Jobs Act e articolo 18. Il giovane re resterà nudo

 

ROMA – La favola che ci vogliono continuare a raccontare, anche a colpi di manganelli sulle teste di lavoratori di Terni che difendono solo il loro posto, per coprire un restaurazione nei rapporti di lavoro tra padrone e lavoratore paragonabili a quelli dei signori delle ferriere, comincia giorno dopo giorno a sgretolarsi ed il giovane re resterà nudo.

Non è vero che in Italia non esistono i licenziamenti per colpa del totem ideologico dell’art. 18. E’ vero invece il contrario: in Italia si licenzia moltissimo e negli ultimi tre anni sono almeno tre milioni i lavoratori spazzati via tra licenziamenti collettivi per chiusura stabilimenti, presunte ristrutturazioni aziendali ed esuberi, vedi ad esempio la macelleria sociale che da anni si abbatte sulla pelle dei lavoratori dell’Alitalia e del suo indotto. Ma chi la fa da padrone, in questa eliminazione costante dei lavoratori, è il licenziamento individuale, quello per giustificato motivo oggettivo, quello che isola facilmente il lavoratore e che troppo spesso non viene controllato dal giudice. Mentre la percentuale di licenziamenti per motivi soggettivi del lavoratore (rubava in azienda, non rispetta i suoi obblighi contrattuali, si da malato ripetutamente, etc.) sono una percentuale irrisoria: appena il 3 % di tutti gli spazzati via dal ciclo produttivo. A dirlo non è l’ultima cellula sovietica, infiltratasi da qualche parte a rubacchiare dati, ma il Sistema permanente di monitoraggio della Riforma del mercato del lavoro del Ministero del Lavoro! A cosa serve, quindi, tutta questa cagnara contro e per abolire l’articolo 18?  Posto che con il Disegno di legge delega, con il Jobs Act, si arriverebbe a sterilizzare nei primi tre anni di vita lavorativa l’art. 18 in tutti i rapporti di lavoro, sia per un giovane che per un vecchio, lasciando le tutele crescenti alla scommessa di essere prima o poi stabilizzato dal datore di lavoro. Datore di lavoro che vedrà ulteriormente arrivare forti sgravi contributivi, per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, per un periodo massimo di ben 36 mesi. Ma che non sarà di certo obbligato a farlo con questo testo all’esame alla Camera dei Deputati. E nulla prevede per vincolare almeno gli sgravi contributivi, fin 8.060 euro su base annua, alla continuità del rapporto di lavoro dopo i 36 mesi stessi.

 

Condividi sui social

Articoli correlati