Verona 1900. Il macabro caso della donna tagliata a pezzi

 

VENEZIA – La mattina del 16 gennaio 1900 due lavandaie si trovano sulla riva sottostante il muraglione in via Rivo Battello. Menapace Maria e Perusi Luigia si conoscono bene, anche se la prima abita in vicolo Sole al numero 1, mentre la seconda risiede al numero 1 di vicolo Castel Rotto.

Come tutte le mattine sono li per lavare i loro panni quando notano un sacco che emerge dal fiume. Incuriosite, e forse speranzose che ci fosse dentro qualcosa, dopo alcuni sforzi riescono a portarlo a riva. Mentre sono indaffarate a trascinare il pesante sacco, un anziano le osserva dalla strada. Si avvicina e sentenzia che secondo lui era meglio lasciar perdere, doveva essere un sacco gettato dai contrabbandieri. Le due donne però già sognano il guadagno e cosi lo aprono. Ne estraggono alcuni pezzi di carne. Ecco, carne di contrabbando, pensano. Ma se molti di quei brandelli sono informi, uno è sicuramente identificabile: un seno di una donna. La questione cambia. L’orrore si espande dentro fino ad uscire in un urlo. Senza saperlo Maria e Luigia avevano dato avvio al caso più inquietante del secolo XX e che il giorno dopo i giornali definirono come il caso della donna tagliata a pezzi. 

Quella mattina arrivarono il giudice del Tribunale Lonati, il sostituto procuratore del Re avvocato Rocca, il cancelliere Pizzamiglio, l’ispettore di Polizia De Andrea, il vice brigadiere dei carabinieri della sezione del Duomo. Giunge anche il dottor Pisa, di Verona, il quale, togliendo qualsiasi dubbio, sempre che ce ne fossero, afferma che si tratta di un corpo di donna, di una età compresa tra i 20 e i 30 anni.

Il macabro conteggio era di sei frammenti, tra cui il seno, la parte del ventre, il fianco, un femore. Il tutto avvolto separatamente in vestiti: sottana, corsetto rotto, mutanda e il resto in un panno bianco.

Del corpo mancano totalmente la testa, le gambe e tutte le ossa tranne il femore. Il dottor Pisa  sostiene anche che il delitto dove essere recente, visto che il sangue è ancora fluido.

Si inizia cercando di capire prima di tutto dove era stato lasciato il sacco, alcuni ingegneri fecero delle prove e giunsero a conclusione che era stato lanciato a pochi metri dal ponte del Lung’Adige Panvinio. Le voci iniziano ad espandersi a macchia d’olio per la città di Verona, il giorno successivo un pescatore, tra il ponte Aleardi e il ponte della Ferrovia, recupera un altro involucro. Sciolto il nodo questa volta dentro c’è un conto di un oste per pane, vino, minestra e manzo, e un biglietto con su scritto calzoni per papà, calze, mussolina per flanelle, luna rossa. il tutto a sigillare quello che i medici identificano con  la natica destra e un pezzo di anca. Un altro frammento del puzle ma anche degli indizi.

Venerdì 19 gennaio iniziano le ricerche del resto del corpo lungo l’Adige. Vicino al ponte delle Navi viene rinvenuta parte di una mutanda macchiata di sangue, un brandello di stoffa e una parte di sacco. Tra ponte Garibaldi e Ponte Pietra uno straccio e una camicia da donna. 

Il giorno successivo il Governo mette una taglia, il prefetto della provincia di Verona, rende noto che il ministero dell’interno promette un premio di 2000 lire per chiunque entro un mese assicuri alla giustizia il colpevole. 

Nel mentre l’indagine continua, il dottor Bonuzzi deve ricostruire il corpo. Mitomani e false piste non si contano più. Ogni giorno qualcuno invia qualche lettera o sparge la voce di dove si trovi la testa, elemento essenziale per riconoscerne l’identità. Il dottor Bonuzzi sostiene che doveva essere madre da poco o in procinto di partorire. Si ipotizza che l’assassino o gli assassini siano freddi e calcolatori, vista la precisa scelta di sezionare il corpo al fine di renderne l’identificazione poco probabile o impossibile. Si pensa anche che se il sacco era stato deposto sulla riva del fiume e il delitto aveva poche ore, il tutto doveva essere avvenuto in città. 

Continuano a emergere ipotesi ma anche prove: venne pescato da un sabbionaio, certo De Stefani, altra stoffa che combaciava con quelli che avvolgevano i resti della donna. Sotto un mulino in via Sottoriva, si trovano gli intestini e l’utero dell’assassinata. Tutti seguono il caso, ma ancora nessun sospetto, il popolo invoca persino l’ipnotismo e l’uso di un medium per risolvere il mistero di chi sia la vittima.

La svolta arriva martedì 23 gennaio, il Gazzettino di Venezia intitola: “La donna tagliata a pezzi il mistero svelato, l’arresto del tenenete Trivulzio e di una levatrice”. 

Secondo la ricostruzione si chiama Isolina Canuti, figlia di Maria Spinelli e Felice Canuti, segretario della Curia Vescovile. La madre mori giovane e il padre dovette accudire i quattro figli: Isolina, Clelia, Alfredo e Viscardo. Le due figlie andarono all’ospizio delle pericolanti. Ma visto le continue malattie delle quali soffriva Isolina il padre le rivolle a casa, in Corso Cavour numero 25. Vivendo con un solo reddito dovevano subaffittare l’appartamento e c’era un certo via vai di ufficiali dell’esercito. Isolina, in particolare, oramai adulta, si era innamorata di uno di questi: Carlo Trivulzio di Udine, 24 anni. Rimase incinta. Le sorelle ricordano l’angoscia della notizia. Il giorno antecedente all’Epifania andò a cercare la sua amica Gisella e si recò in negozio di Dario Casalini, in capo alla Via Nuova, dove acquistò i calzoni di lire 15 con il bigliettino che si era ritrovato nel sacco. Il giorno dell’Epifania Isolina usci di casa alle due dopo pranzo e da quel momento non fece più ritorno. Quando si era sparsa la notizia del ritrovamento della donna a pezzi nel fiume, il padre ebbe un triste presentimento, ma fu Clelia, la sorella, a riconoscere i vestiti come quelli che indossava la sorella. 

Alle tre di notte i capitani Zurla e Cimetta si presentano in Corso Cavour 25 e arrestano il tenente per condurlo alle carceri degli Scalzi. Forti sospetti ci sono anche nei confronti di una amica intima della vittima: la levatrice Antonietta Andreoni Friedmann residente in Vicolo teatro Filarmonico numero 14, e si decide di arrestare anche lei.

Il Tenente del 6° alpini è il colpevole? Ma quale sarebbe stato il movente? Se il caso sembrava vicino alla risoluzione, in realtà non è proprio cosi. Isolina era incinta, secondo i periti, di sette mesi, ma aveva questa relazione sentimentale solo da novembre, ovvero da tre mesi. 

I periti hanno anche scoperto che gli intestini ritrovati risultano avvelenati. 

Da una perquisizione si trova il diario di Isolina con le annotazioni degli amanti: A, B il fidanzato C, troppi nomi per pensare che il colpevole potesse essere il tenente. 

Si continua nel mentre a cercare i resti mancanti del corpo, ma oramai son passati troppi giorni e le speranze sono vane. Qualche volta arriva un falso allarme come il giorno in cui viene trovato un pezzo di spalla impigliato in una catena dei moline Trezza, spalla che poi risulta essere di vitello. Gli interrogatori fanno qualche passo. La vittima che era rimasta incinta contro la sua volontà assumeva delle strane polveri per procurarsi l’aborto. Queste polveri potevano averla avvelenata? Chi gliela aveva fornite?  Se fosse cosi lo scenario poteva cambiare e quindi diventava fondamentale rintracciare tutte le persone coinvolte.

Grazie ad alcune rivelazioni della Friedmann, si arresta l’allevatrice Pare. 

Ma ancora una volta, ad ogni passo in avanti poi le prove diventano esili e anche la Pare viene rilasciata. Il primo febbraio i giornali già ipotizzano che anche questo caso sarebbe rimasto irrisolto come quello precedente della meretrice Baruffolo, uccisa con 45 colpi di arma da taglio nel 1896 e senza colpevoli. 

Il 7 dello stesso mese vengono scarcerati il tenente e la levatrice. Il 13 i periti depositano la perizia e giungono a conclusione che la morte è stata violenta e lo squartatore deve avere familiarità con corpi umani. Il tempo passa e muore una delle testi, la Poli che abitava in casa della Canuti e che anche lei aveva ricevuto le strane polveri. 

A metà mese si pensa di aver ritrovato la testa ma ancora una volta è la burla di tre ragazzini. 

Il 4 aprile arriva la doccia fredda, proscioglimento a favore del tenente Carlo Trivulzo, levatrice Antonietta Andrioni Friedmann, Gisella Donarchae e Paolo Graziani.

La storia ebbe un seguito con un processo ma contro l’onorevole Todeschini per diffamazione verso il tenente Trivulzo, ma questa è un’altra storia. A dicembre del 1902 ancora uscivano notizie sulle piste da seguire per ritrovare il teschio sepolto, un’infermiera sosteneva nei pressi del Teatro Ristori, ma ancora una volta non si trovò. Il mistero aleggia ancora a Verona sul caso della donna tagliata a pezzi. 

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