La correzione dei mercati rispecchia i timori BCE di stagnazione

TRIESTE – I temi portanti della settimana borsistica conclusasi venerdì scorso si riverberano nell’ottava che si avvia oggi, possibile preludio ad una fase di correzione che troverebbe fondamento dai positivi risultati precedentemente messi a segno così come dalle prese di beneficio registrate a Wall Street nell’ultima seduta della passata settimana.

Nonostante il generale calo della manifattura, dalla Cina all’Europa passando per la Germania, le lunghe e sofferte trattative per nuovi aiuti finanziari (8,3 miliardi di euro) alla Grecia, la «ripresa graduale anche se modesta» dell’Eurozona cui fa da corollario una crescita della disoccupazione (11,9%) che, in Italia (13%), ha toccato l’apice più alto sia dall’inizio delle serie mensili (gennaio 2004) che di quelle trimestrali (primo trimestre 1977), il FTSE Mib, principale indice borsistico di Piazza Affari, è riuscito a mettere a segno l’ennesimo rialzo (+3,15%), portando il progresso da inizio anno al 16,9%.

Nessuna sorpresa dalla riunione della BCE (Banca Centrale Europea) tenutasi il 3 aprile, con il saggio di riferimento mantenuto fermo (per il quinto mese consecutivo) allo 0,25% e soltanto prospettive ed annunci verbali a far fronte ai timori di deflazione, la diminuzione del livello generale dei prezzi che deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi. Nella consueta conferenza stampa a commento delle scelte di politica monetaria  il presidente Mario Draghi, riferendosi all’utilizzo di misure non convenzionali per evitare che l’inflazione resti bassa troppo a lungo, ha affermato che il board dell’istituto è «unanime nel suo impegno ad utilizzarle per far fronte in modo efficace ai rischi di un periodo troppo prolungato di bassa inflazione», aprendo di fatto le porte a nuove misure di stimolo quali l’acquisto di titoli, pubblici e privati, destinato ad allargare la massa monetaria in circolazione, il così detto “Quantitative Easing” (QE).

La tempistica dell’eventuale intervento è ancora allo studio, così come bisogna ancora stabilire «quale tipo di intervento sia più giusto per noi»: si spazia da un ulteriore taglio dei tassi, che in questa fase avrebbe effetti limitati, al ben più probabile QE, che abbasserebbe tutti i tassi di mercato rischiando però di avvantaggiare alcune economie più di altre (gli acquisti di titoli migliorano le condizioni di finanziamento di chi li emette), dalle operazioni di rifinanziamento LTRO (Long Term Refinancing Operations) allo stop alla “sterilizzazione” del programma SMP (Securities Markets Program, acquisti sul mercato secondario di bond dei Paesi più colpiti dalla crisi), ipotesi invero non molto quotata, all’ampliamento della gamma di titoli basati sulle cartolarizzazioni di prestiti alle piccole e medie imprese, gli ABS (Asset Backed Securities, bond che racchiudono altre attività, tra cui i prestiti), rilanciando così il credito alle PMI, la cui stretta è uno dei fattori che contribuiscono alla recessione.

«La mia paura maggiore per l’economia dell’Eurozona è la prolungata stagnazione, che va oltre il previsto» e con essa «gli alti livelli di disoccupazione che si avviano a diventare strutturali e quindi molto più difficili da abbassare con misure di politica convenzionale» ha inoltre sottolineato Draghi sollecitando i Governi a completare le riforme strutturali ed a perseguire l’equilibrio dei conti pubblici «con misure di sostegno alla crescita».

Queste premesse hanno portato ad un’apertura di ottava difficile per i mercati, con il Belpaese osservato speciale a causa della rilevanza del suo debito: ogni anno il Tesoro emette oltre 450 miliardi di nuovi bond per finanziarsi, pagando in media un interesse vicino a quello di un Btp a cinque anni; pur essendo il rendimento di quel titolo sceso, l’inflazione è scesa ancor di più, facendo paradossalmente salire in termini reali il costo di ogni euro di nuovo debito pubblico anche quando lo spread fra Bund tedeschi e Btp scende. Da qui le parole del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, al termine dell’Ecofin della scorsa settimana: «L’Italia ha un alto debito e deve fare le riforme»; grande attesa dunque per il Documento di Economia e Finanza (DEF) che l’Esecutivo dovrà presentare domani con le coperture necessarie a finanziare la riforma del lavoro ed il taglio del cuneo fiscale. 

Seduta negativa per i listini asiatici, che interrompono così una striscia di otto risultati positivi di fila.

La cattiva intonazione del comparto tecnologico, penalizzato dalle forti vendite che hanno colpito le big americane del settore come Google e Facebook, ha pesato sull’andamento delle contrattazioni spingendo la  Borsa di Tokyo (-1,69%) ad archiviare la prima seduta della settimana in consistente calo, complice anche l’apprezzamento dello yen nei confronti del dollaro (nonostante gli analisti ipotizzino un ulteriore sforzo da parte della Bank of Japan per aumentare la liquidità nel sistema), che ha fatto scattare le vendite sui titoli maggiormente esposti al mercato Usa.

Chiusa per festività la Borsa di Shanghai, sotto la parità quella di Hong Kong (-0,69%).

Avvio di ottava negativo anche per le principali piazze del Vecchio Continente, con gli operatori ad effettuare prese di beneficio dopo i positivi risultati messi a segno nei scorsi; giro di boa ancora all’insegna della negatività, con gli investitori a scommettere sui mercati periferici europei che più distano dai massimi degli anni passati, come Milano e Madrid. Chiusura infine debole per le Borse di Eurolandia, in scia al comparto tecnologico a stelle e strisce sul quale gli analisti, preoccupati per le valutazioni, stanno facendo cassa vendendo i titoli che nei mesi scorsi hanno corso di più: Madrid (-0,66%), Parigi (-1,08%), Londra (-1,09%), Francoforte (-1,91%).

Indici in rosso a Piazza Affari (FTSE Mib -0,84%, FTSE Italia All Share -0,77%) nella seduta odierna, dopo il forte rialzo della scorsa settimana: a seguito di una partenza appesantita dal negativo andamento degli industriali, le notizie circa un consolidamento del comparto del cemento, dopo l’annuncio di fusione tra la svizzera Holcim e la francese Lafarge, fanno risalire il listino milanese sul quale, in chiusura, pesano negativamente l’umore globale e la debolezza delle banche.

Banco Popolare (+0,07%) ha registrato un minimo progresso grazie anche a presidente, amministratore delegato ed a diversi consiglieri della banca che hanno esercitato i diritti a loro disposizione partecipando all’aumento di capitale dell’istituto; in rosso Monte dei Paschi di Siena (-2,26%) dopo che Fondazione MPS

ha annunciato un accordo parasociale con Fintech e BTG Pactual che porterà il gruppo a detenere “almeno” l’attuale 9% del capitale della banca; performance negativa per Intesa Sanpaolo (-1,31%) nella giornata di riunione del consiglio di sorveglianza per l’esame dei risultati dell’esercizio 2013; vendite anche su Unicredit (-1,76%), che non ha voluto commentare le indiscrezioni relative a un offerta da 2 miliardi di euro avanzata da Industrial and Commercial Bank of China per rilevare Pioneer Investments, la controllata che si occupa del risparmio gestito.

Tra le Blue Chip male Finmeccanica: il mercato si interroga su un eventuale ricambio ai vertici e sulla cessione di Ansaldo Sts (-2,56% dopo uno stop per eccesso di ribasso in apertura) dopo che General Electrics si è sfilata dalla contesa per l’acquisto dell’azienda; progresso invece per Telecom Italia (+1,71%) nel giorno in cui il settore delle telecomunicazioni è stato sotto la lente, dopo che la francese Numericable si è aggiudicata Sfr.

Sul fronte del debito sovrano lo spread, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, ha chiuso stabile a 165 Bp (Basis point, punti base), sui livelli di venerdì, per una resa del decennale italiano pari al 3,18%.

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