Allarme infibulazione. In Italia un primato negativo, 20.000 casi

ROMA – È una notizia di cronaca a rilanciare l’allarme sulla pratica tribale dell’infibulazione, la mutilazione degli organi genitali femminili, considerata un rito di passaggio dall’età infantile a quella adulta, soprattutto nei paesi del Corno d’Africa come la Somalia, l’Uganda e la Nigeria.

I servizi sanitari di Norrköping, in Svezia, hanno rilevato, durante i colloqui periodici tenuti presso le scuole pubbliche, che circa 60 bambine e ragazze tra i 4 e i 14 anni hanno subito questa orrenda mutilazione. La notizia è accolta con sgomento dalle istituzioni che pensavano che il fenomeno fosse stato debellato: infatti fu proprio la Svezia ad essere uno tra i primi paesi europei a mettere al bando l’orribile usanza, penalizzandola con la reclusione dai 4 ai 10 anni, fin dal 1982. Tuttavia è fin dall’entrata in vigore della legge, che l’aberrante pratica viene effettuata al di fuori dello Stato, durante i periodi estivi, quando i migranti, figlie al seguito, tornano nel paese d’origine, dove vengono mutilati clitoride e piccole labbra. Ma la Svezia è solo la punta dell’iceberg, è l’Italia, ancora una volta, a portare il primato del numero di donne e bambine infibulate con circa 20.000 casi, nonostante la legge n.7/2006 che, dando attuazione all’art 32 Cost,, il quale sancisce l’inviolabilità del diritto alla salute, ha introdotto l’art. 583 bis del Codice Penale che punisce in modo specifico le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili con la reclusione da tre a sette anni. Nonostante le numerose campagne contro la MGF (mutilazione genitale femminile) condotte dall’OMS, il numero delle vittime di questa barbarie continua a crescere invece di diminuire. Perché?

La risposta è che tale pratica è erroneamente associata alla religione islamica che non impone però la mutilazione. Tuttavia, poiché l’arabo, usato per memorizzare il Corano, è per lo più sconosciuto, viene fatto credere che proprio sul libro sacro di Maometto sia prescritto questo rito. E ciò, associato al mito della purezza della verginità della donna contribuisce alla perpetrazione di tale pratica: una donna non infibulata è considerata impura e per questo non potrà trovar posto nella società né contrarre matrimonio, tale timore spinge le stesse bambine a richiederla : “A 10anni volevo operarmi come tutte le mie amiche. Mia madre non voleva che venissi infibulata, lei aveva sofferto tanto, ma io non capivo. Ogni giorno piangevo, mi rifiutavo di mangiare, mi ero barricata in casa, non volevo più parlare con nessuno, urlavo in continuazione: -Ti prego mamma fammela fare, voglio essere come tutte le altre mie amiche-. Mi sentivo male quando stavo in mezzo alle mie compagne di gioco. Mi prendevano in giro e mi insultavano”- questa la testimonianza di Fatima Mahamad Abdulleh, che ricorda come avvenne la sua mutilazione genitale completa che in Somalia chiamano gudniinka. 

Fatima oggi è cittadina italiana e racconta l’orrore di questa “operazione” rituale cui circa due milioni di bambine sono annualmente sottoposte e le sue tragiche implicazioni: oltre a perdere definitivamente ogni possibilità di provare piacere sessuale, si rischiano infezioni quali tetano, setticemia, provocate dall’uso di strumenti non idonei e spesso alle precarie condizioni igieniche in cui l’asportazione viene effettuata. Inoltre al momento del parto il nascituro è costretto a passare attraverso una massa di tessuto cicatrizzato e reso poco elastico a causa delle mutilazioni; in quel momento il feto non è più ossigenato dalla placenta ed il protrarsi della nascita, fase nella quale non giunge ossigeno al cervello, rischia di causare danni neurologici irreversibili alneonato. Per le infibulate è  poi frequente la rottura dell’utero durante il parto, con conseguente mortedella madre e del bambino. Ecco perché bisogna combattere su più fronti per porre un limite alla diffusione di questa barbara usanza, non solo attraverso la legge, ma anche e soprattutto attraverso campagne di sensibilizzazione e un’adeguata educazione sessuale da impartire nelle scuole stesse, perché è soprattutto a livello culturale che è necessario operare, laddove queste pratiche sono figlie di un retaggio tribale per cui la  pratica dell’infibulazione ha lo scopo di conservare la verginità e di trasformare l’amplesso in una tortura dolorosissima che gratifica il delirio di onnipotenza del maschio che schiavizza anche sessualmente la donna.  Altrimenti, come la cronaca dimostra, a nulla può servire una norma che può essere facilmente aggirata. È inaccettabile che nel secondo millennio noi donne siamo ancora vittime di una società dove la misoginia è ancora imperante nonostante secoli di lotte per l’emancipazione femminile: basti pensare agli stupri ormai giornalieri in India, alle circa 130 vittime di femminicidio in Italia ed anche a quelle piccole e talvolta velate offese di cui siamo bersaglio nel nostro quotidiano: gli spot maschilisti, la morbosa mercificazione del corpo, la violenza psicologica, tutte testimonianze della sopravvivenza della logica ancestrale della supremazia maschile radicata anche nella nostra cultura. Bisogna iniziare a ricercare una vera parificazione tra i sessi, che potrà portare poi all’effettiva tutela di diritti, quali quello alla salute ed all’integrità fisica, minacciati dalle pratiche di MGF, che non possono prescindere dal più importante principio sancito dalla nostra Costituzione come inviolabile nell’ art 3 2°comma: “l’Uguaglianza Sostanziale”. Un’ uguaglianza che con ogni mezzo deve essere assicurata dallo Stato che ha “il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la libertà ed il pieno sviluppo della persona umana”.

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