Venezia 1757: La Serenissima alle prese con un caso di infanticidio

VENEZIA – Quando il 6 maggio di quest’anno venne scagionata una donna a Desenzano, dalla gravissima accusa di infanticidio, fu possibile solo grazie all’autopsia che rilevò un aborto spontaneo.

Ma nella Venezia del Settecento, la scienza non era ancora progredita per poter scagionare una giovane madre da questo grave delitto e la Serenissima doveva usare i soli mezzi messi a disposizione per l’epoca, per non accusare un innocente.

Davanti all’avocato della magistratura, dentro una stanza dell’attuale Palazzo Ducale, vi era una giovane donna che si chiamava Lucietta Copo, figlia di Domenico. La Copo, abitava all’Angelo Raffael, nella corte dei Rossi e l’avvocato la stava interrogando su di un fatto gravissimo che era accaduto proprio nella sua corte. Alcuni giorni prima, sul sagrato della chiesa di San Sebastiano, era stato trovato il corpo di un bambino appena nato. La gente del posto mormorava che la madre fosse una ragazza di nome Francesca Pretegianni, residente anch’essa in Corte dei Rossi. Perché proprio lei? perché sabato quella donna era ancora incinta e poi la domenica la videro andare via da quella casa da sola. A questo punto Lucietta, che era la vicina di casa, poteva essere una testimone importante per capire quello che era successo. Di fatto, affermò di aver visto chiaramente la biancheria ad asciugare con delle macchie rosse, probabilmente di sangue. Non solo, giurò anche che Francesca non si vedeva da tre o quattro giorni, mentre la madre girava ancora per la corte e questo risultava quantomeno strano, non essendo mai accaduto prima. Dopo questa testimonianza l’avvocato fece uscire Lucietta e fece entrare Gasparina Celsi, un’altra vicina di casa. A lei viene chiesto se era vero che la gente mormorava che quel bambino era nato vivo. Lei rispose di si. Ma come potevano affermarlo? chiese l’avvocato. Lei questo non lo sapeva ma sapeva che quella Francesca, della quale si parlava, era nascosta in una casa a San Giobbe, vicino ad un palazzo di un ambasciatore. Grazie a questa dichiarazione, la sera del 22 marzo il capitano Pietro Malatini, su ordine espresso del Consiglio dei Dieci, arresta Francesca, residente a San Geremia agli Scalzi e la consegna ai Camerotti di Palazzo Ducale.

Il giorno stesso viene estratta dalle carceri e portata davanti all’avvocato. Una ragazza giovane di circa vent’anni era in piedi davanti ad un magistrato della Serenissima, sapendo di essere accusata di infanticidio, accusa che la poteva condannare a morte. La prima cosa che sostiene è che il figlio era nato morto. Lei quella sera di quindici giorni fa, si senti male, in casa c’era solo la madre e i fratelli, i quali, però, non sapevano che lei era incinta. Durante i primi dolori si spinse da sola verso la cucina e partorì restando in piedi, al centro della stanza. Si abbassò per raccogliere la creatura ma era completamente fredda e cosi si accorse che suo figlio era nato morto. Lo nascose in cucina. Il giorno dopo, non avendo soldi per comprare una cassetta e seppellirlo, decise di portarlo nel campo santo. Questo era tutto quello che aveva da dire. Il magistrato le chiese se la madre l’avesse aiutata, ma Francesca affermò che nessuno si accorse di nulla. Lei voleva portare il corpicino dell’infante all’Angelo Raffaele ma il muro del cimitero era troppo alto e non riusciva a scavalcarlo, cosi decise di lasciarlo sul sagrato a San Sebastiano, che non distava molto. Non c’era nessuno in giro e nessuno la vide.  

Una ricostruzione verosimile? per gli inquirenti no ed il 24 marzo ordinano che siano assunte le deposizioni di due ostetriche per capire alcuni punti. Nel fascicolo che oggi si trova in Archivio di Stato di Venezia, si desume che l’avvocato aveva tre dubbi. Il primo se Francesca fasciandosi strettamente la pancia con il vestito non avesse contribuito alla morte del bambino, il secondo se era possibile che avesse partorito in piedi e per ultimo se un bambino che nasce morto potesse essere già freddo o se invece mantenga il calore del corpo della madre.
Lo stesso giorno viene fatta estrarre nuovamente la ragazza. La prima domanda che le viene posta è il perché dopo aver scoperto il fanciullo morto non lo abbia portato subito al cimitero, lei rispose che prima aspettava di sapere dalla madre se i frati le davano una scatola per seppellirlo. Quindi la madre era al corrente ? su questo punto il magistrato non si sofferma e le chiede quanto distava la cucina dalla camera dove dormiva. Lei rispose che era nei pressi. Si era spostata al buio o con un lume ? Era andata al buio, a quel punto il magistrato sottolinea come fosse stato possibile che lei vedesse il bambino morto al buio ma lei rispose che lo senti freddo, non che lo vide morto.

Come mai non lo aveva battezzato?  Francesca con calma disse che in quel momento con i dolori non ci pensò affatto. Un ultimo punto da chiarire, forse il più importante, era il motivo di quella morte. La ragazza, sentendosi accusata, disse immediatamente che lei male non gli aveva fatto e proprio non sapeva cosa potesse essere successo. Le domande si fanno insistenti per comprendere se qualcuno sapesse qualcosa ma non avesse ancora parlato. Cosa fece sua madre il giorno dopo? e non si accorse della cucina sporca? La madre andò di mattina alla prima messa ai Carmini ed era ancora buio per potersi accorgere di qualcosa e quando tornò era già stato tutto pulito. Le chiesero allora una scaletta dell’orario degli avvenimenti. Alle cinque ebbe male, alle sette partorì e portò il bambino al cimitero di San Sebastian alle due del giorno dopo.
A quel punto Francesca viene condotta nel camerino dove le due ostetriche la ispezionano e controllano i vestiti.

Bortolamia Sodami e Cattarina Spidolina sono le due ostetriche e svolgono diligentemente il loro incarico. Alla fine la ragazza viene condotta di nuovo in cella. Le due signore vengono portare dal magistrato. Affermano con la vestina che la donna indossava e che era la medesima di quando portori, secondo quanto lei stessa disse, non poteva nuocere ad un bambino. Non solo era larga in vita ma non aveva balene, stecche o ferri che potessero far male alla creatura. Il magistrato chiede se un nascituro morto fosse freddo. Per Bortolamia sia i bambini nati vivi che quelli morti sono caldi, la differenza sta che gli ultimi si raffreddano molto più velocemente. C’era la possibilità che fosse morto durante il parto, ma anche in questo caso si sarebbe raffreddato lentamente. Poteva aver partorito in piedi ma con l’aiuto di qualcuno che la sorreggesse durante il travaglio, altrimenti per lei era impossibile. Infine, l’idea che Francesca avesse potuto da sola raccogliere il bambino da terra, per Bartolamia era impossibile a causa dei dolori alla schiena che sopraggiungono.
In quarantanni di esperienza non aveva mai sentito nessuna raccogliere da sola partorendo in piedi.

Cattarina discordava su quest’ultimo punto, secondo lei avrebbe potuto raccogliere il proprio nato se non avesse avuto dolori o accidenti.  Il magistrato è soddisfatto, la ricostruzione degli eventi non collima e quindi va valutata attentamente la possibilità che per negligenza o per volontà quella creatura fosse stata uccisa. Il 28 marzo viene interrogata Chiara Albrizzi moglie di Zuan Pelegrin abitava agli Scalzi in calle di Ca Priuli in contrada di San Geremia. Conosce l’imputata perché è la figlia di una sorella di sua madre. Un giorno la zia le chiese di tenere la cugina perché i fratelli la volevano ammazzare, non le disse il motivo e lei non lo chiese. Francesca restò fino a domenica quando alle otto di sera arrivarono i fanti ad arrestarla.
Chiara racconta che Francesca era rimasta incinta di un barcaiolo dopo aver fatto l’amore con lui tre volte e poi scomparve e lei non disse nulla a nessuno, per non guastarsi la reputazione. Afferma anche che la madre della ragazza poteva non aver visto il bambino perché la cucina era scura.

Passano alcuni mesi ed il 7 maggio viene interrogato un ufficiale di barca che abita a San Sebastiano dirimpetto al cimitero. Secondo l’interrogato, Francesca aveva già partorito una prima volta e mandato il bambino all’ospedale della Pietà. Altri quattro testimoni vengono interrogati ma nessuno aggiunge altro su quest’ultimo punto.
Il 9 maggio viene risentita un’ostetrica la quale afferma che i bambini che son già morti nell’utero escono con la testa floscia e molla e quindi non poteva essere questo il caso. Afferma anche che bisogna legargli l’ombelico altrimenti in poche ore muoiono e sembra che il corpicino non avesse l’ombelico legato. Il 13 maggio vengono risentiti tutti i testimoni per accertarsi che non avessero altro da aggiungere.
Il 14 maggio 1751 il Consiglio dei Quaranta al Criminal decide che Francesca arrestata il 22 marzo resti in prigione. Qui il fascicolo termina. Non ci sono altri indizi che ci possano far suggerire una scarcerazione ma nemmeno una condanna a morte. Per l’indagine svolta Francesca era stata negligente durante il parto, forse frettolosa per nascondere la propria situazione e le spese del suo comportamento furono completamente pagate dalla creatura nata. Per la Serenissima il caso era chiuso.

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