Se Travaglio smettesse di fare il censore…


ROMA – Marco Travaglio non perde occasione per farci la ramanzina. Noi che non abbiamo studiato come lui, che non scriviamo per il suo giornale, che non votiamo come lui, che non abbiamo amici così integerrimi come Beppe Grillo, che non capiamo la purezza e l’ingenuità degli attivisti e eletti del M5S, che cerchiamo di capire chi sia Casaleggio e che cerchiamo di capire quali siano i clienti e fornitori e partner della Casaleggio Associati, che ci facciamo domande su undici (11) società in Costarica fondate dalla cognata di Grillo e dal suo autista, che ci chiediamo per quale ragione il vicepresidente dell’Associazione Movimento Cinque Stelle sia il nipote di Grillo e il segretario sia il suo commercialista.

Già, noi che le domande le facciamo e ce le facciamo, abbiamo bisogno del suo periodico “pippone”, la lezioncina avanzata dal sermone del giovedì precedente. Noi siamo in malafede, ovviamente,pigri, non informati, settari. Noi. Lui no, lui sa, lui è il maestro di tutti noi. Metterlo in dubbio è lesa maestà davanti al più fulgido esempio di libera informazione e di corretto giornalismo.
Oggi Marco Travaglio ha superato se stesso. Ci ha fornito, sul giornale di cui è azionista e vicedirettore, “Il dizionario dell’inciucio” ripreso prontamente dal blog del suo vecchio amico Beppe. Inarrivabile esempio di equilibrio, quello offertoci nella sua ricostruzione della storia patria degli ultimi anni per darci la corretta interpretazione dell’orrido complotto ordito verso gli ingenui senatori M6S dal Pd e dal Pdl candidando Grasso alla presidenza del Senato. Leggiamo.

“Schifani è sempre piaciuto al Pd, che infatti 5 anni fa non gli candidò nessuno contro, votò scheda bianca e mandò la Finocchiaro a baciarlo sulla guancia. Quando poi il sottoscritto raccontò in tv chi è Schifani, i primi ad attaccarmi furono Finocchiaro, Violante, Gentiloni, il direttore di Rai3 Ruffini e Repubblica. Schifani era il pontiere dell’inciucio Pdl-Pd. Così come Grasso che, per evitare attacchi politici, s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini più scomode su mafia e politica, mentre altri pm pagavano e pagano prezzi indicibili per le loro indagini. Nessuno l’ha scritto, nei soffietti al nuovo presidente del Senato: ma Grasso, quando arrivò alla Procura di Palermo nel 2000, si ritrovò Schifani indagato per mafia e lo fece subito archiviare (l’indagine fu riaperta dopo la sua dipartita). Così, un colpo al cerchio e uno alla botte, divenne il cocco del Pdl (che lo impose alla Pna, estromettendo per legge Caselli), del Centro (che voleva candidarlo) e del Pd (che l’ha candidato)…”

Faccio una breve parentesi personale. Non ho un’alta considerazione di Grasso come procuratore a Palermo (dopo Caselli). Ma la lettura che da Travaglio di Grasso è quella di una specie di Carnevale (il giudice ammazzasentenze della Cassazione) o del discutibile e discusso procuratore Pietro Scaglione che prima di essere ucciso da Cosa nostra (non certo per la sua attività antimafia) si vantava dei suoi cassetti pieni di denunce e indagini mai approdate a processo. Che Grasso non sia un Carnevale o uno Scaglione Travaglio lo sa perfettamente. (e lo sapevano quei senatori dell’M5S). Ma ora Grasso, solo per essere un senatore dell’odiato Pd, è da attaccare oltre ogni limite, insinuando inciuci con personaggi discutibili del Pdl siciliano come Schifani o per un’antimafia troppo tiepida messa in atto per favorire Berlusconi.

Sorvoliamo sugli insulti al Pd ricordando  i numeri di quella maggioranza (mai viste quelle percentuali in Italia) che rendevano assolutamente autosufficiente il duo Pdl/Lega e che impedivano (e impedirono) ogni possibile altro risultato nell’elezione del presidente del Senato 5 anni fa. La ricostruzione che Travaglio fa di quell’episodio è una forzatura e una distorsione assolutamente indegna della sua validssima carriera.
Inoltre il suo sbraitare è anche di cattivissimo gusto. Lui è fondatore e azionista de Il Fatto quotidiano, ed è il vicedirettore di quel giornale. Inoltre è anche uno degli autori di punta di ChiareLettere, la casa editrice legata (ormai non è un mistero per nessuno) a Casaleggio Associati che ne cura la comunicazione. Fra l’altro Chiare Lettere è anche uno degli azionisti di peso (con oltre il 20%) de Il Fatto quotidiano di cui lo stesso Travaglio, ripeto, è socio, dirigente (vice direttore) e dipendente. La Casaleggio associati, come abbiamo visto collegata all’azionista “pesante” Chiare Lettere, è quella società fondata da Gianroberto Casaleggio, co-fondatore del M5S e che ne gestisce ogni forma di comunicazione interna e esterna dal blog di Grillo fino alle parole dei parlamentari eletti che ora sono sottoposte (compresi i capi gruppo Crimi e Lombardi) al controllo preventivo di due commissari inviati da Grillo e Casaleggio a Roma ieri.
Ecco poi la chiusura della deliziosa lezioncina dell’integerrimo paladino dell’unica verità pubblicabile.

“Gentili tromboni, potreste gentilmente mettervi d’accordo con voi stessi e poi farci sapere come stanno le cose, possibilmente chiamandole col loro nome?”

Gentile vicedirettore de Il Fatto, potrebbe dismettere la toga da censore in aspettativa (buon gusto imporrebbe “obligatoria”) e tornare sul pianeta terra prima di aprire la bocca? Fosse solo per buon gusto e per rispetto del lavoro che ha fatto e che ora sembra aver dimenticato.

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