Il cinghiale oltre le emergenze

BOLOGNA – Si è concluso il 1 dicembre il workshop nazionale “Uno sguardo oltre l’emergenza cinghiale”. Organizzato dal gruppo grandi mammiferi dell’ATIt (Associazione Teriologica Italiana) presso la sede della Regione Emilia-Romagna, ha registrato una affluenza ben superiore alle aspettative degli organizzatori.

Concepito come uno spazio di riflessione e confronto al riparo da “pressioni sociali e mediatiche”, la giornata si è articolata in due sessioni: una dedicata allo status attuale delle conoscenze scientifiche e una al confronto tra esperti e portatori d’interesse sulla gestione dei popolamenti di cinghiale in Italia. Impossibile trattare in poco spazio gli aspetti e gli spunti di riflessione emersi. Tra queste la necessità di ridurre gli impatti economici, sociali ed ecologici (questi ultimi spesso non considerati), che il cinghiale si tira dietro in alte densità di popolazione.

Diversi sono stati i “miti sfatati” durante la giornata: i dati genetici mostrano che i cinghiali in Italia “solo in parte presentano genotipi” di provenienza europea; una forte pressione venatoria non è in grado da sola di risolvere i problemi generati dal cinghiale, anzi spesso e/o in determinate condizioni contribuisce ad accentuarli; il cinghiale non è una specie naturalmente incline ad attaccare l’uomo; le femmine “non” si riproducono due o tre volte l’anno; piuttosto, l’aumento del numero di individui, è dovuto alle femmine che entrano in riproduzione molto precocemente, già prima del compimento dell’anno di età; anche i cambiamenti climatici sembrerebbero giocare un ruolo indiretto sulla dinamica del cinghiale e non solo in Italia. A questo proposito vi rinviamo ad un link a fondo pagina appositamente predisposto dal gruppo grandi mammiferi ATIt che fornisce informazioni specifiche. Ma la notizia, che circolava da un po tra gli addetti ai lavori, è che i recenti indirizzi dell’UE non permetteranno più alle regioni di indennizzare i danni da cinghiale agli agricoltori. Gli indennizzi, secondo l’UE, rappresentano un forma di aiuto di statale non ammissibile, peraltro non previsto negli altri stati dell’unione. Elemento non di poco conto se si pensa che tutti gli studi indicano che dovremo continuare a convivere col problema. Secondo l’UE, saranno indennizzabili solo i danni da fauna selvatica “protetta ai sensi delle direttive europee” e solo quando i sistemi di prevenzione, precedentemente predisposti, abbiano dimostrato inefficacia. Sull’argomento, la rappresentate Coldiretti ha lamentato l’assenza di misure di incentivo per la prevenzione dei danni in agricoltura nei piani di sviluppo rurale. Strada certamente da perseguire anche se ci preme ricordare che le organizzazioni agricole, da anni, sono parte integrante dei tavoli di trattativa relativi ai fondi strutturali dell’UE. Ad ogni modo agricoltori, tecnici, ricercatori, ambientalisti e cacciatori sembrano tutti d’accordo sul fatto che l’attuale legge sulla caccia (157/92), sia strumentalmente insufficiente nella gestione del cinghiale e necessiti di modifiche. Allo stesso modo sono tutti d’accordo sulla necessità di superare l’approccio emergenziale e di inserire la gestione delle popolazioni di cinghiale nella ordinarietà degli interventi in una prospettiva di lungo termine. La proposta avanzata da Silvano Toso (ex responsabile dell’Istituto Nazionale Fauna Selvatica ora ISPRA) di introdurre la figura del “cacciatore professionista” sicuramente solleverà qualche perplessità, ma certo è uno dei segnali della necessità di non dover più considerare le problematiche legate alle alte densità di cinghiale solo come una questione venatoria, perché di per se non lo sono o lo solo in parte. Nessuno auspica la scomparsa del cinghiale per la funzione che svolge nei sistemi naturali; un esempio, non il solo, banale e facilmente comprensibile ai più, potrebbe essere il ruolo svolto dal cinghiale nella conservazione del lupo. Da qui la necessità di affrontare, anche in Italia, i problemi indotti dalla specie da circa un quarto di secolo (!) in modo scientifico e tecnicamente corretto; ma per ottenere questo crediamo che sarebbe più utile iniziare, anche se in ritardo, a pensare una normativa specifica sulle specie problematiche e (aggiungiamo) aliene ai sensi del Regolamento UE 1143/2014. L’attuale legge sulla caccia, pensata per un’attività “tradizionale / ludico-sportiva”, difficilmente a nostro avviso potrebbe contenere tutti gli standard tecnici, le figure, le professionalità e i meccanismi di controllo richiesti, per un’attività dimostratasi nei fatti così critica. Attività che investe aspetti sociali, economici e di conservazione della natura che inevitabilmente finiscono per colpire opinioni e sensibilità molto diverse tra loro. Link: http://biocenosi.dipbsf.uninsubria.it/atit/FAQ/cinghiale.html

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