Per un buon presidente. Cominciamo a discutere

ROMA – La scelta del nuovo Presidente della Repubblica è una questione di nomi solo se essi sono legati alla rappresentanza dell’unità della nazione, alla tutela della Costituzione e all’onorabilità dell’Italia in Europa e nel mondo.

Non possono valere criteri come la notorietà e la capacità di aggregare voti fin dalle prime votazioni, a prescindere. La velocità dell’elezione a discapito della qualità è solo pericolosa. I nomi, quindi, sono importanti ma debbono rispecchiare nella persona eletta i valori e le aspettative degli italiani.

La discussione attuale, purtroppo, è priva di questa elementare considerazione. Si assiste ad un gioco preliminare tattico che seppur necessario non deve però mai offuscare il merito valoriale e politico della scelta stessa. Sarebbe pertanto opportuno cominciare a discutere di quali valori l’Italia dovrà garantirsi e rappresentare nella figura del nuovo Presidente. Le donne e gli uomini, le forze politiche che sono chiamate ad eleggere il nuovo capo dello Stato farebbero un gravissimo errore se pensassero solamente alle dinamiche dei livelli istituzionali separandoli dal sentire comune. Gli italiani si aspettano una scelta chiara: continuare con le logiche politiche del recente passato fatte di compromissioni con condannati, di commistione immorale tra interessi privati e cosa pubblica, oppure rappresentare la politica degli onesti e degli interessi comuni? Si sceglie l’Italia che cerca di trovare vie d’uscita alla mancanza di lavoro lungo la via della giustizia e della qualità sociale e ambientale del modello economico oppure quella della continuità con il parassitismo e il rigorismo delle destre europee? Si sceglie ancora il monopolio maschile, magari con personalità improvvisate?

Dal paese arriva la richiesta di rappresentare l’Italia democratica e perbene, del lavoro e delle migliori risorse. Ciò è evidente se si hanno in considerazione i dati sull’astensionismo, sulla nascita di nuovi partiti e quelli sulla mobilitazione sociale del mondo del lavoro per l’occupazione e i diritti sociali e civili. Lo stesso governo Renzi, pur essendo di emergenza e zavorrato a destra, segnala l’esigenza di cambiamento, basti pensare che quando ha approvato provvedimenti concreti e positivi sulle questioni sociali ha avuto un significativo consenso. La voglia e il bisogno di cambiamento lo abbiamo visto anche nei giorni passati, quando c’è stata la sollevazione della stragrande maggioranza degli italiani contro il decreto salva-Berlusconi che depenalizza le frodi e l’evasione fiscale premiando i ricchi. Renzi si è intestato la paternità del decreto e ha dichiarato di voler rimediare. Bene. Ha negato ogni accordo/scambio con Berlusconi in vista della elezione del nuovo Presidente della Repubblica ma ciò sembra poco credibile poiché è intenzionato a spostare tutta la questione a dopo l’elezione del capo dello Stato.

Molti altri esempi si possono elencare per evidenziare che c’è una forte spinta nel paese, e necessità, per cambiare nella direzione della pulizia morale, del lavoro, di una Europa amica e di una diversa qualità sociale e ambientale dello sviluppo.

Questa spinta è alimentata dai giovani e da una pluralità di forze sociali e culturali: essa va raccolta e fatta pesare nella scelta del nuovo Presidente, perché solo così sarà possibile ricostruire un rapporto positivo tra istituzioni e cittadini, oggi usurato, e recuperare vaste aree di sfiducia.

È intorno a questa richiesta di onestà, di fedeltà alla Costituzione, di difesa della libertà contro il terrorismo e il razzismo, di rilancio dell’europeismo in termini nuovi, di visione democratica del bipolarismo, che va costruita una nuova unità nazionale quale base necessaria per individuare il nuovo capo dello Stato. Non sono questioni parziali da maggioranza politica quanto interessi comuni a tutti. È urgente rappresentare il nuovo in quanto non è più possibile continuare a confondere l’unità nazionale con l’accordo con chi rappresenta il vecchio da cui l’Italia vuole e deve uscire. E per vecchio è chiaro che non s’intende un dato anagrafico ma un modo d’essere della politica quello della personalizzazione, dell’elettoralismo, del trasformismo e della subalternità ai poteri forti.

Il Pd di Renzi dovrà scegliere quale linea seguire: rappresentare la nuova unità nazionale o il vecchio compromesso con Berlusconi? Mentre le forze moderate e di destra, dentro e fuori Forza Italia, hanno tutto l’interesse a superare definitivamente la vecchia gabbia berlusconiana in quanto per loro sarebbe la condizione migliore per una riorganizzazione credibile del loro campo politico senza l’ipoteca razzista della Lega.

Sarebbe utile, poi, che il M5S scegliesse da che parte stare. Vuole esser protagonista e sostenere il nuovo che vuole cambiare oppure ritrarsi, essere contro tutto e tutti, come ha più volte fatto, rendendo sterile la sua forza e la voglia di cambiamento che essa rappresenta?

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