Iniziativa di LibeRe. Stop al femminicidio: noi ci mettiamo la faccia

ROMA – “Dobbiamo essere noi uomini i primi ad alzare la voce e a metterci la faccia” ci  dice un determinato Ivan Scalfarotto (attualmente deputato del PD e da sempre in prima linea nella battaglia per i diritti civili) nel corso della conferenza stampa per la presentazione del Ddl contro il femminicidio, organizzata dall’associazione LibeRe e svoltasi oggi al Senato.

“Lo stesso discorso – continua – vale per noi omosessuali: ognuno di noi si deve fare carico dei problemi dell’altro, soprattutto quando non lo riguardano in prima persona”.
È così, lo diciamo da sempre e consideriamo il concetto di solidarietà uno dei valori fondanti della nostra associazione, fin dalla nascita in trincea contro ogni forma di prepotenza, sopruso e violazione dei diritti, a cominciare da quelli delle categorie più deboli e indifese.
Perché una società che non viva come una comunità solidale, in grado di confrontarsi anche aspramente ma di tendersi la mano nei momenti difficili, è una società fragile e povera.
Perché senza il rispetto reciproco e la capacità di accogliere e rispettare le idee dell’altro, la società si imbarbarisce sia sul piano culturale sia, come stiamo vedendo in questi anni, dal punto di vista economico e politico.

Una barbarie che ha raggiunto proporzioni allarmanti
E perché, infine, nulla è frutto del caso, tanto meno una barbarie come il femminicidio che oramai ha raggiunto proporzioni allarmanti e sulla quale si continua a glissare, come se il dramma riguardasse soltanto le donne, come se non fossimo noi uomini – come sostiene giustamente Scalfarotto – i primi a dover alzare la voce e a doverci fare carico di una simile emergenza, condannando senza reticenze non solo gli autori di questi ignobili gesti quanto, più che mai, i gesti in sé, indicativi di un tessuto sociale sfibrato e imbarbarito, retrogrado e incapace di accettare le ragioni del prossimo.
Difatti, come spiega Daniela Sbrollini, prima firmataria del Ddl alla Camera: “Nel nostro Paese c’è bisogno di superare il gap culturale che fa ancora percepire la donna non come soggetto autonomo ma come oggetto di violenza e di sopraffazione da parte dell’uomo. È quindi necessario mettere in campo azioni speciali che coinvolgano tutti: uomini e donne. Così come è importante garantire un fondo permanente per i centri antiviolenza che non sia sottoposto ai cambiamenti di governo”.
Perché è vero che occorre la certezza della pena, è vero che occorre una certa severità nel punire gli assassini, gli stupratori e tutti coloro che, mossi dalla gelosia, dalla rabbia, dalla mancata accettazione della conclusione di un rapporto d’amore o da qualsiasi altro motivo, perseguitano le donne, ma è altrettanto vero che la repressione da sola non basta e può rivelarsi addirittura controproducente.
Per porre fine a questa mattanza, occorre, al contrario, la Task force interministeriale proposta in questi giorni dalla ministra Idem e basata sull’azione congiunta tra governo, luoghi di formazione (innanzitutto la scuola ma non solo), forze di polizia, ASL, associazioni che da anni si occupano di questi temi e singoli comuni, al fine di far sentire meno sole le vittime di ogni forma di abuso e di violenza, inducendole a denunciare immediatamente l’accaduto e assistendole con costanza e sensibilità per prevenire eventuali ritorsioni nei loro confronti.

Presentato al Senato un disegno di legge
Molto interessanti, in tal senso, sono stati anche gli interventi di Francesca Puglisi, prima firmataria del Ddl al Senato, Anna Maria Serafini, presidente dell’associazione LibeRe, e Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, le quali si sono soffermate sulla necessità di istituire un osservatorio presso l’ISTAT per la raccolta dati, di ratificare immediatamente la Convenzione di Istanbul e di far funzionare al meglio il numero verde 1522, passando – come ha asserito la Serafini – “dalle parole ai fatti”.
In conclusione, cogliamo l’occasione per rivolgere un appello al governo Letta: non commetta l’errore, purtroppo già commesso dai governi succedutisi in questi anni, di pensare che i diritti vengano dopo le grandi emergenze perché è proprio l’assenza di diritti la vera, grande emergenza di questo Paese. Se siamo ridotti così, è proprio perché per troppo tempo, in troppi, abbiamo preferito occuparci delle “grandi questioni politiche”, quelle “urgenti”, “fondamentali” e “indispensabili”, rinviando la discussione e la conseguente approvazione delle norme sui diritti a momenti migliori che, continuando così, non arriveranno mai.
Per questo, a partire dalle  le riflessioni della Sbrollini e del tenente colonnello dell’Arma dei Carabinieri presente oggi alla conferenza,è necessario che l’esecutivo  trovi i fondi per porre rimedio a quest’insopportabile emergenza: perché è indegno di una grande Nazione occidentale piangere di fronte all’ennesima bara e tornare, subito dopo, ad ignorare la tragedia delle donne sfregiate con l’acido o costrette a subire abusi, intimidazioni e violenze d’ogni sorta. Ed è ancora più indegno quel giornalismo che rinuncia alla propria funzione etica e nobile di denuncia, salvo poi rifugiarsi nell’ipocrisia delle lacrime di coccodrillo.

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