Corsi e ricorsi storici. L’ombra della dittatura

ROMA – Il momento che stiamo vivendo nel nostro paese presenta, ogni giorno di più, inquietanti analogie con gli anni che portarono al fascismo. Se alle origini del ventennio vi fu la crisi economica del primo dopoguerra, che divenne particolarmente virulenta dopo il 1921, oggi vi è la crisi sistemica, che ha investito l’economia mondiale dal 2007, a cui non poco hanno contribuito le catastrofiche missioni in Afganistan e Iraq.

E non basta: la libertà di stampa è sempre più limitata (nella classifica mondiale annuale, stilata da Reporter sans frontier nel 2014, siamo al 73esimo posto, tra la Moldavia e il Nicaragua). E non è che l’inizio, perché con il definanziamento del fondo per l’editoria, quest’anno chiuderanno 122 testate e perderanno lavoro almeno altri 3.000 giornalisti.

Con la legge sulla diffamazione, in cantiere, l’informazione sarà poi definitivamente imbavagliata; il potere contrattuale dei sindacati è ridotto ad una funzione simbolica; la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani, grazie anche ad un sistema fiscale iniquo; i diritti dei lavoratori sono stati cancellati con il job act, in nome di una ripresa dell’occupazione che è di là dal venire.

Ma le analogie non finiscono qui, abbiamo un governo guidato da un premier che non è mai stato eletto, ai cui ordini sono le istituzioni parlamentari, che non hanno più alcun potere decisionale continuamente ricattate, come sono, dal voto di fiducia. Le decisioni vengono realmente assunte nella direzione del partito di maggioranza di cui fanno parte molti non eletti: un po’ come avvenne con il Gran Consiglio del fascismo, che da organo di partito divenne organo di governo.

Vengono varate “riforme” che ricordano le leggi speciali.

Infine, con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, i gruppi del grande capitalismo finanziario e industriale possono facilmente porre al proprio servizio i partiti di governo.

Ora, poi, abbiamo persino una riedizione, un po’ attenuata, ma gli effetti sono i medesimi, della famigerata legge Acerbo, del 1924, che alle elezioni politiche assegnava al listone che superava il 25% dei consensi i 2/3 dei seggi in Parlamento, ciò significava l’elezione in blocco di tutti i candidati della lista.

Quella legge prevedeva sì fino a tre voti di preferenza, ma con il collegio unico nazionale praticamente tutti i candidati del partito che superava il 25% venivano eletti. In sostanza, si trattava di un sistema maggioritario plurinominale, all’interno di un collegio unico nazionale.

Nel caso dell’Italicum, legge definitivamente approvata ieri a suon di voti di fiducia, i capilista – che si possono presentare contemporaneamente in 10 dei 100 collegi elettorali plurinominali previsti, distribuiti in 20 circoscrizioni coincidenti con le regioni – saranno nuovamente dei nominati, mentre per gli altri eletti varranno le preferenze.

Con il premio di maggioranza, la lista vincente, che supera il 40%, o che in caso contrario vince il ballottaggio, si aggiudica 340 seggi su 617 (dal calcolo verrebbero esclusi Val d’Aosta e province di Trento e Bolzano dove i collegi resteranno uninominali) ossia, il 55% del totale della Camera dei Deputati.

Pari opportunità, agibilità nelle operazioni di voto e abbassamento della soglia di sbarramento (peraltro vitale per l’Ncd) sono solo le foglie di fico per nascondere una legge antidemocratica.

Sarà, infatti, possibile indicare due nomi sulla scheda elettorale, purché di genere diverso. Nelle liste i candidati dovranno essere presentati  in ordine alternato per sesso e i capolista dello stesso sesso non potranno essere più del 60 per cento del totale in ogni circoscrizione.

I cittadini temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di studio, lavoro o cure mediche potranno votare per corrispondenza nella circoscrizione Estero.

La soglia di sbarramento è al 3% per tutti i partiti ed è esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione, ma questo non esclude certo accordi sottobanco.

Con l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista vincente, paradossalmente, con il 20% al primo turno e la vittoria al ballottaggio, si potrebbe avere il 55% dei seggi. Ma v’è di più, di fatto, andando il premio alla lista e non alla coalizione si avranno governi monocolore e, considerate le “riforme”costituzionali in itinere, si approderebbe al premierato.

Insomma, un leader con solo il 20% di consensi potrebbe fare e disfare a suo piacimento.

Persino porre la questione di fiducia è un brutto ricorso storico. È successo solo due volte per una legge elettorale. Con la legge Acerbo nel 1924 e con la legge “truffa” nel 1953 (che attribuiva il 65% dei seggi alla lista che superava il 50,1%) ma che rimase inattuata perché nessun partito raggiunse tale percentuale e, subito dopo, venne abrogata.

L’Italicum entrerà in vigore a partire dal luglio del 2016 (data in cui il governo pensa possa essere efficace la riforma del Titolo V della Costituzione, con la trasformazione del Senato in organo non più elettivo), quando ormai saremo sull’autostrada che ci condurrà verso un premierato di stampo autoritario.

Ciò che lascia basiti è che tutto ciò sta avvenendo nell’indifferenza, se non nell’insipienza dei più. Sarà che la maggioranza degli italiani, nonostante le proprietà miracolose degli 80 euro “devoluti” dal governo, è ormai stremata dai problemi economici. Sarà che alcuni hanno molto da guadagnare (e arricchirsi ancor più) da questo stato di cose. Taluni, addirittura, perché ravvisano nel premier il nuovo uomo della provvidenza, che a tutti darà lavoro e benessere.

Fatto sta, che il treno Renzi corre sempre più velocemente ad abbattere le libertà democratiche, i diritti costituzionalmente garantiti, per condurci verso un radioso futuro in cui avremo un uomo solo al comando, in una sorta di monarchia repubblicana.

Non è difficile capire quali saranno gli altri ostacoli (leggi, diritti e libertà) da abbattere nei prossimi anni, considerate anche le posizioni prevalenti su questi temi in Europa e quale sarà l’approdo dell’Italia: un paese che, cestinata la Costituzione repubblicana e svenduti i beni comuni, sarà totalmente asservito agli interessi dei poteri forti della finanza, del capitale e dei grand commis.

Ma chi ci stupisce ogni giorno di più, chi domani avrà le più gravi responsabilità in merito alla deriva autoritaria in atto, è l’opposizione interna del Partito democratico.

Almeno i democristiani, quando non condividevano una proposta di legge, quando la ritenevano pericolosa o sbagliata, anche in caso di voto di fiducia erano capaci di far cadere pure le compagini di governo a guida Dc.

Un dato è certo: nonostante la sentenza n. 1/2014 della Consulta abbia dichiarato incostituzionale la legge elettorale Calderoli nella parte in cui attribuiva un premio di maggioranza e prevedeva l’abolizione delle preferenze, l’Italicum presenta ancora questi due elementi.

Chissà che fra qualche anno non ci sia un nuovo Alfredo Rocco, che nel 1928 introdusse un sistema elettorale con il quale si prevedeva semplicemente l’approvazione da parte del corpo elettorale di un’unica lista proposta dal Gran Consiglio. Solo nel caso in cui questa lista non avesse ottenuto disco verde, si sarebbero potute presentare altre liste. E magari, dopo qualche anno potremmo anche rivivere l’abolizione del sistema elettorale, la soppressione della Camera dei Deputati e il ripristino della Camera dei Fasci e delle corporazioni, di cui facevano parte coloro che rivestivano determinate cariche politico-amministrative in alcuni organi collegiali del regime e per la durata delle stesse. Ma no, qualcosa di simile l’avremo già con l’istituzione del nuovo Senato delle Regioni!

E dire che il 15 gennaio 2014 Matteo Renzi twittava: “Legge elettorale. Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato”. Ma era il medesimo Renzi che nello stesso periodo scriveva “Enrico stai sereno”.

E sappiamo tutti come è andata a finire.

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