L’orribile omicidio di Giovanni Stucky

VENEZIA – La Gazzetta di Venezia intitolava la mattina del 22 maggio 1910: “L’orribile assassinio del cav. Giovanni Stucky. Ucciso con un colpo di rasoio a pochi passi dal figlio ingegner Gian Carlo mentre entrava nella stazione ferroviaria. La folla indignata tenta di fare giustizia sommaria. L’enorme luttuosa impressione a Venezia”.

Poche frasi che riassumono il dramma. Quel giorno Venezia si svegliava con uno dei delitti più sanguinosi del nuovo secolo. Il processo iniziò il 12 dicembre dello stesso anno. Ma cosa era successo? Alle 18:30 la barca che portava Giovanni Stucky e suo figlio, stava attraccando alla Stazione dei treni di Venezia. Il proprietario del molino posto alla Giudecca era giunto a Venezia verso  mezzogiorno e aveva visitato subito il suo opificio. Successivamente si era recato al Municipio ad una seduta convocata dal Sindaco. Quindi era ritornato allo stabilimento compiacendosi con il figlio dei lavori che procedevano spediti. Erano passati ben ventisei anni da quando aveva inaugurato in quell’isola di fronte Venezia il primo mulino alimentato a vapore. L’architetto che lo aveva ideato era Ernst Wullekopf di Hannover e lo disegnò in stile gotico-normanno, con una guglia nella torretta e con pinnacoli. Per farlo avevano distrutto il monastero di monache di San Biagio e Cataldo, regalando le colonne alla vicina chiesa di Sant’Eufemia. Ma la rivoluzione industriale doveva andare avanti e questa era una di quelle imprese nelle quali in pochi ci credevano. Eppure, fin dal primo anno, produsse ben 500 quintali al giorno. Per molti quella cifra era già un successo ma forse anche un limite alla capacità di produzione. Invece lui, convinto delle proprie idee, fece costruire un secondo edificio e la produzione aumentò a 800 quintali al giorno. Superò tutte le difficoltà, compresa quella del terribile incendio del 5 ottobre 1895 che aveva quasi distrutto tutta la sua fatica.

Quando quel 22 maggio arrivò alla stazione con il figlio si avviò normalmente verso l’atrio per prendere il treno. Gian Carlo lo precedeva di pochi passi. Una giornata del tutto normale. Il figlio non si accorse di nulla, per puro intuito si girò in tempo per vedere il padre che si accasciava a terra con la gola squarciata. Fiotti di sangue uscivano con una rapidità tale che il tentativo di fermare l’emoragia da parte sua fu del tutto inutile. Morì cosi il famoso Giovanni Stucky, senza poter proferire una parola, forse solo accorgendosi della vita che lo stava abbandonando sul freddo marmo del pavimento della stazione di Venezia. La gente che aveva assistito alla scena aveva fermato anche il colpevole. L’assassino si chiamava Vincenzo Francesco Bruniera. Alcuni facchini lo avevano visto poche ore prima parlare al deposito bagagli, chiedendo informazioni sull’orario di partenza dei treni per Trieste, via Portogruaro. Alle 17:30 si trovava al vicino ponte degli Scalzi per poi dirigersi al ponte di Ferro. Poi vedendo arrivare la lancia con la famiglia Stucky li aspettò e li seguì. Quando furono vicini alla porta di ingresso, con un rasoio vibrò un violento colpo al lato destro del collo dell’imprenditore. Poi si allontanò come nulla fosse, per essere fermato dalla gente e arrestato dalla polizia. 

Mentre lo conducevano nell’ufficio della pubblica sicurezza alla stazione disse: ” mi aveva promesso di farmi capo dei molini, mi ha mancato di parola; egli ha assassinato la mia famiglia ed io ho assassinato lui; l’onore della mia famiglia, mi ha portato via la moglie”.

Ma chi era veramente Giovanni Vincenzo Bruniera? Nato il 18 ottobre 1877 a Carbonera di Treviso, giovinetto emigrò in America con il padre, raggiunto poi dal fratello e da altri parenti. Sua madre era morta qualche anno prima di colera. Verso la fine del 1897 tornò in Italia per compiere il servizio militare. Poco dopo il suo arrivo, fu assunto come facchino nel molino Stucky, dove rimase fino a tanto che cominciò a fare il soldato. Terminato il servizio militare nel luglio del 1899 rientrò facchino nel molino dove fu licenziato nel 1908. Carcerato una prima volta dal 9 al 12 aprile di quell’anno, per minacce agli Stucky, fu nuovamente detenuto nelle carceri di Venezia e di Ferrara dal 10 giugno 1908 al 17 gennaio 1909, in seguito a condanna sempre per minaccia al cavaliere Giovanni Stucky e a Molin Giuseppe. Scontata la pena si rifugiò in Austria dove viene espulso il 9 aprile. Condannato a trenta giorni per contravvenzione alla vigilanza speciale e terminata la pena il 12 maggio si recò nuovamente in Austria, ma fu un altra volta mandato a Venezia, il 26 novembre 1909 venne condannato a 46 giorni di reclusione per contravvenzione al monito.

Fu internato nuovamente nel carcere di Treviso il 17 febbraio 1910. Il 2 maggio usci dal carcere, in cerca di lavoro, venne a Venezia dove il 14 entrò come manovale presso la Società Anonima Cementi e Calce e vi rimase fino al fatidico mattino del 21 maggio, il giorno del delitto. 

 

Quando inizia il processo, la prima domanda che ci si pone è se simulava uno stato di anormalità psichica e di infermità mentale o se fosse veramente pazzo. I due periti scelti avevano un bel quesito da sciogliere. Dal momento dell’arresto, infatti, continuava a sostenere moventi assurdi per quell’omicidio: prima disse che lo aveva ucciso perchè il molino non doveva diventare americano, poi perchè lo Stucky aveva chiuso i postriboli, infine, in una seduta a New York, fu decretato di uccidere tutti i milionari e lui sarebbe stato designato come esecutore materiale. L’avvocato della difesa chiese il rinvio ad altra assise ma venne respinto dalla Cassazione.

 

Durante il processo si venne a sapere che quella mattina l’assassino aveva pranzato presso suo zio Marchetto, oste a Santa Barnaba. Poi decise di andare a vedere i foresti alla stazione dei treni. Mentre aspettava di incontrare qualcuno magari per un lavoro nuovo vide lo Stucky e disse che voleva solo parlargli. Eppure alcuni mesi prima all’opificio avevano ricevuto anche una lettera nella quale il Bruniera scriveva ”Son ritornato le domando di essere ammesso come capo generale nel suo stabilimento” e chiudeva con la frase “piede destro, piede sinistro”. Ma quella lettera non aveva sortito alcun effetto, il figlio dirà che non pensava potesse essere una minaccia. Certamente c’erano stati dei precedenti. Alcuni anni prima era stato licenziato da loro per mancanza di lavoro ma il Bruniera li considerava colpevoli del licenziamento, secondo lui a causa di un presunto incidente sul lavoro. Loro gli risposero che l’assicurazione non riconosceva l’infortunio, ma che se pensava di aver ragione andasse da un avvocato. Lui presentò il ricorso ma non ebbe successo. Un giorno mentre scendevano dalla gondola il Brugnera gli urlò “Pagate i nostri diritti, altrimenti andrò al ponte della paglia! (in carcere)”. Venne denunciato per minacce e condannato. Poi scomparve. Secondo il capo carceri di Treviso, l’accusato si dimostrò fin da subito ribelle, compiva atti osceni davanti ai compagni e istigava alla violenza, cantando il ritornello che più o meno faceva “Viva Stucky e la vendetta di Bruniera”.

Venerdi 16 dicembre iniziò la terza e ultima udienza. Il pubblico era numeroso in Erberia e in Campo della Bella Vienna, era stato chiamato anche una compagnia del 55.o fanteria a supporto dei carabinieri per l’ordine pubblico. Alle 9:55 i giurati si ritirano e rientrano venti minuti dopo. Il Bruniera era nella gabbia calmo, affiancato da due carabinieri dietro e due davanti. Il suo difensore, l’avvocato Casellati, lo aveva già avvisato che doveva aspettarsi l’ergastolo. L’ex operaio volle dire qualcosa alla corte e il presidente gli diede parola: “voglio dire che a 32 anni il 30 maggio mi fu fatto il processo per l’omicidio di Stucky e fui condannato a quattro mesi e venti giorni, se non uccidevo sarei stato ucciso” chiuse dicendo “Il Presidente dell’America, i Sovrani d’Europa hanno approvato la sentenza…”. 

Alle 10:40 il Presidente legge la sentenza con la quale si condanna alla pena dell’ergastolo, lavori forzati a vita, interdetto legale e interdizione perpetua dai pubblici uffici.

L’assassino dello Stucky uscì dal tribunale scortato mentre la gente gli urlava alla forca, a morte…salì sulla barca verde dei detenuti e si avviò verso il Ponte della Paglia.

Non si pentirà mai del delitto e non vorrà mai spiegare il vero motivo del suo insano gesto. Il giorno dell’omicidio Stucky fu il giorno successivo al famoso processo a Naumow e alla contessa Tarnowsky, per un altro grave assassinio avvenuto a Venezia, ma questa è un’altra storia. 

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