Riforma “leverage ratio”: le banche, grate, spingono i mercati

TRIESTE – Lo scorso venerdì si è chiusa positivamente per Piazza Affari la prima vera settimana borsistica dell’anno, contrassegnata da un immobilismo decisionale della BCE (Banca Centrale Europea) e da deludenti dati Usa sul mercato del lavoro  che lasciano aperte diverse strade interpretative sul prossimo andamento dei mercati; ciò nonostante il FTSE Mib, il più significativo indice azionario di Borsa italiana, ha guadagnato  il 2,39%, portando il progresso dell’indice al 3,2% da inizio anno.

Nuova ottava che s’inaugura con la Borsa di Tokyo chiusa per la festa degli adulti, in programma il secondo lunedì di gennaio, ed attenzione catalizzata dall’emissione di Btp di cui è protagonista Milano; mercoledì pubblicazione del Beige Book della Fed sull’andamento dell’economia negli Stati Uniti seguita, il giorno successivo, dal Bollettino mensile della BCE; scaramantici con le dita incrociate venerdì 17 per la comunicazione (preliminare) dei dati sull’inflazione in Italia a dicembre ed attesa per il discorso di Ben Bernanke, presidente uscente della Federal Reserve, negli Stati Uniti.

La notizia che però ha caratterizzato questo week end è stata la riunione, tenutasi ieri a Basilea, del Gruppo dei Governatori e dei Capi della Vigilanza (GHOS), organo direttivo del Comitato di Basilea, impegnato ad esaminare ed approvare le priorità strategiche per i prossimi due anni. Il Gruppo ha affrontato un tema cruciale per rinforzare i requisiti di capitale delle banche: la definizione unica del rapporto indebitamento degli istituti di credito. 

Con questo accordo si completano, dunque, i recenti elementi delle norme di Basilea 3 che impongono un livello patrimoniale più alto quanto a liquidità ed indebitamento: due temi che erano rimasti ancora in sospeso e che vedevano una grande differenza tra paese e paese. «Il leverage ratio (cioè il criterio per l’indebitamento) – ha dichiarato il presidente della BCE Mario Draghi, alla guida del Gruppo e nominato oggi “Governatore dell’Anno” dalla rivista specializzata Central Banking Journal – è un importante strumento di garanzia ed anche le norme sulla liquidità sono importanti per un regime patrimoniale basato sul rischio. Forniscono insieme un quadro regolatorio che dovrebbe assicurare banche più resilienti a shock finanziari rispetto a quanto era nel passato».

In sostanza, gli istituti di credito dovrebbero affrontare autonomamente gli shock di liquidità, con le Banche Centrali a fungere unicamente da prestatori di ultima istanza (cioè da garanti), pur potendo intervenire con iniezioni di liquidità qualora si verificassero situazioni di stress; i dettagli e la calibrazione definitiva saranno effettuati entro il 2017, nell’ambito costituito dai requisiti patrimoniali minimi che entreranno in vigore nel 2018.

Anche il presidente del Comitato di Basilea e governatore della Banca centrale svedese, Stefan Ingves, ha rilevato come «sono stati fatti buoni progressi per concludere l’ambizioso programma di riforme e per garantire la sua attuazione piena e coerente. C’è ancora da fare, ma il Comitato è sulla buona strada per completare presto le riforme connesse con la crisi e, così facendo, per istituire un sistema bancario più forte e più resistente».

Pochi i dati di interesse macroeconomico, riassunti dalla comunicazione Istat dell’aumento a novembre dell’indice destagionalizzato della produzione industriale, in progresso dell’1,4% in termini tendenziali (cioè anno su anno), ma negativo di 3,1 punti percentuali sull’andamento dei primi undici mesi del 2013.

Seduta positiva per i listini asiatici, nonostante la chiusura per festività della Borsa di Tokyo; il debole dato sull’occupazione Usa ha rafforzato le aspettative degli operatori in un allentamento più morbido della politica monetaria da parte dalla Federal Reserve, generando un ottimismo che ha influito positivamente su Hong Kong (+0,19%) e Seul (+0,54%), mentre ha rallentato Shanghai (-0,19%).

Nel Vecchio continente l’annuncio da parte del Comitato di Basilea di vincoli meno stringenti sul livello di indebitamento degli istituti di credito ha spinto al rialzo i titoli del comparto bancario, che a loro volta hanno consentito un positivo avvio dei listini europei, proseguito a metà seduta; in chiusura di trattazioni l’Ibex di Madrid (+0,73%) guida la corsa degli indici di Eurolandia, seguito alla distanza da Francoforte (+0,39%), Parigi (+0,30%) e Londra (+ 0,26%).

Indici in progresso anche a Piazza Affari (FTSE Mib +0,66%, FTSE Italia All Share +0,60%), guidata dal comparto finanziario: progresso di Unicredit (+2,37%) sull’aumento del prezzo obiettivo operato da NatIxis e da Intermonte, progresso beneficiato anche da Intesa Sanpaolo (+1,41%),  con gli esperti a confermare i due istituti nella propria lista di titoli da acquistare con convinzione.

Per quel che concerne i titoli a maggior capitalizzazione, rialzo per Fiat (+1,04%) in risposta alle parole dell’amministratore delegato circa la possibilità che il gruppo (che ora comprende anche l’azienda americana Chrysler) posso essere quotato sul listino americano entro fine anno; conferma anche a “BB-” del rating sul debito a lungo termine del gruppo del Lingotto da parte dell’agenzia S&P, con prospettive per i prossimi trimestri “stabili” e conferma del giudizio “market perform” (neutrale).

Anche oggi senza particolari scossoni il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, lo spread, che a fine seduta è però salito a 207 Bp (Basis point, punti base) rispetto ai 204 della chiusura di venerdì, con il rendimento del decennale del Tesoro al 3,88%; invariato invece lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, confermatosi agli 85 Bp della scorsa settimana per un rendimento prossimo all’1%.

Infine il differenziale della Spagna nei confronti del Bund tedesco sale a 200 punti base, col rendimento dei Bonos al 3,81%.  

Concludiamo con le buone notizie portate al Tesoro dall’odierna asta dei BTP a 3, 7 e 15 anni: sulla scadenza più breve collocati titoli per un ammontare di 4 miliardi di euro rispetto a una richiesta di 5,51 miliardi, con un rendimento al minimo storico dell’1,51%; il tasso di copertura (rapporto tra titoli richiesti e titoli offerti) è stato pari a 1,38, in forte calo rispetto all’1,80 dell’asta di metà novembre per i titoli con simile scadenza (novembre 2016).

Il rendimento dei titoli a sette anni (ne è stato venduto il massimo previsto, 2,5 miliardi) si è collocato al 3,17%, mentre quello dei buoni a 15 anni si è fissato poco sotto al massimo della forchetta indicata dal ministero dell’Economia e delle Finanze con un rendimento del 4,26%, in calo rispetto al precedente 4,59%.

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