The global social crisis» sui rischi di una vasta, incontrollata e generalizzata rivolta sociale prodotta dalla recessione economica irrisolta che morde le popolazioni più deboli e più povere.
Potrebbe costarci molto di più di una patrimoniale!

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