Il calo dell’IFO tedesco contagia l’Europa e allontana la ripresa

TRIESTE – Si è conclusa oggi l’ennesima ottava caratterizzata da una volatilità che è ai minimi da molti anni, con le Borse mondiali a seguire gli andamenti più disparati: Stati Uniti e listini asiatici (Giappone ed Hong Kong) dall’alto dei propri massimi prestano attenzione all’andamento di trimestrali societarie e sostenibilità dei tassi di crescita, mentre i così detti “paesi periferici”, in prossimità dei minimi, fanno assegnamento sulla crescita del PIL che consente sostenibilità del debito e politiche economiche restrittive (necessarie alla sua riduzione); proverbiali eccezioni di questi due estremi, Regno Unito e Germania.

Si spiega così come a Wall Street lo S&P500 abbia potuto migliorare per ben due sedute consecutive (ieri e mercoledì) il proprio massimo storico aggiornandolo prima a 1.989 e poi a 1.991 punti, quasi incurante di uno scenario generale segnato da gravi tensioni internazionali. I mercati sembrano infatti sottostimare il rischio connesso all’abbattimento dell’aereo malese in Ucraina, alle ulteriori sanzioni alla Russia, alle possibili implicazioni e sviluppi dell’invasione israeliana di Gaza, ai nuovi scontri in Libia od alle guerra civili in Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia a causa del peso ridotto che tali aree hanno sui mercati dei capitali e sull’economia globale, eccezion fatta per la sola produzione di petrolio.

Non dovrebbe dunque stupire il calo dell’indice IFO sulla fiducia delle imprese in Germania, molto peggiore rispetto alle attese del mercato, sceso a 108 punti dai 109,7 punti di giugno (dato rivisto), in considerazione dei forti legami economici di Berlino con Kiev e con Mosca: oltre seimila società sono attive in Ucraina e molte di queste si preoccupano per l’impatto della crisi del Paese sul loro business, senza contare che l’export tedesco con la Russia è crollato del 14% nei primi quattro mesi dell’anno.

Un tentativo di invertire queste ultime tendenze al ribasso della ripresa economica tedesca arrivano comunque dai buoni dati dell’indice PMI manifatturiero di luglio (stima flash), salito rispetto al mese precedente ed al quale si aggiunge anche il miglioramento dell’indice PMI dei servizi (sempre stima flash), superiore alle stime degli analisti, entrambe elementi che confermano la fase di espansione del sistema produttivo di Berlino.

In attesa di accogliere la Lituania nella moneta unica come 19esimo membro dell’euro, decisione approvata dal Consiglio UE a partire dal primo gennaio 2015 e salutata dal primo ministro lituano Algirdas Butkevicius come «un passo strategico, ben congegnato economicamente e politicamente per favorire la crescita economica nazionale» e che «rafforzerà l’economia della UE», in luglio il settore privato dell’economia europea è cresciuto al tasso più alto degli ultimi tre mesi, con i comparti dei servizi e manifatturiero ad ottenere risultati superiori alle attese. Le letture elaborate da Markit sono state infatti superiori a quel livello 50 posto come spartiacque tra le fasi di contrazione (valori minori) e di espansione (valori maggiori), con i servizi in crescita al passo più alto da maggio 2011; la contestuale riduzione dei prezzi delle imprese mantiene il tasso di inflazione ben al di sotto dei livelli ritenuti pericolosi dalla Banca Centrale Europea (1,0%), confermando ancora il rischio deflazione nello scenario economico europeo.

Di ben altro tenore i dati relativi al Belpaese. Eurostat ha comunicato che nel primo trimestre del 2014 il rapporto tra debito e PIL italiano si è attestato al 135,6% rispetto al 132,6% di inizio anno e al 130,2% di fine marzo 2013, precisando che nella Zona Euro soltanto la Grecia (174,1%) ha un rendiconto peggiore. 

Immediato il taglio dallo 0,6% allo 0,3% delle previsioni sulla crescita economica 2014 effettuato dal Fondo Monetario Internazionale, che segue quelli precedentemente effettuati da Bankitalia (da +0,7% a +0,2%) e Confindustria (che prevede un anno a crescita zero); il FMI conferma invece la previsione di crescita dell’1,1% per il 2015.

Infine l’avanzo commerciale di 2,2 miliardi di euro registrato a giugno dall’Istat si è scontrato con la diminuzione dello 0,7% delle vendite al dettaglio ed il calo del clima di fiducia dei consumatori italiano in tutte le sue diverse componenti, dati peggiori delle attese degli analisti.

Seduta in rialzo per i listini asiatici, che mettono a segno il decimo risultato positivo settimanale nelle ultime 11 ottave, salendo ai massimi degli ultimi sei anni: l’indice MSCI della regione ha guadagnato lo 0,2% sulla scia dei positivi dati macro e delle trimestrali societarie.

Calo a giugno del 2% delle esportazioni giapponesi ed aumento delle importazioni dell’8,4%, dati che si sono riverberati negativamente sul deficit della  HYPERLINK “http://www.borsainside.com/finanzainside/bilancia-commerciale/bilancia commerciale del Sol Levante, salito da 180,5 a 822,2 miliardi di yen, il più alto livello degli ultimi due anni, confermano le difficoltà del Governo al raggiungimento dei propri obiettivi; nondimeno la Borsa di Tokyo (+1,1%) ha chiuso la seduta in rialzo ed al livello più alto dallo scorso  gennaio grazie alla lieve frenata dell’inflazione, che ha sostenuto le quotazioni.

In Cina la produzione manifatturiera si è portata ai massimi da un anno e mezzo, con l’indicatore di banca HSBC a 52 punti, ben sopra la soglia di espansione economica. «L’attività economica ha continuato a migliorare a luglio segnalando che l’impatto cumulativo delle piccole misure di stimolo introdotte precedentemente sta ancora filtrando» ha indicato Qu Hongbin, capo economista di HSBC per la Cina, consentendo a Pechino di puntare per quest’anno ad un’espansione del PIL del 7,5 per cento. Questo ha consentito a Shanghai d guadagnare l’1,1%, mentre durante l’intera settimana lo Shanghai Composite (+3,3%) ha conseguito la migliore performance settimanale da aprile; l’ulteriore discesa dei tassi sul mercato monetario e l’aumento della fiducia nella ripresa dell’economia hanno sostenuto anche Hong Kong ( +0,23%).

Partenza contratta per le principali piazze finanziarie europee, con gli operatori resi cauti dalle ultime poco soddisfacenti trimestrali; giro di boa della seduta ancora contratto ed all’insegna delle prese di profitto, con i deludenti aggiornamenti sulla fiducia delle imprese in Germania, la più grande economia della regione condizionata dalle tensioni in Ucraina, a spingere le Borse in territorio negativo: Parigi (-1,82%), Francoforte (-1,53%), Londra (-0,44%).

Piatta in avvio di contrattazioni, a metà seduta Milano ha provato ad allungare il passo con il comparto bancario ad opporsi alla debolezza di quello del lusso, affossato dai conti deludenti resi noti da LVMH; i realizzi che hanno colpito Mediaset (-2,92%) ed Azimut (-1,41%), entrambe protagoniste ieri di forti guadagni, le banche ed anche Ferragamo, in scia al calo fatto segnare dalla concorrente francese LVMH, hanno contribuito alla cattiva chiusura di Piazza Affari (FTSE Mib -0,9%, FTSE Italia All Share -0,84%). Prese di beneficio sui finanziari con le peggiori performance per Popolare dell’Emilia Romagna (-3,3%) e Banco Popolare (-2,08%), seguite da Intesa SanPaolo (-1,71%) ed Unicredit (-1,4%).

Sul fronte del debito sovrano migliora leggermente la differenza di rendimento tra il titolo decennale italiano (Btp marzo 2024) ed il corrispondente titolo tedesco portandosi al 2,72%, con uno spread sul Bund tedesco di 158 Bp (Basis point, punti base).

Invariato lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, confermatosi ai 50 Bp della chiusura precedente per un rendimento sceso allo 0,52%.

Sempre più contenuto lo spread tra Bonos spagnoli decennali e Bund tedeschi, ora a 41 punti base per un tasso del 1,55%.

Condividi sui social

Articoli correlati