Ottava record per i listini Usa, Europa impastoiata. Belpaese ko

TRIESTE – Ottava piuttosto avara di spunti macroeconomici di rilievo quella conclusasi ieri, fatta eccezione per il «No news, good new» (“Nessuna nuova, buona nuova”) della riunione della Banca Centrale Europea (BCE) tenutasi in settimana, segnata da qualche timido segnale di ripresa a Piazza Affari, dove il FTSE Mib, il più significativo indice azionario di Borsa Italiana, ha chiuso gli ultimi cinque giorni di trattazioni in crescita dell’1,12%.

Dopo la buona performance registrata lo scorso esercizio (+16,56% nel 2013), sembra pertanto proseguire nella giusta direzione il progresso del paniere che raggruppa le 40 società a maggior capitalizzazione del listino milanese, il cui valore è passato dai 18.968 punti di inizio anno ai 21.283 punti della chiusura di fine giugno: un incremento del 12,21% che, ad oggi, si è consolidato in un rialzo del 13,7%.

A dispetto dunque della congiuntura economica globale, delle varie dinamiche settoriali, delle politiche e dei piani industriali, delle strutture dei conti delle aziende, i listini azionari, primi fra tutti quelli americani, si trovano in prossimità di nuovi massimi storici, in un percorso di crescita che dura ormai dall’introduzione delle prime misure di allentamento quantitativo (QE), tutt’ora sostenuti dall’enorme liquidità immessa in circolazione dalle banche centrali, soprattutto la Federal Reserve: non è un caso quindi che a Wall Street lo S&P500, forse l’indice azionario più importante a livello globale, lo scorso mercoledì abbia fissato un nuovo record a 1.986 punti, sempre più prossimo alla soglia psicologica dei duemila, mentre Dow Jones e Nasdaq hanno atteso la seduta successiva per aggiornare a 17.075 ed a 4.486 punti i loro rispettivi primati.

Nulla di sorprendente, almeno per gli analisti di Allianz Global Investors che hanno previsto una crescita dell’economia globale del 3,25% nel 2014, anche se con possibili revisioni al ribasso nella seconda parte dell’anno; ma come conciliare l’andamento fin troppo positivo dei mercati finanziari con un quadro macroeconomico sotto le attese ed un’economia a ritmi e velocità di crescita diversi a seconda delle aree considerate ? Poiché sinora le aspettative di crescita hanno deluso al ribasso e la conseguente mancata espansione dei ricavi ha penalizzato la crescita degli utili, le valutazioni piuttosto forzate del comparto azionario potrebbero preludere ad un periodo di prese di profitto. A questo le banche centrali hanno provato a cercare una risposta mediante l’adozione di nuove politiche monetarie diversificate: la Fed proseguendo con il “tapering”, la graduale riduzione del Quantitative Easing; la Bank of Japan (BOJ) con un suo piano reflazionistico (deflazione seguita da moderata inflazione generata dall’iniezione di una maggior quantità di moneta); la BCE con l’introduzione di tassi negativi sui depositi e con il nuovo programma LTRO per migliorare le condizioni di credito alle imprese; la Bank of England (BOE) con l’annuncio di un possibile rialzo dei tassi di interesse. 

Proprio la riconferma delle decisioni di politica monetaria della BCE ha rappresentato l’evento centrale della scorsa ottava: tasso di riferimento invariato allo 0,15% e prime due operazioni di finanziamento a lungo termine con obiettivi puntuali (TLTRO) fissate per metà settembre e metà dicembre, fondi per un ammontare complessivo (a giugno 2016) di 1.000 miliardi di euro che forniranno liquidità a basso costo da imputare obbligatoriamente al finanziamento di prestiti, pena la restituzione delle risorse. Nel corso della consueta conferenza stampa a commento delle determinazioni assunte, il numero uno della banca centrale, Mario Draghi, ha precisato che gli attuali tassi d’interesse resteranno a questi livelli «per un periodo prolungato», in funzione dell’andamento di una ripresa «moderata» e di una «bassa inflazione», con l’Eurotower pronta all’adozione di nuove misure non convenzionali per combattere un periodo troppo prolungato di bassa inflazione.

Secondo la numero uno del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Christine Lagarde, «resta ancora molto da fare» per riformare il sistema finanziario perché, ha ribadito sottolineando il ruolo delle banche centrali, «la stabilità dei prezzi non sempre è sufficiente per garantire una più grande stabilità dell’economia»; ha poi precisato: «non si può tornare al mondo prima della crisi. Il nuovo “normale” sarà differente».

Cosa fare dunque per risollevare l’economia del Vecchio Continente ? Secondo Didier Saint-Georges, di Carmignac Gestion, bisogna riflettere sul significato economico dei risultati delle elezioni dello scorso 25 maggio: durante i ventidue anni di vita dell’Unione mai erano stati eletti al Parlamento Europeo circa 140 deputati (pari al 25% di tutti i seggi) contrari all’integrazione europea, chiara espressione di protesta di un’opinione pubblica che, dopo cinque anni di crisi, vede la disastrosa situazione dell’economia reale, in crescita media inferiore all’1% e con un tasso di disoccupazione prossimo al 12% (corrispondente a circa 26 milioni di persone).

Non stupisce quindi che in Europa gli investimenti, i consumi e, di conseguenza, l’occupazione stiano arrancando; per superare la stagnazione è quindi indispensabile migliorare la gestione del progetto comunitario affinché non venga più vissuto dagli Stati membri come un ostacolo ma come una carta vincente, favorendo la crescita attraverso una riduzione degli oneri a carico delle imprese, da finanziarsi con tagli alla spesa pubblica, per sostenere l’aumento dei margini netti (ai minimi dal 2002). L’esecutivo europeo non ha altra scelta se non correggere gli errori di gestione del passato, proseguendo (o avviando) coraggiosamente le indispensabili riforme strutturali, poiché la crescita economica continuerà a essere vincolata alle limitazioni associate al processo di riduzione dell’indebitamento.

Proprio mentre la politica si scontra a livello europeo sulla rottura del paradigma dell’austerity in favore della flessibilità e l’Italia inaugura il proprio semestre di presidenza, l’Istat ha rilevato che il rapporto deficit/Pil del Belpaese nel primo trimestre del 2014 è risultato pari al 6,6%, in miglioramento di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2013; il netto sforamento del parametro del 3% imposto dai trattati europei non deve preoccupare, poiché è riferito all’andamento del disavanzo nel corso dell’anno. Il saldo primario (cioè l’indebitamento al netto degli interessi passivi da pagare sul debito pubblico) è risultato negativo per 8,14 miliardi di euro, mentre il saldo corrente (in termini di risparmio) è stato invece pari a -17,68 miliardi di euro. Questo leggero miglioramento dei conti pubblici purtroppo si scontra con il rischio che, a fine giugno, il Paese sia tornato in recessione a causa degli alti livelli di incertezza e delle condizioni ancora difficili sul mercato del credito, giudicato solo in lieve miglioramento.

Buona invece a giugno la crescita del terziario, con l’indice PMI Italia dei servizi salito a 53,9 punti, risultato decisamente superiore alle stime elaborate dagli analisti (52 punti) che conferma come il settore si mantenga in fase di espansione (indice sopra quota 50); esito leggermente inferiore all’indicazione preliminare diffusa nei giorni scorsi (54,8 punti) per la Germania, che frena dai 56 punti del mese precedente, così come si indebolisce ulteriormente il dato francese, il cui livello sceso a 48,2 punti conferma la contrazione dell’intero comparto.

Seduta positiva per i listini asiatici, con l’indice MSCI della regione in progresso dello 0,4% nell’ultima seduta della settimana: nonostante la chiusura per festività di venerdì dell’Indipendence Day è stata l’onda lunga del record di Wall Street a trainare gli acquisti. La notizia della discesa del tasso di disoccupazione USA ai minimi da quasi sei anni ha fatto aumentare la fiducia degli investitori nella ripresa dell’economia del primo partner commerciale del Giappone, portando la Borsa di Tokyo (+0,6%) ai massimi degli ultimi cinque mesi. Prese di beneficio dopo i rialzi delle scorse sedute sulla piazza finanziaria di Shanghai (-0,2%), con il settore del trasporto marittimo a riperdere buona parte dei guadagni registrati la giornata precedente; in guadagno Hong Kong (+0,1%).

Giornata di pausa per i listini del Vecchio Continente che, smaltito l’effetto Draghi di giovedì, chiudono con il segno meno una seduta all’insegna della presa di profitto dopo un rally di tre giorni che ha fatto andare le valutazioni dell’equity ai massimi dal 2009: per capire se si tratta di prezzi sostenibili, dicono gli operatori, bisognerà aspettare di conoscere gli utili realizzati nel secondo trimestre; registriamo così il calo di Madrid (-0,79%), Parigi (-0,47%) e Francoforte (-0,20%), nonché  la sostanziale parità di Londra (+0,01%).

Piazza Affari (FTSE Mib -1,49%, FTSE Italia All Share -1,38%) maglia nera in Europa, dopo una mattinata in cui sono state protagoniste le indiscrezioni su Saipem (-0,6%) e Mediaset (-1,44%): intorno alla prima rumor di contatti in corso per la vendita della quota in mano a Eni (-0,83%), la seconda interessata dall’imminente accordo per l’uscita dalla pay-tv spagnola D+; secondo giorno di correzione per Enel (-0,83%) dopo i rialzi legati alle indiscrezioni su cessioni di asset. Giornata negativa per i bancari, con i titoli del comparto a risentire del tonfo dell’austriaca Erste Bank, che ha lanciato un profit warning, in seguito all’aumento delle rettifiche sui crediti, per i maggiori accantonamenti in Ungheria ed in Romania: giù Unicredit (-3,21%), bersagliata anche da prese di profitto, Intesa Sanpaolo (-3,07%), Monte dei Paschi di Siena (-2,53%).

Giornata di realizzi per Italcementi (-1,37%) all’indomani del successo dell’OPA su Ciments Francais: il gruppo di Bergamo ha raggiunto il controllo del 97,4% del capitale e del 98,4% dei diritti di voto e procederà quindi al cosiddetto squeeze out (l’acquisto delle quote rimanenti). 

Sul fronte del debito sovrano senza particolari scossoni la differenza di rendimento tra il titolo decennale italiano (Btp marzo 2024) ed il corrispondente titolo tedesco, sceso sotto al 2,71%, nuovo minimo storico per questa scadenza, con uno spread sul Bund tedesco di 144 Bp (Basis point, punti base) dopo che nel della giornata aveva oscillato tra i 143 ed i 146 Bp; in contrazione anche lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, con il rendimento del Btp è sceso sotto lo 0,5%.

Il rendimento dei Bonos spagnoli decennali si è invece attestato al 2,67% con uno spread Bonos-Bund a 137 punti base.

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