La Giunta Alemanno svende l’Acea. Un bene pubblico che se ne va

ROMA – Corsi e ricorsi storici per l’ Acea, divenuta azienda pubblica con un referendum voluto dal sindaco Nathan nel 1913, contro la volontà delle destre, che non gradivano la nascita dell’allora Azienda Elettricità Municipale e dell’Azienda Tranviaria Municipale.

Oggi con le destre al governo della città, si torna all’assalto, alla demolizione dei servizi pubblici. Nulla di più facile in un paese dove sistematicamente si ignora l’esito delle consultazioni popolari, e così, dopo che i cittadini a larghissima maggioranza, giusto un anno, fa votarono contro la privatizzazione dell’acqua e contro ogni forma di remunerazione dei capitali investiti nei servizi idrici, quasi ovunque, continua ad esservi un prelievo forzoso in bolletta e vi è stato più di un tentativo a livello nazionale e locale di ripartire con le privatizzazioni.

 

Messo sul mercato  un altro   21 % di azioni

 A Roma, la Giunta Alemanno non è da meno, mettendo in vendita un altro 21% delle azioni di Acea, pone un’ipoteca pesantissima sulla ripubblicizzazione dell’acqua.
ACEA è stata per circa novant’anni un’azienda pubblica virtuosa, finché nel 1998 con il sindaco Francesco Rutelli, venne trasformata in Società per Azioni di diritto privato ma a capitale  prevalentemente pubblico. Contro tale scelta Rifondazione comunista promosse un referendum cittadino, che per pochi voti non raggiunse il quorum necessario e così, nel 1999, il 49% delle azioni dell’Azienda venne collocato in borsa.
I fautori della privatizzazione, perché di privatizzazione di diritto si trattava, erano convinti che la Società avrebbe conseguito chissà quali utili. Invece la situazione economica dell’impresa da quel momento è stata altalenante. Più volte il Consiglio Comunale è dovuto intervenire a tappare i buchi determinati da avventure imprenditoriali e iniziative discutibili dei manager, una per tutte, quella della telefonia mobile. Si sono moltiplicate le società partecipate, non tutte dalla mission chiara come è stato, ad esempio, per la Marco Polo. Negli anni del governo di centro-sinistra gli utili, quando ci sono stati, si sono sempre reinvestiti in servizi e infrastrutture per la città .

Battaglia delle opposizioni con 46 mila emendamenti

Con l’arrivo della Giunta Alemanno, nel 2008 gli utili hanno preso un andamento calante, fino al minimo storico attuale, ed è proprio in una congiuntura così negativa che si decide di vendere. Tant’è che la previsione di entrata nella bozza di bilancio 2012 ammontava due mesi fa a 200 mln, ora, con una valutazione ottimistica il 21% corrisponde ad appena 170 mln. Cifra insufficiente a coprire anche il costo delle bollette non pagate fino a oggi dal Comune, ma che consente di far passare il controllo dell’azienda nelle mani di privati.

 
Ora, nelle pieghe di una delibera che raggruppa tutte le aziende comunali si include la cessione di un pacchetto del 21% di azioni. L’opposizione non ci sta – anche il Pd che a suo tempo fu convinto assertore della trasformazione in Spa, oggi si batte contro questa ulteriore cessione – ed ha presentato circa 46.000 emendamenti e 23.500 ordini del giorno.

 

Il “ soccorso” prestato al sindaco dal segretario generale
Manifestazioni, scontri e non solo verbali, provocati da consiglieri di maggioranza, sedute senza il numero legale, così si è andati avanti Proprio su questi ultimi ordini delgiorno ieri si è tentato il colpo di mano, forte di un parere del Segretario Generale, che rimette la responsabilità della decisione all’aula, la maggioranza ha provato a non farli votare per poi respingere con un maxi emendamento tutti quelli dell’opposizione. I consiglieri di maggioranza hanno scritto in un odg che si “rischierebbe di pregiudicare l’approvazione della proposta in tempi compatibili con il regolare funzionamento dell’organo” e che gli odg presentati, per il loro “contenuto di natura prevalentemente seriale ”, non risultano “in grado, di fornire, in concreto, alcun criterio applicativo in ordine alla proposta, rispetto alla quale, gli stessi rischiano di formulare indirizzi non conformi all’assetto definitivo dell’atto che risulterà solo dalla approvazione della proposta”. In disparte, l’opportunità di esprimere giudizi di merito sulle proposte di qualsiasi collega, ma qui siamo alla preveggenza, si immagina già quale sarà il testo finale.

Ancor più grave è la successiva affermazione: gli odg “appaiono di evidente natura strumentale, inconciliabile con i criteri di economicità ed efficacia cui deve conformarsi il procedimento deliberativo”: forse, chi ha scritto il testo confonde la democrazia assembleare con il procedimento amministrativo. Un lapsus che si ripete più volte nel testo.

Un maldestro tentativo di mediazione dell’Udc

Dulcis in fundo, l’Udc ha presentato un emendamento che si appalesa un maldestro tentativo di mediazione, considerato che mantiene intatta l’ipotesi della cessione di azioni, seppure ad altri soggetti pubblici, e che sembra mancare delle più elementari nozioni di diritto societario, visto che propone di vendere e al contempo di mantenere nello statuto il controllo dell’azienda.
L’opposizione si rivolgerà al Tar per impugnare le decisioni della maggioranza. Purtroppo, l’arma rischia di essere spuntata visto che quando era al governo della città, propose analoghe procedure in fase di approvazione del Piano Regolatore. Chi di spada ferisce, di spada rischia di perire. L’auspicio è che a rimetterci non siano i Romani, che si vedono scippare un altro bene comune oltre ai servizi da esso erogati.

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