Inflazione ed Ucraina agitano la BCE ed indeboliscono le Borse

TRIESTE – Settimana di Borsa importante quella che va a concludersi oggi, dove le logiche e la volatilità di breve periodo, che secondo il detto dovrebbero accompagnarci per tutto il mese («Sell in may and go away», cioè vendi a maggio e tira dritto), si sommano agli indicatori provenienti dal fronte macro agitando i mercati.

Così, forse proprio per diffondere maggior tranquillità agli operatori e rafforzare i listini, lo scorso martedì il governatore della Federal Reserve Janet Yellen ha ribadito alla commissione congiunta di Camera e Senato che le politiche accomodanti saranno mantenute ancora per diverso tempo, tanto più che le condizioni del mercato del lavoro a stelle e strisce sono ancora lontane dal potersi ritenere soddisfacenti: la troppo lenta ripresa del mercato immobiliare associata ad un’inflazione da tempo inferiore al 2% pongono dei rischi nel medio periodo, ragion per cui se un eventuale ritocco (al rialzo) dei tassi di interesse non può ancora essere stabilito, altrettanto non vale per il “tapering”, la progressiva riduzione delle immissioni di liquidità operate dalla banca centrale, per il quale non sono invece previsti rallentamenti.

Per contro, nel Vecchio Continente, la BCE (Banca Centrale Europea) è preoccupata per la fuga di capitali che affligge la Russia sin dall’inizio della crisi con l’Ucraina, di fatto quattro volte maggiore delle stime del Cremlino, a conferma di come le attuali sanzioni (ed il timore di misure future sempre più restrittive) stiano danneggiando seriamente l’economia di Mosca. Secondo il numero uno della BCE Mario Draghi «Stiamo assistendo a flussi in uscita molto significativi, che sono stati stimati nell’ordine di 160 miliardi di euro», il pari di 222 miliardi di dollari, un ammontare enorme equivalente alla rotta prodottasi alla fine del 2008 con la crisi di Lehman Brothers: un danno finanziario talmente grave da indurre il presidente Vladimir Putin a smorzare le pressioni sull’Ucraina.

La Bank of England (BOE) ha confermato il proprio tasso di riferimento allo 0,5% ribadendo l’impegno per un Quantitative Easing totale di 375 miliardi di sterline, entità massima del piano di acquisto di titoli di Stato per fornire sostegno all’economia nazionale, anche se gli attesi protagonisti della giornata di ieri sono stati l’euro, le decisioni di politica monetaria della BCE e l’usuale conferenza stampa di Mario Draghi  a commento di queste: la moneta unica nella mattinata ha messo a segno nuovi massimi sul dollaro americano per poi ritracciare bruscamente sui commenti del Governatore dell’Eurotower su di un possibile intervento straordinario nel prossimo board di giugno, mentre la banca centrale ha confermato il tasso di rifinanziamento pronti contro termine al minimo storico dello 0,25%, mantenendo nel contempo fermi anche il tasso sui depositi (a quota zero) ed il tasso marginale (allo 0,75%). 

Nonostante in Europa la ripresa continui solo a fatica sembra allontanarsi lo spettro della deflazione, anche se secondo Draghi l’inflazione resterà bassa a lungo, avvicinandosi al 2% soltanto alla fine del 2016; da qui la rassicurazione che il costo del denaro seguirà la medesima strada. Se ciò non dovesse bastare il direttivo di Francoforte si è detto pronto ad agire rapidamente con misure non convenzionali contro un perdurare dell’inflazione, lasciando intendere un possibile intervento sui tassi già il mese prossimo. Ancora una volta i mercati hanno dato alla BCE fiducia sulla parola in attesa di qualcosa di più concreto, ma la loro pazienza è al limite e Mario Draghi si è esposto tanto da non poter tornare più indietro: la credibilità è infatti una delle caratteristiche più importanti che una Banca centrale deve avere affinché non venga messa in discussione tutta la sua politica monetaria. 

Germania sotto i riflettori macroeconomici di quest’ottava: a marzo gli ordini all’industria sono scesi a sorpresa del 2,8% su base mensile, così come la produzione industriale ha registrato il primo ribasso in cinque mesi, una flessione dello 0,5% rispetto a febbraio che ha disatteso le previsioni degli analisti; infine la bilancia commerciale ha risentito di un calo delle esportazioni (-1,8%) superiore a quello delle importazioni (-0,9%) che ha ridotto il saldo positivo (surplus commerciale) del paese a 14,8 miliardi di euro contro i 15,8 miliardi di dicembre (dato rivisto).

Al contrario l’agenzia di rating Moody’s ha rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2015 dell’Italia, anno in cui il PIL (Prodotto Interno Lordo, il valore totale dei beni e dei servizi prodotti nel Paese) potrebbe muoversi tra l’1% e il 2%; la disoccupazione dovrebbe invece oscillare tra il 13% ed il 14% nel 2014 per poi scendere tra il 12% ed il 13% nel 2015.

Secondo una nota dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) l’inflazione annua nell’Area Euro (0,5%) è scesa a marzo al livello più basso dal novembre 2009, con un calo di 0,2 punti percentuali che ha interessato tutte le principali economie dell’Eurozona, dall’Italia (0,4%) alla Germania (1%), alla Francia (0,6%).

Seduta debole per i principali listini asiatici, con la Borsa di Tokyo (+0,25%) che ha chiuso la giornata in lieve progresso sostenuta dal deprezzamento dello yen nei confronti del dollaro e dell’euro, nonostante un basso livello di scambi ed il calo del superindice del Giappone, il cui carattere è predittivo per l’economia del paese, di ben il 2,2% rispetto al mese precedente.

Il rallentamento dell’inflazione ha invece frenato i mercati cinesi, con i prezzi al consumo aumentati ad aprile dell’1,8% rispetto al 2,4% di marzo ed i prezzi alla produzione calati del 2%, ventiseiesimo calo di fila su base annua; sempre più corposa infine la lista delle società che vorrebbero debuttare in Borsa, frenate dalle autorità che vorrebbero prima riformare il sistema per renderlo più orientato al mercato;  Hong Kong ha chiuso poco sotto la parità a causa della cattiva intonazione dei titoli tecnologici, mentre Shangai (-0,21%) ha sofferto della situazione generale.

Avvio di seduta debole anche per le principali Borse europee dopo i guadagni messi a segno ieri grazie alle incoraggianti dichiarazioni della BCE; listini ancora fragili al giro di boa delle contrattazioni, delusi dai dati macro tedeschi e dalla produzione industriale del Belpaese, in calo a marzo dello 0,5% rispetto al mese precedente. A condizionare giornata e chiusura odierne le trimestrali di alcuni colossi europei che hanno deluso le attese del mercato, con molti operatori che hanno approfittato della vicinanza ai massimi di molti indici per effettuare delle prese di profitto: Francoforte (-0,27%), Londra (-0,36%), Parigi (-0,66%), Madrid (-0,98%).

Piazza Affari (FTSE Mib -1,56%, FTSE Italia All Share -1,50%) maglia nera in Europa con i principali indici a perdere oltre un punto percentuale nell’ultima seduta della settimana, affondata dal forte ribasso del comparto bancario, che nell’ultimo rapporto Bankitalia non evidenzia sostanziali progressi patrimoniali.

Popolare di Milano (-5%) in forte calo, esteso anche ai diritti relativi all’aumento di capitale (-15,4%), in concomitanza con riunione dei propri vertici per l’esame dei risultati del primo trimestre 2014; scivola anche il Banco Popolare (-5,76%) nonostante Norges Bank sia diventata uno dei maggiori azionisti; il miglioramento delle stime sull’utile per azione e dei target price non salvano Mediobanca (-5,39%) né Credem (-5,35%), mentre l’approvazione del bilancio 2013 con una perdita netta consolidata di 4,55 miliardi di euro pesa meno sui conti di Intesa Sanpaolo (-2,36%).

Tra i titoli a maggior capitalizzazione va segnalata la replica di Prysmian (-5,35%) del pesante ribasso di ieri, frutto delle bocciature degli analisti sul titolo dopo la diffusione dei dati della trimestrale; ben più contenuti, quasi “frazionali” al paragone, i ribassi di Enel (-0,66%) ed Eni (-0,63%), alle quali gli analisti hanno incrementato il prezzo obiettivo con giudizi di  “Neutrale” ed “Outperform” (farà meglio del mercato) rispettivamente; chiudiamo con il mini rimbalzo di Fiat Chrysler (+1,21%) dopo il recentissimo scivolone.

Sul fronte del debito sovrano lo spread, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, ha chiuso a 149,6 Bp (Basis point, punti base) dopo aver toccato in mattinata quota 144, il minimo da aprile 2011, riducendo così il rendimento del decennale italiano al 2,95%.

Il differenziale a dieci anni tra i titoli di Spagna e Germania termina invece la seduta a 146 Bp, portando il tasso dei Bonos iberici al 2,88%. 

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