Dubbi, tensioni geopolitiche e volatilità in attesa della Fed

TRIESTE – il nervosismo che la scorsa settimana ha caratterizzato i mercati non ha risparmiato Piazza Affari che, nel periodo compreso tra il 9 ed il 13 giugno, ha assistito ad uno slittamento dello 0,56% del FTSE Mib, il suo più rappresentativo indice azionario, riducendo così il progresso da inizio anno al 16,9%.

Il rinnovarsi delle tensioni in Ucraina ed il dilagare della guerriglia tra fazioni religiose che sta insanguinando l’Iraq hanno favorito il ritorno ad un clima d’incertezza del quale beneficiano esclusivamente le quotazioni del greggio, sostenute da una preoccupata domanda per il calo della fornitura, e dell’oro, bene rifugio per eccellenza, con i listini azionari a ritracciare dai loro recenti massimi.

Anche le mosse della Banca Centrale Europea (BCE) per combattere la deflazione e dare una spinta alla depressa economia del Vecchio Continente per ora hanno favorito solamente i mercati finanziari, con gli auspicati benefici per una ripresa congiunturale della regione ancora tutti da dimostrare; secondo Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar, «Resta da capire chi ne beneficerà, quando e in che misura. Il piano della BCE dovrebbe, fra le altre cose, aiutare a indebolire la moneta unica rendendo più competitivo l’export dall’Europa. Ma tutte le aree stanno cercando di far calare le rispettive divise. E in una situazione in cui tutti agiscono nello stesso modo e con le stesse tempistiche, è difficile che qualcuno prevalga. Inoltre gli aiuti alle banche per facilitare i prestiti non possono aiutare una crescita che, semplicemente, non c’è». Anche Azad Zangana, European Economist di Schröders, esprime la propria perplessità sui provvedimenti adottati da Draghi:  «Siamo in disaccordo con la decisione di portare i tassi sui depositi in territorio negativo, poiché ciò porta all’aumento dei costi di finanziamento delle banche, che a loro volta o aumenteranno le spese per i risparmiatori o incrementeranno i tassi di interesse sui prestiti».

Interessante la posizione assunta  dal docente ed economista statunitense Nouriel Roubini, noto ai più per aver previsto la crisi economica globale all’IMF del 2006 dove fu accolto da un’incredulità che gli valse il soprannome di “Dr. Doom” (Dottor Destino), scettico su quanto sta avvenendo, una vera e propria “schizofrenia” dei mercati: «Ritengo ancora che la crescita economica possa sorprendere al ribasso» ha affermato, aggiungendo che, se l’azionario dovesse balzare di un altro +30% quest’anno, si entrerebbe in una fase precedente a quella di bolla speculativa.

Con un tempismo da brivido e quasi a voler confermare i timori dell’economista, l’allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per una possibile bolla sul mercato immobiliare globale, cui ha fatto seguito un appello al mondo intero affinché si contenga il rischio di un altro crash immobiliare devastante.

L’istituto di Washington ha infatti pubblicato nuovi dati che mostrano come in alcune aree i prezzi degli immobili siano ben al di sopra delle medie storiche, confermando l’accelerazione dei prezzi immobiliari globali come una delle principali minacce alla stabilità dell’economia; in Europa tale pericolo sembra essere raffigurato dalla Svezia, in cui un eccessivo rialzo del debito delle famiglie (175% dei redditi disponibili, nel 2013) si accompagna ad elevati prezzi degli immobili (+5% su base annua, ma +7% a Stoccolma con un costo medio per abitazione di $660.000). Il boom del mercato immobiliare spinge all’accensione di mutui, motivando la preoccupazione che i prestiti erogati dalle banche possano diventare inesigibili proprio come avvenne negli USA, con la crisi subprime a dare il via alla recessione del 2007; né mancano i paragoni tra questo rischio di contagio e quello della Grecia, che innescò la crisi dei debiti sovrani.

Non molto ottimista neanche il taglio della Banca Mondiale sulle stime della crescita globale, con un tasso invariato al 3,4% per il 2015 ma con outlook più deboli per Usa, Russia e Cina ed un appello alle economie emergenti a rafforzarsi prima che cominci il rialzo dei tassi sui Fed Funds. Jim Yong Kim, direttore generale della Banca Mondiale, ha affermato che «i tassi di crescita dei paesi in via di sviluppo rimangono troppo modesti per creare quei posti di lavoro di cui abbiamo bisogno per migliorare il tenore di vita dei più poveri. Chiaramente, i paesi devono muoversi più velocemente e investire di più in riforme strutturali domestiche, al fine di riportare una crescita ad ampio respiro, a livelli necessari per dire basta all’estrema povertà della nostra generazione».

In un simile contesto la scorsa settimana la Bank of Japan ha dato prova di grande freddezza confermando la propria politica monetaria: invariati i tassi d’interesse e confermato il piano annuo di acquisto di asset per circa 60-70 bilioni di yen, con un miglioramento del giudizio sulle economie estere passato dal «stanno iniziando a riprendersi» all’attuale «si stanno riprendendo».

Nel Vecchio Continente l’Eurostat aveva già comunicato una crescita superiore alle attese della produzione industriale (+1,4% su base annuale) ad aprile, accompagnata da un surplus di 15,7 miliardi di euro della bilancia commerciale; contrazione dell’inflazione a maggio in Germania (-0,1% su base mensile), variazione nulla per la Francia e segna un calo, seppure lieve, dello 0,1% nel Belpaese. A questi dati si affianca il calo del Prodotto Interno Lordo (PIL) italiano, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, accompagnato da un nuovo record del debito pubblico, ora a quota 2.146,4 miliardi, ai massimi di sempre; secondo l’agenzia Standard & Poor’s il debito pubblico e privato di Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Slovenia è mediamente raddoppiato nel periodo 2006-2013 e la necessità di ridurlo «potrebbe bloccare la ripresa per anni».

Oltreoceano, sponda Wall Street, l’indice elaborato dall’Università del Michigan indica un calo della fiducia dei consumatori che potrebbe condizionare quello dei consumi, fatto piuttosto inaspettato dopo i nuovi massimi fissati da S&P500 e Dow Jones lo scorso lunedì. Ben più incoraggianti i dati comunicati oggi sulla produzione industriale, cresciuta a maggio oltre le attese, e sull’aumento dell’indice Empire, informazioni importanti per le scelte di politica monetaria della Fed, chiamata in settimana ad esprimersi sul prosieguo del “tapering”, la stretta agli stimoli per l’economia a stelle e strisce.

Seduta debole per i listini asiatici, preoccupati dall’escalation militare in Iraq: le prime reazioni dei mercati consistono in una riallocazione dei capitali, seppur di piccola entità, verso il settore energetico, che ora beneficia della risalita del prezzo del greggio, e verso quello obbligazionario. In mattinata sulla Borsa di Tokyo (-1,09%) hanno pesato le prese di profitto ed il nuovo rafforzamento dello yen sull’euro e sul dollaro, mentre la conferma delle stime di crescita del PIL dell’ex Celeste Impero per il 2014 ha fatto guadagnare lo 0,7% all’indice Composite di Shanghai, tornato ai buoni livelli dello scorso aprile, mentre l’allargamento da parte della  Banca Centrale della Cina del numero degli istituti che potranno beneficiare della riduzione del tasso sulle riserve ha sostenuto il settore.

Avvio negativo per le principali piazze finanziarie europee, frenate dai timori per l’instabilità politica in Iraq e Ucraina ed in attesa degli aggiornamenti macro nell’Eurozona e negli Usa; il braccio di ferro tra Russia ed Ucraina, con Mosca intenzionata a tagliare la fornitura di gas a Kiev, e lo scontro tra i militari sunniti ed esercito regolare in Iraq tratteggiano un giro di boa ancora in rosso, che nemmeno le buone notizie dall’America sono state in grado di modificare: Francoforte (-0,29%) e Londra (-0,34%) limitano i danni mentre Parigi (-0,73%) e Madrid (-0,95%) accusano maggiormente il colpo.

Apertura con gli indici in territorio negativo anche per Piazza Affari (FTSE Mib -0,86%, FTSE Italia All Share -0,82%), che a metà seduta guidava i ribassi di Eurolandia penalizzata dalle tensioni geopolitiche in Iraq; unica nota positiva il possibile interesse del fondo sovrano di Abu Dhabi per una quota negli Aeroporti di Roma. Titoli bancari al centro dell’attenzione: a Banca Carige (+0,86%) giova il via all’aumento di capitale da 800 milioni di euro, con Banca Akros a ridurre il prezzo obiettivo in seguito alla revisione del prezzo delle azioni; per gli esperti il giudizio si conferma “Hold” (mantenere). Ottima seduta anche per Monte dei Paschi di Siena (+21,3%), in una giornata caratterizzata da diverse sospensioni per eccesso di rialzo; la discesa della rischiosità del titolo ha portato gli analisti di Exane a migliorare il giudizio da “Underperform” (farà peggio del mercato) a “Neutrale”. In seguito al miglioramento delle stime sul margine di interesse RBC ha alzato il prezzo obiettivo su Intesa Sanpaolo (-1,52%), che non ha saputo trarre profitto dalla conferma del giudizio “Outperform” (farà meglio del mercato). 

Tra i titoli a maggior capitalizzazione Telecom Italia ha perso il 4,2%: Mediobanca ed IntesaSanpaolo hanno esercitato la facoltà di richiedere la scissione di Telco (l’azionista di riferimento della compagnia telefonica) prevista dal patto parasociale; anche Fiat Chrysler (-1,1%) è scesa dopo l’approvazione della fusione per incorporazione di Fiat nella società sua controllata (costituita in Olanda) interamente posseduta da Fiat Investments che, per effetto della fusione, diventerà la società holding del gruppo con il nome di Fiat Chrysler Automobiles.

Sul fronte del debito sovrano prosegue l’effetto BCE sui titoli di Stato europei, con il Btp sostanzialmente stabile al 2,77%, valore di venerdì scorso, ed uno spread sul Bund tedesco di 142 Bp (Basis point, punti base); anche il rendimento dei Bonos spagnoli decennali sale frazionalmente al 2,65%, mentre lo spread Bonos-Bund si riconferma a 130 punti base.

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