Alitalia. Dietro ogni posto di lavoro perso c’è una storia fatta di sangue e carne

ROMA – Appartengo a quelle 10.000 persone che nel 2008 sono state licenziate dalla vecchia compagnia di bandiera, un piccolo paese, di lavoratori e precari, uomini e donne, ma anche famiglie e speranze. Licenziati, senza nessun criterio oggettivo di legge, considerati come ” materiale umano ” da utilizzare secondo necessità, nella più grande privatizzazione della storia recente del nostro paese. Molti tra questi lavoratori erano genitori di disabili e madri sole. Cosi come i sindacalisti scomodi.


Sono state accertate le gravi responsabilità della ex dirigenza Alitalia, da Cimoli a Mengozzi, che per incapacità, speculazioni e interessi personali, hanno portato alla rovina la compagnia di bandiera. E il conto salato delle scelte scellerate di quella dirigenza l’hanno pagato i lavoratori .Cosi come per la stessa ammissione di Letta, fu proprio il salvataggio della società di Toto a causare il fallimento di Alitalia, nel silenzio generale.

Queste responsabilità sono continuate nella nuova dirigenza che dal 2008 non è stata capace di dimostrare altro che perdere più soldi di quello che ha fatto la precedente compagnia di Bandiera in trent’anni di storia. 

E sono le stesse che subiscono molti lavoratori di questo settore.  Da coloro che sono stati espulsi dal mondo del lavoro perché pensionabili e molti, soprattutto donne, non lo sono più, a coloro che sono stati lasciati a casa senza nessuna prospettiva perché discriminati. Ai precari, i nuovi schiavi invisibili. Solo chi ci è passato sa che cosa si provi ad alzarsi una mattina e perdere tutto.

Il lavoro, il futuro, l’identità.
Essere accompagnati alla porta, perché da quel momento non servi più all’azienda per cui hai lavorato per dieci venti, trent’anni.  Magari dopo anni come precario. Che cosa voglia dire essere un uomo o una donna di quaranta, cinquant’anni e avere la preoccupazione di non riuscire più a rientrare nel mondo del lavoro perché troppo giovani per andare in pensione, e troppo vecchi per trovare lavoro. E come si senta un padre di famiglia nel guardare il proprio figlio sapendo  di non essere più in grado di provvedere al suo futuro. Si è fatta molta critica sulle proteste di chi sta perdendo il lavoro o sugli ammortizzatori sociali che nel trasporto aereo sono considerati da privilegiati. 


Peccato che, molto spesso chi ci finisce entra in un purgatorio prima di essere definitivamente disoccupato. Mentre al posto di chi è in cassa o mobilità c’è un precario o uno sfruttato, semmai con contratto estero sottopagato. Quello che accade oggi in questo settore, dalle compagnie aeree, agli handlers, alle manutenzioni, alle attività commerciali, sia un sistema fatto di discriminazioni, abusi , indifferenza, in cui i lavoratori sono  lasciati soli, non solo dall’azienda, ma dalle istituzioni e da una parte del sindacato molto più impegnato a non disturbare il conduttore che farsi garante del sacrosanto diritto al lavoro.

E’ il risultato delle grandi privatizzazioni in cui a fronte degli interessi di pochi si sta minando la tenuta stessa della società. Sei anni fa il fallimento di Alitalia ha rappresentato una grande campagna elettorale insieme alla mondezza di Napoli. Oggi tutte le aziende di questo settore sono in una crisi di sistema senza precedenti. I fiumi di denaro speso per gli ammortizzatori sociali e il dispendio economico di risorse della collettività, sono una  bestemmia per la società stessa. Soprattutto, se pensiamo che molto spesso gli amministratori  delegati dopo aver fatto fallire le società, escono con premi da capogiro. Comprendiamo che le responsabilità sono molto lontane dai lavoratori.

Perché quei soldi della cassa integrazione si devono investire per dare occupazione. Perché dentro l’industria del trasporto aereo, gli aerei sono le fabbriche e noi vogliamo più fabbriche e più occupazione.

Da anni chiediamo al Governo la riforma del settore, i requisiti di sistema, regole valide per tutti gli operatori, controlli reali e efficaci contro gli abusi e l’utilizzo di tutti gli strumenti disponibili per rilanciare l’occupazione, a partire dall’istituzione dei bacini di personale da reimpiegare, a scapito di chi sta producendo solo precarietà ai danni di tutto il Paese. Vorremmo anche un piano in cui chi ci governa tuteli quegli interessi collettivi di cui spesso si riempie di parole . Non fosse altro perché per molti, troppi, il licenziamento rappresenta la fine di una storia lavorativa importante e l’angoscia di non trovare più un posto nella società.

Quella di questo settore è una storia, fatta di bad company e good company , di  salvataggi di banche e distruzioni di migliaia di posti di lavoro.   La storia di aziende, che erano e sono le persone che ne portano l’immagine nel mondo. Una storia fatta, di ricordi e di passione, ma anche di dolore, personale e collettivo. E’ giusto raccontare questi anni bui perché, la memoria ci restituisca la dignità perchè dietro ogni posto di lavoro c’è sangue e carne.

E’ urgente rimboccarsi le maniche perché quello che è accaduto a migliaia di persone non deve accadere mai più.

 

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