Il calo dello spread esalta le Borse ma deprime il paese

TRIESTE – Anno decisamente positivo per i mercati internazionali quello appena archiviato, anche se pesantemente condizionato dagli interventi delle banche centrali: la politica ultra espansiva del premier giapponese Shinzo Abe, la così detta “Abenomics”, ha prodotto un balzo del 56,72% della Borsa di Tokyo, mentre a Wall Street il Nasdaq, il listino dei principali titoli tecnologici, è cresciuto del 37,52%; il Vecchio Continente ha invece incoronato regina del 2013 la piazza di Francoforte (+25,48%), seguita da Madrid (+21,52%), Parigi (+17,61%), Milano (+16,56%) ed infine Londra (+14,3%).

Partendo da simili premesse l’andamento di gennaio sarà particolarmente monitorato, vuoi per la tendenza del primo mese dell’anno ad anticipare il resto dell’esercizio, vuoi per la possibilità di estendere al nuovo anno l’abbrivio degli ultimi rialzi del 2013.

A questo proposito, una nota di colore: la Borsa a stelle e strisce è ai massimi da molti anni a questa parte, con una preoccupante analogia – di fatto una quasi perfetta sovrapposizione – tra l’andamento del Dow Jones dell’ultimo biennio e quello degli anni compresi tra il 1928 ed il 1929, preludio alla terribile crisi di cui tutti hanno memoria. Niente più di una delle tante curiosità di mercato, confutata razionalmente dalla differenza delle scale ed dai fondamentali delle aziende e della situazione economica, senza contare la facilità con cui chiunque, in secoli di storia delle contrattazioni, potrebbe trovare delle analogie tra due differenti periodi messi a confronto.

Relativamente ai dati macroeconomici,  l’indice PMI manifatturiero della Zona Euro è cresciuto a dicembre ai ritmi più sostenuti da metà 2011, portandosi a 52,7 punti dai precedenti 51,6 (ricordiamo che letture superiori ai 50 punti indicano un’espansione del settore, mentre inferiori individuano una contrazione) grazie soprattutto al contributo di Germania ed Italia: indicatore ampiamente al di sopra del consensus nel Bel Paese (53,3 punti) ai massimi dall’ aprile del 2011.

Secondo alcuni  dati ancora provvisori diffusi dall’Istat, il tasso d’inflazione medio annuo per il 2013 è stato pari all’1,2%, in netta contrazione rispetto al 3% del 2012, a conferma dell’attuale periodo di deflazione (continua diminuzione dei prezzi al consumo).

Il dato sicuramente più eclatante registrato in quest’anomala ottava di Borsa riguarda indiscutibilmente lo spread: il termometro della fiducia internazionale nelle capacità del Bel Paese di onorare i propri impegni finanziari è ritornato sotto quota 200, ripercuotendosi positivamente sui piani di risparmio degli oneri finanziari sul debito pubblico (gli interessi) ed alimentando l’entusiasmo dei comunicati emessi dal premier Enrico Letta. 

In realtà ai più di 300 miliardi di debito in scadenza fino al novembre 2014 in possesso del Tesoro dovranno aggiungersi nuove emissioni per coprire l’aumento del fabbisogno corrente, salito a 79,7 miliardi nel 2013 rispetto ai 49,5 del 2012, e, come se tutto questo non bastasse, se è vero che lo spread è tornato sui livelli di due anni e mezzo fa, oggi dobbiamo fare i conti con il ben più temibile fenomeno della disinflazione. 

Così, essendo nella primavera del 2011 la variazione dell’indice dei prezzi al consumo al 2,6% contro l’attuale 0,7%, il costo reale del debito pubblico sulle nuove emissioni ammontava al 2,1% (tasso nominale del 4,7% meno l’inflazione del 2,6%) contro l’odierno 3,24%; in sintesi: pur beneficiando di un calo dello spread, oggi il debito pubblico costa di più. 

Da qui la necessità degli inasprimenti fiscali per la quadratura dei conti statali, aggravi che secondo la CGIA di Mestre hanno colpito circa il 95% delle aziende presenti in Italia con una pressione che mediamente oscilla tra il 53% ed il 63%, erodendo, secondo il Centro Studi di Confindustria, il 65,8% degli utili.

Conseguenza di questo stato di cose l’aumento della disoccupazione, la crescita della povertà in senso assoluto e relativo, le politiche salariali praticamente bloccate, come certificato dal Rapporto sulla Coesione Sociale 2013 stilato da Inps, Istat e Ministero del Lavoro.

Dati negativi come negativa è stata l’ultima seduta delle Borse asiatiche, dove l’indice MSCI (Morgan Stanley Capital International) della regione ha chiuso in ribasso dell’1,1% a causa di una serie di dati macro cinesi al di sotto delle attese; gli operatori non mettono in dubbio la tenuta della prima economia emergente, considerando normali le prese di profitto dopo i rally del quarto trimestre. La Borsa giapponese è rimasta chiusa per festività.  

Listini alla prova del rialzo nel Vecchio Continente, dopo una prima seduta 2014 in rosso: in avvio Milano e Parigi le più vivaci, Francoforte e Londra poco sopra la parità; la seduta è poi proseguita all’insegna del segno più a seguito delle indicazioni positive arrivate da alcune società riguardo agli utili ad invogliare gli acquisti: a Londra (+0,19%) Next, reatiler di abbigliamento e calzature, protagonista assoluta grazie a risultati superiori alle attese nel 2013 ed alla prospettiva della distribuzione di un extradividendo; bene Francoforte (+0,30%) nonostante gli arretramenti di Commerzbank e Siemens, mentre a Parigi (+0,48%) è Edf a guidare il listino assieme a Renault, in guadagno anch’essa dopo il balzo delle immatricolazioni di auto a dicembre in Francia; Madrid (+0,30%) beneficia invece del miglioramento dei dati sull’occupazione in Spagna.

Non bisogna dimenticare che, in un contesto di scambi ridotti per il periodo festivo, i mercati sono reduci da una galoppata che nel 2013 ha portato a correggere molti record; in questo contesto Milano, l’altro   ieri al traino di Fiat, si muove meglio delle altre piazze continentali: seduta decisamente buona infatti per Piazza Affari (FTSE Mib +0,97%, FTSE Italia All Share +0,97%), i cui indici largamente positivi incoronano Milano reginetta d’Europa grazie alla spinta di Telecom (+6,92%), in volo sulle indiscrezioni di un’offerta in preparazione da parte di Telefonica per gli asset brasiliani del gruppo italiano, smentita però da una nota caldeggiata dalla Consob in cui la società italiana ribadisce la strategicità dell’asset brasiliano. Bene il comparto dei bancari, soprattutto gli istituti popolari, che hanno beneficiato della nuova riduzione dello spread Btp/Bund che, secondo il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, si rifletterà in migliori condizioni di accesso al credito per imprese e famiglie: tutte in progresso Intesa SanPaolo (+1,46%), Unicredit (+0,93%), Monte dei Paschi di Siena (+0,68%).

Tra i titoli a maggior capitalizzazione da segnalare le prese di profitto su Fiat (-2,31%) dopo il balzo del 16,4% nella prima seduta dell’anno, in scia all’accordo con Veba che ha permesso al gruppo del Lingotto di acquisire il pieno controllo di Chrysler; secondo il Financial Times (che cita fonti vicine ai vertici)il gruppo guidato da Sergio Marchionne potrebbe debuttare a breve alla Borsa di New York.

Avvio d’anno positivo anche per il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, il famigerato spread, che consolida il restringimento sui valori minimi da inizio luglio del 2011 portandosi a fine seduta a 197 Bp (Basis point, punti base) dai 217 dello scorso lunedì, con il rendimento del decennale italiano al 3,91%, sui livelli più bassi da maggio. 

il differenziale della Spagna nei confronti del Bund tedesco archivia invece la sessione a 192 punti base, col rendimento dei Bonos al 3,86%. 

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