Pippa Bacca a Rebibbia: i detenuti la raccontano

Hanno letto il libro “Sono innamorata di Pippa Bacca chiedimi perché”, hanno scelto i brani che preferivano, li hanno letti in pubblico. Giornata speciale per i detenuti della casa penintenziaria romana che hanno accettato di confrontarsi con l’arte e la vita dell’artista uccisa del 2008

Rebibbia, la presentazione del libro “Sono innamorata di Pippa Bacca, Chiedimi perchè” 

ROMA -Una storia incredibile, ma assolutamente vera. Ma questa volta non è la storia di Pippa Bacca, artista milanese violentata e uccisa nel 2008 durante il suo Brides on tour, performance che la vedeva attraversare vestita da sposa in autostop i paesi europei teatri di guerra, proprio come racconta il libro di Giulia Morello “Sono innamorata di Pippa Bacca, chiedimi perché”.

La storia incredibile, ma assolutamente vera, riguarda questa volta i detenuti di Rebibbia che, hanno scelto di farsi guidare dalle parole di Giulia Morello alla scoperta dell’artista scomparsa, del suo mondo, della sua arte, trasformando quelle ore dedicate alla lettura del libro in uno spunto di riflessione acuto e profondo, doloroso ma al tempo stesso sorridente e pieno di speranza.

Sono loro, i sedici “abitanti” di Rebibbia, i protagonisti della sorprendente presentazione del libro della Morello che si è svolta questa mattina nella casa di reclusione romana che, come un fortino, domina la Tiburtina. Quartiere brutto, edificio brutto. Eppure dentro c’era un giardino pieno di fiori.

«Avrei voluto che non finisse mai» ha esordito Sergio, il primo a parlare fra molte incertezze e una voce un po’ incrinata dal disagio dettato dell’inusuale situazione. E non credo che Giulia Morello abbia mai sentito un commento più bello, sul suo libro.

C’è una sensazione strana nell’aria, mentre i detenuti si alzano, uno ad uno, e si avviano al banco degli oratori “istituzionali” (Rosalia Pasqualina di Marineo, la sorella di Pippa Bacca, la consigliera regionale Marta Bonafoni, il presidente di MetaMorfosi Pietro Folena, la giornalista Mimosa Martini e ovviamente, Giulia Morello). Ognuno ha in mano un foglietto (verde, come il colore preferito da Pippa Bacca) su cui ha scritto le sue impressioni e il brano del libro che vuole leggere pubblicamente. Le scelte sono state personali, dettate un po’ dalla biografia di ognuno, un po’ dal piacere della lettura.

Però Giovanni rompe il muro delle emozioni quando dice: «Questo libro mi ha insegnato l’ingenuità, la bellezza, la speranza del viaggio. Non dobbiamo mai smettere di conoscere le persone che sembrano diverse da noi». Fa sorridere un po’ tutti Patrizio che invece confessa di aver scelto il brano da leggere perché lo divertiva come Giulia Morello aveva riportato l’eterna rivalità tra Roma, la sua città, e Milano, la città di Pippa. E fa molto riflettere Alberto che invece, tra tutti i personaggi del libro, ne ha scelto uno particolarmente significativo: Diego. Quel Diego che sin dall’inizio del tour che Pippa si accinge a fare fra i paesi dei Balcani sconvolti dalla guerra appena finita, verso Istanbul e poi Gerusalemme, inizia sin da subito ad attaccarla pesantemente, fino a quando, quando la violenza viene perpetrata fino all’omicidio, arriva ad accusarla di “essersela un po’ cercata”. Ribalta la situazione Giorgio, interessato soprattutto al talento artistico di Pippa, a quella sua «ultima performance messa in scena dalla sua stessa morte». Giuseppe arriva addirittura a ritrovare nel libro di Giulia Morello e nella vita di Pippa Bacca, il fascino della beat generation, di Jack Kerouac e del viaggio on the road. E Marco che trova il senso: «non se l’è cercata. Ha solo incontrato la persona sbagliata».

«Il libro fa una distinzione importate fra vivere ed esistere» conclude Marta Bonafoni. Ed è una riflessione importante. Per chi tutti i giorni si affanna a cercare il senso fra mille attività, ma anche per chi vive, temporaneamente, in un carcere. Ma forse la domanda più giusta è quella che, attraverso la sua arte, ci fa arrivare proprio Pippa Bacca, come giustamente sottolinea Pietro Folena nel suo intervento. «Tu cosa fai? Tu cosa sei capace di fare?». E a chiederlo, provocatoriamente, era una che aveva capito bene che arte e gesto, sono la stessa cosa.

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