La malattia: un diritto sempre più precario

ROMA – E’ ancora valido il principio per il quale, in caso di malattia, il lavoratore ha il diritto di assentarsi dal posto di lavoro e può godere di un trattamento economico adeguato? La risposta a questa domanda non è così semplice, visto il progressivo peggioramento dei diritti complessivi dei lavoratori e la giungla contrattuale che ne è la diretta conseguenza.

Questo principio, ad esempio, non è valido per tutti quelli che per lavorare sono costretti ad aprirsi una partita iva, per molte forme di lavoro precario, per i tanti lavoratori “a nero” e, sempre più spesso, il diritto alla retribuzione in caso di malattiaviene meno anche per molti lavoratori con un regolare contratto a tempo indeterminato.

Certo è che per chi subisce la precarietà, qualunque essa sia, ammalarsi è un lusso e una macchia sul futuro occupazionale. Ma per equiparare i “garantiti” al popolo dei precari, molti contratti prevedono, come uno degli indicatori per il raggiungimento del premio di risultato, il tasso di morbilità (numero dei casi di malattia registrati durante un periodo dato in rapporto al numero complessivo delle persone prese in esame). Insomma, un meccanismo che costringe ad andare al lavoro anche in caso di malattia, se non si vuol vedere decurtata una parte del salario accessorio.

Poi ci sono contratti che hanno reso “strutturale” questa emorragia salariale, come ad esempio il CCNL del commercio. Per i lavoratori del settore, questo pesante attacco vede un meccanismo progressivo: nei primi tre giorni di ogni malattia è previsto il pagamento al 100% solo per i primi due eventi morbosi dell’anno. Per il 3° evento l’azienda paga solo il 66%, per il 4° solo il 50% e dalla 5° malattia in poi zero retribuzione per tutti e tre i giorni (sono escluse solo le malattie superiori a 11 giorni). Il risultato, per molti lavoratori, è stato quello di dover essere costretti a lavorare anche se influenzati per non vedersi decurtare una parte del salario e trovarsi in difficoltà con il mutuo, le bollette o la spesa alimentare.

La malattia, oltre ad essere un diritto sempre più precario, è anche la fonte principale delle contestazioni disciplinari comminate dalle aziende ai lavoratori, visti i meccanismi farraginosi che nasconde. Le difficoltà, poi, aumentano per i lavoratori turnisti e per quelli che lavorano anche di sabato, di domenica e nei festivi. Le inefficienze del Servizio Sanitario Nazionale fanno il resto.

Insomma, per difendersi è necessario essere informati. Di seguito cercherò di fornire quante più notizie possibili su quel groviglio di leggi e regolamenti che normano la materia, in cui è difficile orientarsi ma dal quale non bisogna farsi spaventare. Dal punto di vista del diritto del lavoro, la malattia viene definita come uno stato di alterazione della salute che provoca un’assoluta o parziale incapacità di svolgere l’attività lavorativa.

In caso di malattia, il lavoratore è tutelato dalla legge e ha diritto alla conservazione del rapporto lavorativo. Il lavoratore ha diritto di assentarsi dal luogo di lavoro per un tempo definito (c.d. periodo di comporto), nel corso del quale non potrà esserelicenziato; al lavoratore è riconosciuto il diritto a percepire la retribuzione o un’indennità, nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme contrattuali o dal giudice secondo equità. In taluni casi l’onere della retribuzione è sostenuto totalmente dal datore di lavoro (malattia non indennizzata dall’INPS); mentre in altri l’indennità di malattia è erogata dall’INPS e può essere integrata o meno dal datore di lavoro.

Il lavoratore ammalato ha a suo carico una serie di adempimenti previsti per legge. In primo luogo, il lavoratore deve fornire tempestiva comunicazione della propria assenza per malattia al datore di lavoro. I singoli contratti collettivi nazionali stabiliscono con maggior precisione i tempi entro cui debba avvenire detta comunicazione.

  • In secondo luogo, il lavoratore deve sottoporsi ad un accertamento sanitario da parte del medico curante, generalmente già dal primo giorno di malattia. Il medicorilascerà apposita certificazione dell’evento morboso.
  • È fatto obbligo al lavoratore di fornire, qualora espressamente richiesto dal proprio datore di lavoro, il numero di protocollo identificativo del certificato di malattiacomunicatogli dal medico.

Se l’assenza dal lavoro supera i 10 giorni, la certificazione potrà essere rilasciata esclusivamente da un medico del Servizio Sanitario Nazionale (o con esso convenzionato). Il medico trasmette il certificato di diagnosi sull’inizio e sulla durata presunta della malattia per via telematica all’INPS, che a sua volta provvede a inoltrarlo al datore di lavoro.

Il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o il domicilio occasionale durante tutta la durata della malattia, comprese le domeniche e i giorni festivi, al fine di rendere possibile il controllo dello stato di malattia nell’ambito delle fasce di reperibilità stabilite dalla legge. Lo stato di malattia può essere verificato, su richiesta del datore di lavoro o dell’INPS, solo da apposite strutture sanitarie pubbliche (in particolare, dell’ASL ovvero della stessa INPS).

Nel caso in cui il lavoratore fosse assente ingiustificato alla prima visita di controllo,perderà il diritto al trattamento economico per i primi dieci giorni di malattia. L’assenza ingiustificata alla seconda visita di controllo comporta, invece, oltre alla sanzione precedente, anche la riduzione del 50% del trattamento economico spettante per il periodo successivo ai primi 10 giorni e sino alla conclusione del periodo di malattia. Da ultimo, una eventuale assenza alla terza visita di controllo, la corresponsione dell’indennità di malattia a carico dell’INPS viene interrotta.

La Riforma Fornero ha profondamente modificato la disciplina applicabile ailicenziamenti. La legge oggi prevede che qualora il datore di lavoro licenzi il lavoratore ammalato, in violazione dell’obbligo di conservazione del posto di lavoro durante il periodo di comporto, il giudice lo condannerà alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria, non superiore a dodici mensilità, in favore del dipendente. Per le aziende con un numero di dipendenti superiore ai 15, nulla è cambiato a seguito della Riforma Fornero: l’eventuale licenziamento intimato prima della scadenza delperiodo di comporto continuerà, pertanto, a considerarsi nullo per violazione della norma imperativa prevista dall’art. 2110 c.c.

 

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