Venezia 1609. Il caso del ragazzo trucidato a San Francesco della Vigna

VENEZIA – Capire, oggi, le motivazioni di un omicidio può essere d’aiuto per una indagine investigativa.

Esistono, infatti, delitti in cui le situazioni contestuali e le dinamiche psicologiche portano l’omicida a programmare ogni atto del suo crimine. Viceversa, in alcuni delitti si evidenzia come, apparentemente, non c’è stata premeditazione ma solo una reazione immediata. Le moderne teorie della psicologia investigativa criminologica ci suggeriscono che, alla base di un comportamento omicida, vi è sempre una motivazione, più o meno futile: denaro, piacere sessuale, potere, vendetta, gelosia, invidia o puro odio. Se si può notare che in alcuni casi la ragione alla base della spinta omicida è
legata all’ottenimento di vantaggi concreti per l’autore, non si può non sottolineare come sempre per l’autore quella ragione è valida per uccidere.
Anche nel caso di Bernardino Trentin, avvenuto nella Venezia del Seicento, l’assassinio era convinto di agire per il meglio.

Venezia, 1609. Vincenzo Alvise di Cipro è un giovane di soli sedici anni. Di professione fa il servo per un importante mercante che abita in calle Lunga a Santa Maria Formosa (nel sestiere di Castello), tale Girolamo Corazzer. Il primo giugno è in casa del suo padrone, ma non è lì per i soliti servigi; il mercante, infatti, non è nemmeno in casa. C’è solo lui. L’idea di Vincenzo è quella di rubare quell’orologio che spesso aveva visto addosso al padrone. Non lo aveva mai fatto prima, ma ora quell’oggetto per lui vale molto, vale un biglietto di ritorno a Cipro, la sua patria, dove finalmente potrà iniziare una vita nuova applicandosi, con i soldi guadagnati, a qualche professione. Certo è molto giovane e non avrebbe mai pensato di agire così, ma per fortuna aveva incontrato Bernardino Trentin, bastaso in Barbaria delle Tole. Bernardino, che tutti chiamano “Cantarin”, è qualche mese che gli spiega cosa fare e come farlo, poi lo aiuterà lui stesso a tornare nella sua amata isola. Sogni, e purtroppo resteranno tali. La notte successiva al furto, Vincenzo porta l’orologio al “Cantarin”, il quale per ringraziarlo lo chiuderà in un magazzino nei pressi del monastero di San Francesco della Vigna, sempre nel sestiere di Castello. Non serviranno le urla e i pianti. Passano oltre venti giorni prima che l’aguzzino si decida a tirarlo fuori da lì. E’ la sera della domenica del 21 giugno, il Cantarin è chiaro, ordina al ragazzo di andare a svaligiare la casa di Marietta, ovvero la moglie del mercante. L’orologio non gli basta più, a casa del mercante sicuramente c’è altro e chi conosce meglio di tutti quella casa, se non Vincenzo? Questa volta, però, Vincenzo si rifiuta, forse intuendo che Bernardino non lo avrebbe mai lasciato libero. E’ a questo punto della storia che si svolge la tragedia. Il Cantarin getta a terra il ragazzo, e con un bastone lo colpisce una prima volta,violentemente alla testa, e successivamente, altre due volte, al corpo. Convinto di averlo ammazzato, con lucidità e freddezza lo spoglia e lo trascina in una fossa scavata di recente per la fabbrica di una casa nuova. Dovendo nascondere il corpo, ed avendo improvvisato, è costretto ad andare a cercare delle pietre o altro materiale per coprirlo. Il ragazzo, però, non è morto, con determinazione e con le ultime forze esce dalla buca e striscia fin sotto una catasta di legna, nel vano tentativo di nascondersi. Ma il destino non è benigno con quella povera vittima. Il Cantarin arriva giusto in tempo per vederlo nascondersi, ed estratto uno stillo, lo colpisce decine di volte in diverse parti del corpo. Solo grazie all’arrivo di alcune persone, insospettite dagli urli, l’assassino sarà costretto a fuggire. Per il ragazzo, però, non c’è più nulla da fare: Vincenzo Alvise di Cipro morirà poco dopo.

Il 26 giugno del 1609 il Consiglio dei Dieci emanerà il bando contro Bernardino; se fosse stato preso, gli sarebbe stata tagliata la mano più valida nel luogo del delitto, e successivamente sarebbe stato condotto tra le due colonne, dove il boia gli avrebbe tagliato la testa; a ricordo dell’atroce delitto, sarebbe stato squartato e i quarti inviati agli angoli della Serenissima. Ma tutto ciò non avvenne, perché di Bernardino Trentin si persero le tracce. Forse finì nell’isola che per tanto tempo fece sognare quel povero ragazzo, l’isola di Cipro.
Il suo fu un omicidio d’impulso, non programmato, un raptus; ciò nonostante, pensò subito ad un piano per occultare il cadavere e, se non ci fossero stati dei testimoni, probabilmente, ci sarebbe riuscito.

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