‘Ndrangheta, Lea Garofalo uccisa perché collaborò con la giustizia

ROMA – Sei ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite alle prime luci dell’alba dai Carabinieri del Comando di Milano nell’ambito delle indagini sulla scomparsa e uccisione di Lea Garofalo, 35 anni, ex collaboratrice di giustizia.

Dalle indagini emerge un quadro raccapricciante: la Garofalo sarebbe stata attirata a Milano, una volta sul posto sequestrata, interrogata, uccisa e sciolta nell’acido per eliminare ogni traccia. Il cadavere sarebbe stato poi sotterrato in un terreno a San Fruttuoso, vicino Monza.

“Le ragioni poste alla base dell’eliminazione della donna, risiedono nel contenuto delle dichiarazioni fatte ai magistrati – mai confluite in alcun processo – con particolare riferimento all’omicidio di Comberiati Antonio, elemento di spicco della criminalità calabrese a Milano durante gli anni ’90, ucciso per mano ignota il 17 maggio 1995”, si legge nell’ordinanza di arresto del gip di Milano Giuseppe Gennari. Per il giudice sarebbe stato il contenuto di queste informazioni a far maturare la vendetta. Tra i mandanti l’ex compagno e padre di sua figlia Carlo Cosco, 40 anni, in carcere a Campobasso per scontare il precedente tentativo di sequestro. “Le dichiarazioni fatte all’epoca dalla Garofalo individuavano, infatti, nei responsabili dell’omicidio l’ex convivente della donna, Cosco Carlo, ed il fratello di questi, Giuseppe, detto ”Smith”, pur non fornendo esaustivi elementi di colpevolezza, in ordine al loro coinvolgimento diretto della dinamica omicidiaria”. Oltre all’ex compagno figura come mandante anche Massimo Sabatino, 37 anni, spacciatore di Quarto Oggiaro, già in carcere per il precedente tentato sequestro. Gli altri quattro destinatari del provvedimento sono i fratelli Giuseppe Cosco e Vito Cosco, Carmine Venturino e Rosarcio Curcio.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti la donna sarebbe salita a Milano, nello stabile di viale Montello 6 che ospita molti parenti dei caduti della guerra di mafia, per incontrarsi con il Cosco. L’uomo aveva manifestato di voler rivedere la figlia, ma una volta sul posto della Garofalo si sono perse le tracce. Il 24 novembre la figlia non vedendola arrivare alla stazione – dovevano prendere il treno per ritornare a casa – ha denunciato la scomparsa ai Carabinieri. Cosco aveva progettato l’assassinio almeno quattro giorni prima del rapimento. Lo scioglimento del cadavere nell’acido aveva come scopo quello di simulare la scomparsa volontaria e assicurare l’impunità degli autori. Lo stesso Cosco si era creato un alibi aspettando con la figlia l’arrivo della madre alla stazione. Cosa che di fatto non poteva avvenire perché la Garofalo sarebbe stata uccisa.

La donna rese dichiarazioni su alcuni affiliati alle cosche della ‘ndrangheta di Petilia Policastro, nel crotonese, ma dal 2006 aveva deciso di non collaborare più con la giustizia. Riagganciando i legami con la famiglia e lo stesso Cosco la Garofano ha firmato la sua condanna a morte. Pino Masciari, l’imprenditore calabrese che denunciò la ‘ndrangheta e le sue collusioni con il mondo della politica, dal suo  HYPERLINK “http://www.pinomasciari.org/”blog lancia un forte messaggio: “non bisogna mai credere di essere al sicuro, perché non dobbiamo illuderci che solo con il sequestro di beni e con gli arresti si possa sconfiggere questo cancro, la ‘ndrangheta non perdona e non dimentica, oggi più che mai c’è bisogno di fare di più e di alzare il livello di attenzione”.

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