Corbyn, il Labour e la sinistra europea

ROMA – Tony Blair ha fatto il possibile, l’impossibile e oltre per metterlo in cattiva luce, per farlo passare per un estremista, per additarlo agli occhi della base labourista e dell’opinione pubblica britannica come un personaggio pericoloso e perdente in partenza, portatore di idee sorpassate e anacronistiche, condannato all’oblio e da ostacolare in ogni modo nella sua corsa verso la leadership di quello che è stato per decenni uno dei partiti più importanti della sinistra europea: ha fatto di tutto e, per fortuna, gli è andata male.

Jeremy Corbyn, sessantasei anni, socialista, figlio di due volontari che si conobbero durante la Guerra civile spagnola, combattendo entrambi della parte dei repubblicani contro la barbarie falangista, è stato infatti eletto segretario del Labour con il 59,5 per cento dei consensi, a dimostrazione che se c’è un soggetto che non ha capito nulla della modernità e della fase storica che stiamo vivendo, questi è proprio Blair.

Blair: il peggior primo ministro inglese dell’ultimo mezzo secolo, più liberista e thatcheriano della Thatcher stessa, vassallo di Bush in ambito internazionale, guerrafondaio, retrogrado, privatizzatore incallito, nemico di ogni idea di socialità e di comunità, smantellatore dei valori tradizionali del suo partito e avversario irriducibile dei sindacati cui preferiva nettamente banchieri e finanzieri della City, questo personaggio che la storia ha già ampiamente bocciato e che nessuno, al netto dei suoi scudieri, rimpiange è stato finalmente mandato a casa, insieme ai suoi cedimenti, alla sua mendace idea di sinistra, alle sue politiche più aggressive di quelle della destra e ai suoi disastri che hanno trasformato la Gran Bretagna in uno dei paesi più diseguali al mondo.

Corbyn, che non è anagraficamente nuovo, siede in Parlamento dal 1983 e ha votato centinaia di volte in dissenso dal suo gruppo, ha vinto con ampio margine sui suoi risibili rivali per il semplice motivo che, a differenza loro, ha avuto il coraggio di pronunciare con convinzione parole come: pace, uguaglianza, solidarietà, rispetto, spesa pubblica, lotta alle discriminazioni e alle ingiustizie, socialismo, ossia tutti i capisaldi di una sinistra autentica che, a quanto pare, almeno oltremanica, sembra essersi stufata di nascondersi e di vergognarsi di se stessa.

Diciamo, forse, finalmente addio, oltre all’inqualificabile protagonista di quell’aberrazione storica che fu la Terza via, anche all’impalpabile Brown e al tentennante Miliband, leggermente meno colpevoli del disastro rispetto a Blair ma comunque incapaci di restituire alla sinistra una sua dignità e una sua ragione di esistere.

Prigionieri di un insulso centrismo, difatti, sia Brown che Miliband non si sono resi conto che la crisi mondiale provocata, fra gli altri, dagli amici e sostenitori del loro predecessore ha sconvolto per sempre gli equilibri globali, creando generazioni precarie e senza diritti, emarginando interi settori della società, trasformando milioni di persone in cittadini a metà, prive di un diritto di cittadinanza effettivo e partecipe, e consegnando un esercito di schiavi trattati alla stregua di robot nelle mani di un capitalismo predatorio e feroce, malvagio e interessato unicamente al proprio cinico arricchimento, a scapito della comunità e dei singoli paesi. In poche parole, il Labour finora ha perso perché, oltre ad aver governato a destra della destra, perseguendo una linea politica sbagliata e insostenibile, non ha mai avuto il coraggio di chiedere scusa per i propri errori, di cambiare rotta e di dotarsi di un pensiero della crisi nonché di un’analisi sociologica all’altezza, in grado di comprendere gli avvenuti mutamenti sociali e di rivolgere un minimo d’attenzione agli ultimi, agli esclusi, a milioni di giovani senza prospettive né certezze; insomma, a quel vasto blocco sociale un tempo di sinistra che spesso, negli ultimi anni, è stato tacciato dall’establishment europeo di essere populista, anti-politico e via insultando, solo perché ha deciso di non sostenere più i partiti sostenitori di un sistema che lo ha condannato all’emarginazione e alla perdita di quei diritti essenziali che distinguono il lavoro dal servaggio e rendono la vita degna di essere vissuta.
I vertici del Labour non l’hanno capito e, probabilmente, non lo capiranno mai; o se pure lo capiranno, si rifiuteranno di ammetterlo, per il semplice motivo che l’atto successivo dovrebbe essere il loro addio in blocco alla vita politica.

Migliaia di giovani, invece, non solo l’hanno capito ma hanno trovato finalmente il coraggio di ribellarsi in maniera pacifica e democratica, di mettersi in gioco e di farlo attraverso la politica, ossia seguendo la strada più nobile e costruttiva che esista.

E Corbyn, da loro individuato come modello e punto di riferimento, Corbyn, che come primo atto da segretario ha partecipato a una manifestazione a sostegno dei rifugiati per marcare chiaramente la sua diversità e il suo radicale ripudio delle politiche di Cameron e di questa Europa ostaggio di vecchi e nuovi fascismi, può adesso guardare al futuro e ricostruire quella grande forza di popolo di cui non solo la Gran Bretagna ma l’intera società europea avverte il bisogno.

Che sia solo l’inizio, mister Corbyn!

Condividi sui social

Articoli correlati