Don Zambelli, il parroco sanguinario di Venezia

VENEZIA – Negli archivi della Quarantia Criminal, una magistratura penale che operava ai tempi della Repubblica di Venezia, nella busta numero 491, viene riportato un fatto realmente accaduto che potremmo definire un caso di amore criminale, quando la passione si trasforma in ossessione e sfocia in aggressione omicida.

Ma questo, non è un semplice caso di omicidio passionale, perchè l’assassino non è un semplice assassino. E’ un parroco, precisamente il sacerdote della chiesa di San Silvestro di Venezia, una delle principali chiese presenti nei pressi del famoso ponte di Rialto. Siamo a Venezia nel 1743. La vittima si chiamava Giulia Carozzo ed aveva solo 27 anni. Si era sposata giovane con Paolo Adami, un fabbricatore di paste di Genova, il quale si era trasferito a Venezia da soli tre anni. Avevano deciso di andare a vivere a San Cantian in corte del conte Battaglia, una zona non troppo distante da Rialto e dalle Fondamente Nuove. La famiglia non è certo ricca ma si può permettere, grazie al lavoro del marito, di tenere al proprio servizio un garzone, tale Santo Bianchin, figlio di Ventura e originario della Giudecca. La vita che conducevano non presenta lati oscuri, lui lavoratore lei che lo aiutava. Poco tempo dopo essersi trasferiti a Venezia furono avvicinati dal parroco della chiesa di San Silvestro, Don Zambelli.

 

Il parroco viveva da solo e spesso si faceva aiutare nei pasti da una signora anziana, la quale, per era morta tempo addietro. Con questo motivo si presentò presso questa famiglia e gli propose di pagargli i servigi e i pasti. Nulla di strano e nulla di pericoloso. Questa situazione dura per tre anni. Ma la notte del 17 aprile 1743, non sarà una notte come tutte le altre. Verso le otto di sera la famiglia Adami cena con Don Zambelli, come erano solito fare. Si parla degli eventi quotidiani, di quello che accadeva nella Venezia del Settecento. Si beve e si ride. Finita la cena la giovane coppia, forse per il troppo bere, decide di ritirarsi a dormire a congeda il parroco che resta da solo in cucina. Il prete resta deluso da questa loro scelta. Era presto e lui non sa dove andare e cosa fare. Ad un certo punto decide, si alza e esce dalla casa. Tre ore dopo, alle undici di sera, il marito si sveglia, si veste ed esce anche lui, dirigendosi verso le Fondamente Nuove. E’ notte. Non c’è molta gente per le strade. Una persona con il tabarro si avvicina alla casa, armeggia con le chiavi ed entra dentro. Sale le scale e si affaccia sulla camera dove la Carozzo sta dipingendo il legno del letto. Lei alza lo sguardo e sussulta. Sulla porta della camera c’il prete che le fa una domanda. Le chiede se avesse dormito bene. La donna spazientita da quella strana domanda e da quella strana presenza gli risponde in malo modo. E’ tardi. In quella casa rischiarata da alcune candele a San Cantian ci sono solo il prete e la donna. Lo Zambelli supera la soglia della porta e velocemente l’abbraccia da dietro. La Carozzo non si accorge dello stiletto che tiene in mano il prete, sente un leggero dolore e poi caldo. Si accascia dopo aver lanciato un urlo soffocato. Il prete le ha sferrato due stilettate, una all’altezza del cuore e una al ventre, sussurrandole una frase senza un senso compiuto “no ghe più tempo”, non c’è pitempo.

Ma in realtà non sono soli in quella casa a San Cantian, nella stanza adiacente c’è Santo Bianchin, il garzone di bottega. Sente il trambusto e decide di uscire dalla stanza. Vede la scena e si getta sul prete prima che questi riuscisse a colpire ancora la sventurata, lo prende per il vestito lungo e lo getta giù dalle scale. Il garzone non è una donna indifesa e cosi il prete decide di scappare.

Santo Bianchin cerca di tamponare le ferite e la depone a letto, poi corre a chiamare il marito. Il giorno successivo gli Avogadori di Comun sono al capezzale della giovane moribonda. Gli viene chiesto perchè il prete che frequentava da numerosi anni quella casa le avesse dato le tre coltellate. Lei ritiene che la causa fosse l’amore segreto che lui aveva per lei. Un particolare inquietante che la donna era incinta ed il prete lo sapeva. La giovane non supererà la notte. Il cognato di Giulia, Crescenzio Recaldini, racconta ai magistrati che il prete girava spesso con quel coltello e una volta lo mostrò alla stessa donna dicendole che un giorno sarebbe stata la causa della sua morte. Ma nessuno gli diede peso. Si cerca il prete assassino e si interrogano vari testimoni tra i quali anche Don Cristoforo Calegari nativo di Venezia residente a San Silvestro in calle dello Sturion, sacrestano a San Zaccaria. Afferma che Zuan Battista Zambelli veniva spesso a trovare la sacrestana precedente che era morta, forse era una sua parente.

 

L’ultima volta era stato visto giovedì mattina in campo di San Zaccaria. Ma tra tutti gli interrogati quello che risulterà essere l’ultimo testimone che vedrà il prete assassino è Don Antonio Menegazzi di Giacomo chiozotto, parroco della chiesa di San Giacomo in Rialto. Lui l’ultimo che gli parla, lui l’ultimo che lo vede. Cosa gli disse il prete? Non racconta molto, poche frasi, in una gli dice che gli uomini non sono sempre quieti e che aveva qualcosa per la testa. Ma cosa aveva per la testa ? Don Antonio lo accompagna a Castello verso l’Arsenale e racconta ai magistrati che di tanto in tanto il prete sbatteva i piedi per terra dicendo pazienza. Lo Zambelli gli disse che era un po’ alticcio e che gli sembrava di aver dato solo dei pugni e non delle coltellate. Lo accompagnò fino alla Madonna dell’Arsenale. Da quel giorno il prete assassino scomparve. Il 7 maggio 1743 viene pubblicato il bando sopra le scale di San Marco e di Rialto che prevedeva la decapitazione in caso di cattura. Questa è la storia di un sacerdote che battezzò decine di giovani bambini ma che viene ricordato dopo duecento anni solo per la vita che tolse ad uno di loro e alla sua giovane madre.

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