La strana morte a Kabul di Siringo e Iendi. Storia di un omicido mascherato

KABUL – Nel 2006 due cooperanti italiani morirono a Kabul in circostanze misteriose.

Oggi a distanza di circa cinque anni se ne torna a parlare. Si tratta di una triste vicenda che vide, loro malgrado, protagonisti, Stefano Siringo e Iendi Iannelli, 31 e 26 anni. Una vicenda dai tanti risvolti oscuri e, nonostante sia trascorso tanto tempo, ancora tutta da chiarire. La morte dei due giovani italiani è ritenuta da molti sospetta e richiama alla mente quella di Ilaria Alpi, giornalista Rai e inviata tg3, che insieme all’operatore Miran Hrovatin vennero uccisi in circostanze mai chiarite nel 1994 in Somalia. La loro condanna a morte venne emessa forse perché avevano scoperto un grosso traffico di armi e rifiuti tossici. Nel corso di questi anni in più occasioni i media italiani si sono occupati della vicenda dei due cooperanti morti a Kabul. A far riaccendere di nuovo i riflettori su questo fatto, forse per l’ultima volta, tra meno di un mese il caso rischia l’archiviazione, la perizia tossicologica dei due cooperanti romani, Siringo e Iannelli, depositata in questi giorni dal prof Marcello Chiarotti, il consulente nominato dal pm Luca Palamara titolare dell’inchiesta sulla morte dei due giovani italiani. Un’inchiesta riaperta questa estate, il 16 giugno scorso, dal gip Rosalba Liso che quasi con benevole caparbietà sta andando avanti. Una perizia che di fatto, nella sostanza indica che la morte dei due giovani venne provocata. Un atto di cui i responsabili finora però, non sono stati ancora identificate, anche perché forse non sono stati cercati. La perizia di Chiarotti allontana definitivamente la possibilità, se c’è ne fosse ancora stato bisogno, anche l’idea che i due fossero degli eroinomani. Chiarotti infatti, nella sua relazione indica che non è possibile affermare che i due giovani si siano iniettati la droga spontaneamente e quindi lascia spazio all’ipotesi che l’assunzione di eroina sia stata forzata da qualcuno. Per la prima volta dunque, forse è stato spazzato via ogni dubbio su questa triste e tragica vicenda accaduta nel lontano Afghanistan. A questo punto viene spontaneo chiedersi, perché sono stati uccisi? Il gip Liso nell’aprire le indagini ha ipotizzato che i due potrebbero essere stati uccisi perché stavano per rivelare i particolari di una truffa di circa due milioni di euro sottratti ai fondi destinati alla ricostruzione dell’Afghanistan. Il loro dunque potrebbe essere stato un omicidio mascherato compiuto forse, perché Stefano e Iendi erano ormai diventati dei testimoni scomodi di un giro di false fatturazioni e distrazione di fondi. Il perito ha anche rivelato che la sostanza stupefacente sia stata iniettata in vena ai due giovani non più di due ore prima del decesso. Inoltre ne ha indicato la percentuale superiore del 10 per cento a quella normalmente in vendita, eroina pura al 89 per cento. Una percentuale ‘letalissima’ di cui chiunque si droga ne ha conoscenza. Andando a ritroso nel tempo si giunge fino al quel lontano mese di febbraio del 2006 e ci si ritrova nella capitale afghana Kabul. Sono i primi anni dell’intervento internazionale per aiutare il Paese messo in ginocchio dal regime dei Talebani e martoriato da una guerra che ancora oggi si combatte. Un fiume di aiuti, anche economici, vi giungevano da ogni parte del mondo, Italia compresa. Si parla di circa mezzo miliardo di euro versati allora, solo dalla Farnesina. Fondi destinati soprattutto alla ricostruzione, ma anche a programmi e progetti. Uno di questi era il ‘progetto giustizia’ per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano di cui l’Italia era uno dei principali Paesi donatori. Un progetto costato almeno trenta milioni di dollari.  Poter gestire questi fondi diventò un affare d’oro. Per i progetti vengono contattate Ong nazionali e internazionali, che a loro volta ne contattano altre. In genere ne vengono coinvolte tre o quattro e nel passaggio da un intermediario ad un altro avviene  una ‘scrematura’ dei fondi. Una stima dell’istituto di ricerca ‘CorpWatch’ rivala che ogni passaggio comporta una ‘trattenuta’variabile tra il 6 e il 20 per cento della somma disponibile. Una dimostrazione questa, che la solidarietà è ormai diventata un business. Ovviamente per pochi eletti. In Afghanistan poi, è il luogo dove più si sono registrati gli sprechi e gli ammanchi. Ed è in questo contesto che entrano in scena i due cooperanti italiani. Fin dalle prime battute la vicenda si tinse di giallo circondata da un alone di mistero e strane concomitanze. La cronaca del tempo racconta: La morte di Siringo e Iannelli  viene scoperta la mattina del 16 febbraio 2006, ed è a quella data che ufficialmente si è fatta risalire la loro morte. Per molti però, la morte potrebbe risalire al 15 febbraio 2006, tra le 20,15 e le 21,33. Stefano e Iendi, due ragazzi romani, si erano trovati a Kabul ed erano diventati subito dei buoni amici. Stefano era esile, mentre Iendi era invece, alto e forte, era un ex giocatore di rugby. Il primo era un impiegato del ministero degli Esteri presso l’ufficio italiano giustizia e si trovava nel Paese asiatico da circa un anno, mentre l’altro era a Kabul da circa cinque mesi, e lavorava presso l’Organizzazione internazionale di diritto per lo sviluppo, Idlo. Si tratta di un organizzazione dell’ONU che si occupa di sviluppare i sistemi giudiziari nei Paesi del terzo mondo, Iendi era contabile e si occupava del settore logistico. Vennero ritrovati entrambi morti nella camera che Iannelli aveva in uso presso la Guesthouse dell’Idlo. I due erano morti per avvelenamento. I corpi ne mostravano tutti i sintomi fisici, mentre non mostravano segni di violenza. Questa circostanza, fin dall’inizio, fece escludere una morte violenta. La prima ipotesi, per spiegare il doppio decesso, fu che la morte era sopravvenuta per esalazioni da monossido di carbonio fuoriuscite da una stufa a gas. Ipotesi poi, scartata in quanto la stufa nella stanza era elettrica. I medici dell’ospedale di Kabul però, confermarono la morte per avvelenamento, ma senza specificarne le cause. A questo punto si fece strada l’ipotesi della droga. Alla fine risulterà proprio che entrambi sono stati stroncati da una dose letale di eroina. Una conclusione a cui si era giunti per il fatto che i due avevano nel loro sangue eroina. Questo venne afffermato nonostante tutti siano stati concordi nel ribadire che essi non facessero uso di droghe.

La versione ufficiale non convince

La versione ufficiale della morte non ha mai infatti, convinto nessuno, specie chi li conosceva bene, anche perchè non trovò mai riscontri validi. Per quanto riguarda il luogo del ritrovamento dei corpi. Quando giunsero i soccorsi, la stanza si presentò loro talmente  perfetta, al punto da sembrare una scena costruita ad hoc. Dopo aver abbattuto la porta della stanza, la chiave non venne trovata o almeno non subito e, stranamente venne trovata al di fuori della stanza stessa, i soccorritori trovano i corpi di Stefano e Iendi distesi in maniera ordinata sul letto con la testa sul cuscino. I due cadaveri, entrambi vestiti, si trovavano in una posizione quasi innaturale, come se li avessero adagiati. Nella stanza vi erano gli oggetti personali, come cellulari, computer, sigarette, sembrava tutto in ordine. Quelle che invece, era fuori dall’ordinarietà le evidenti tracce di eroina, sparse per tutta la stanza. Questo, come a voler fa ‘credere’ che in quel luogo vi fosse un uso continuo di stupefacenti. Un fatto questo, però, poco plausibile in quanto le stanze del Guesthouse, che ospitano i cooperanti, oltre ad essere praticamente accessibili a tutti, non sono mai chiuse a chiave, lo sono soprattutto al personale delle pulizie che provvedono quotidianamente a tenerle in ordine.

Un fatto questo che non giustificava la presenza di tracce di eroina in giro per la stanza come se vi fosse lì lasciate nel tempo. Inoltre analizzando il Pc di Iendi non vi venne trovata alcuna traccia di attività, come se non fosse mai stato usato nei mesi che il giovane aveva lavorato per la Idlo nel Paese asiatico. Cosa questa del tutto impossibile e quindi sospetta. Manomesso? Una prima autopsia effettuata sui loro corpi, eseguita a Roma, confermò che il decesso era avvenuto per un’overdose. I due presentavano una puntura da siringa sul braccio, l’unica. Cosa questa, impossibile per un drogato che ne presenta diverse. Inoltre l’autopsia eseguita sui cadaveri condusse alla scoperta di altri due buchi, provocati da una ago. Un buco che per entrambi era sull’inguine e da cui potrebbe essere stata iniettata la droga. Inoltre i valori chimici rinvenuti nel sangue dei due ragazzi  non indicava un uso abituale di droghe. Dati quindi che confermerebbe la tesi sostenuta finora da chi li conosceva bene ossia che non erano dei tossici.  Inoltre, per il fatto che  Stefano e Iendi avevano dei fisici notevolmente differenti, la loro reazione ad un’iniezione letale di eroina sarebbe dovuta essere stata differente. Nel senso che almeno Iendi, avrebbe potuto resistere di più all’effetto della micidiale dose e quindi forse avere il tempo di dare l’allarme o per lo meno muoversi, scuotersi cosa, che da come sono stati ritrovati i corpi, così non sembra essere stato. Fatto ancora più strano.

I corpi cremati

I corpi dei due cooperanti sembra siano stati cremati dopo il loro arrivo in Italia e questo contrariamente alla volontà delle famiglie. Perché? Il motivo potrebbe essere facile pensare quale sia. Tantissimi dunque i misteri e i dubbi che ruotano intorno a questa intricata vicenda e a cui finora non si è riuscito a dare una spiegazione plausibile. A cercare di fare chiarezza in merito è l’interrogazioni a risposta scritta presentata alla Camera nella seduta n. 376 del 30/9/2010 a firma degli On Antonio Rugghia e Francesco Tempestini del Pd. La risposta scritta all’interrogazione è giunta lo scorso 3 novembre a firma dal sottosegretario agli esteri, Alfredo Mantica. Ancora una volta non è stata fatta però, chiarezza anzi si è cercato di minimizzare l’accaduto. Eppure si legge nell’interrogazione che: “Marcello Rossano, collega e amico di Iannelli, ha dichiarato ai Carabinieri del nucleo investigativo di Roma che il responsabile del progetto Idlo a Kabul, all’epoca dei fatti, gli aveva riferito che Iannelli, pochi giorni prima del decesso, gli aveva confidato l’esistenza di false fatturazioni tra organizzazioni ONU: la Idlo e la Unops, United Nations Office for Project Services, quest’ultima si occupa di fornire servizi e offrire assistenza alle Nazioni per la realizzazione di progetti di sviluppo; sempre Rossano ha riferito che a seguito di un controllo di bilancio, eseguito unitamente al successore di Iannelli, emersero doppie o false fatturazioni per un valore di circa 1,5 milioni di dollari. Tali circostanze sarebbero state confermate da Samuel Gonzales, un magistrato messicano anche lui a Kabul nel 2006 impegnato nel progetto dell’Idlo”. Finora la Idlo non ha mai collaborato alle indagini e si è sempre appellata all’immunità diplomatica rifiutandosi di fatto di mostrare i bilanci sospetti alla magistratura. Se si è in buona fede, perché assumere un simile atteggiamento?

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