Mentre la Fed procede col “tapering”, lo spettro della deflazione incombe sull’Europa

TRIESTE – Dopo un’ottava, quella della scorsa settimana, dominata da un’ampia e generalizzata correzione dei mercati azionari che, per i debiti dei mercati emergenti, si è associata ad una fase di elevata volatilità (se non ad una vera e propria crisi valutaria), attenzione generale puntata sulla riunione di mercoledì scorso del FOMC (Federal Open Market Committee), il principale strumento di controllo della Fed sui mercati monetari e finanziari, chiamato ad esprimersi sull’eventualità di un ulteriore  rallentamento nel ritmo di riacquisto di asset sul mercato da parte dell’istituto centrale, il così detto “tapering”.

Nell’ultima riunione dell’era Bernanke, che da febbraio lascia ufficialmente il timone di Presidente della Federal Reserve a Janet Yellen, per la prima volta da giugno 2011 il voto dei dieci membri è stato unanime nello sancire una nuova riduzione degli aiuti all’economia, limitando l’ammontare del programma di altri 10 miliardi di dollari dopo che, il mese scorso, era già stato apportato un primo taglio della medesima entità, riducendo così il totale degli acquisti a 65 miliardi di dollari al mese. 

Una scommessa implicita che le scosse in arrivo dai mercati emergenti abbiano un ambito contenuto, non in grado di generare contagi sistemici preoccupanti per l’economia americana e globale, azzardo giustificato dal miglioramento della fiducia nelle condizioni economiche degli Stati Uniti: la FED ha infatti lasciato invariati i tassi di interesse in un intervallo compreso tra lo 0% e lo 0,25%, ai minimi di sempre, ribadendo  che la politica monetaria non cambierà finché l’inflazione non darà segnali di ripresa ed il tasso di disoccupazione si manterrà sopra il 6,5%.

Una simile decisione era già da tempo attesa e scontata dai mercati, tanto che la recente fase di correzione dei mercati può considerarsi fisiologica dopo i forti rally dei mesi scorsi; le turbolenze valutarie dei paesi emergenti sono state il catalizzatore di questa correzione e potranno continuare ad essere elemento di preoccupazione e volatilità, ciò nondimeno persistono elementi che contribuiscono ad alimentare le attese di un rafforzamento dell’economia globale.

Ridimensionate ed inquadrate nella giusta prospettiva le apprensioni per la tenuta dei mercati emergenti, fortemente influenzati dal calo al di sotto della soglia di 50 (che divide espansione da recessione) dell’Indicatore PMI manifatturiero della Cina, per la quale si attendono nuove serie di dati nei prossimi giorni, gli investitori si concentrano ora sui dati macroeconomici occidentali. 

Alle incertezze di Standard & Poor’s sul rating del Bel Paese, con outlook negativo perché «ancora incerti sulla tenuta dei trend economici e delle politiche economiche» e con dubbi sul debito, atteso in rialzo al 134% del PIL (Prodotto Interno Lordo) a fine anno, si affiancano il più basso tasso di crescita (+1,4%) delle retribuzioni orarie dal 1982, anno di inizio delle serie storiche, ed un tasso di disoccupazione (12,7%) appena al di sotto del record storico (negativo) toccato a novembre, quasi a sottolineare l’urgenza di riforme strutturali che consentano all’Italia di agganciare la ripresa e battere la crisi.

Nel contempo a gennaio l’indice di fiducia economica nella zona Euro è cresciuto, così come è migliorato l’indice di fiducia dei consumatori; la disoccupazione è stabile al 12%, con un lieve calo di quella giovanile, mentre l’inflazione è scesa dallo 0,8% allo 0,7%, alimentando i timori per un possibile scenario deflattivo.

La deflazione è la diminuzione del livello generale dei prezzi che deriva dalla debolezza della domanda, un freno nella spesa di consumatori e aziende: le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e dei servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori; questa riduzione dei prezzi si ripercuote sui ricavi, anch’essi generalmente in calo, che a loro volta portano  le aziende a ridurre ulteriormente i costi, da quelli per l’acquisto di beni e servizi da altre imprese, a quello del lavoro, ad un minor ricorso al credito, in una spirale negativa e perversa.

Da qui l’aspettativa di ulteriori misure accomodanti da parte della BCE (Banca Centrale Europea) nel meeting di politica monetaria di giovedì prossimo, in un ventaglio di misure piuttosto ampio che spazia dal taglio del tasso di rifinanziamento principale (un auspicato 0,1% dallo 0,25% attuale) all’acquisto di asset delle banche. L’istituto di Francoforte deve necessariamente guardare alla crescita e cercherà di stimolare l’economia reale, tanto più che i recenti tagli dei tassi di interesse non hanno avuto gli effetti sperati e le due LTRO (Long Term Refinancing Operation, piano di rifinanziamento a lungo termine) hanno solo tamponato una situazione di emergenza, riportando la calma sui mercati finanziari.

Ennesima una seduta debole per i listini asiatici, con l’indice MSCI Asia Pacifico in sostanziale parità dopo le forti perdite registrate ieri. Attenzione concentrata su Tokyo (-0,6%), debole per effetto del nuovo apprezzamento dello yen, che pesa sulle aspettative per gli utili futuri in quanto andranno ad incidervi anche la crescita delle tasse sugli acquisti e la debolezza dei mercati emergenti. I principali dati macroeconomici del paese sono comunque confortanti, con inflazione, produzione industriale ed occupazione in crescita, a riprova dell’efficacia dell’accomodante politica monetaria  della Bank of Japan.

Le Borse di Shanghai ed Hong Kong sono invece rimaste chiuse in occasione della festività del Capodanno cinese.

Avvio contrastato per le principali Borse europee, sulle quali hanno pesato la negativa chiusura dei mercati asiatici ed il mancato traino di  Wall Street nonostante i guadagni registrati ieri,  in una seduta proseguita con il segno meno a causa dei dati macro che avvicinano sempre più uno scenario di deflazione, nonostante le ripetute rassicurazioni dello stesso Mario Draghi, numero uno della BCE. La sessione odierna, conclusiva del mese di gennaio, ha registrato il ribasso di Francoforte (-0,71%) seguito dai cali di Madrid (-0,44%) e Londra (-0,43%); Parigi (-0,34%) la meno negativa del gruppo.

Ultima di ottava nervosa per Piazza Affari (FTSE Mib +0,03%, FTSE Italia All Share +0,07%), che in chiusura è riuscita a recuperare i  minimi toccati nel pomeriggio. 

Seduta nervosa per i bancari con Monte dei Paschi di Siena in rialzo dello 0,72% ed Unicredit dello 0,18%; Intesa Sanpaolo (+2,66%) ha beneficiato invece dell’inserimento da parte di Morgan Stanley nella lista dei titoli da acquistare con convinzione, mentre Mediobanca ha invece perso lo 0,15%.

Tra i titoli a maggior capitalizzazione segnaliamo il passo indietro di Telecom Italia (-0,84%), nonostante il magnate egiziano Naguib Sawiris abbia ribadito la propria disponibilità a sottoscrivere un aumento di capitale che escluda la vendita di Tim Brasil; seduta negativa anche per Fiat Chrysler (-0,74%) dopo il forte rialzo messo a segno ieri. Immediate le reazioni degli analisti ai risultati 2013 di CNH Industrial (-1,76%), con Jp Morgan a tagliare il prezzo obiettivo sulla società consigliando di venderne le azioni, subito imitata da Banca Akros ed Equita Sim.

Infine in gran spolvero il settore del lusso, guidato dal balzo di Salvatore Ferragamo (+4,31%) dopo uno stop per eccesso di rialzo in avvio di seduta; bene anche Tod’s (+0,1%) e Brunello Cucinelli (+3,85%) dopo gli ennesimi giudizi delle banche d’affari.

Sul fronte del debito sovrano, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza ha chiuso stabile con uno spread fissato a 210 Bp (Basis point, punti base), con il tasso sul decennale del Tesoro sceso al 3,76%, in corrispondenza dei da maggio 2013.

Il differenziale tra titoli decennali spagnoli e tedeschi ha chiuso invece a 199 Bp, con il decennale iberico al 3,65%.

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