Anna Marchesini e il suo sorriso amaro

Se era un sorriso, quello della grande Anna Marchesini era un sorriso amaro. Grandissima attrice comica e animatrice, insieme a Solenghi e Lopez, di un trio esilarante che ha attraversato gli anni Ottanta e i primi anni Novanta e lanciato personaggi destinati a passare alla storia, oltre che a far riflettere e a suscitare una miriade di polemiche, la sua non era un’ironia pecoreccia e destinata a perdersi in un fiume di risate grasse, nell’insulso flusso delle battute commerciali e nell’allegria da caserma oggi tanto in voga. 

Quando, per dire, si permise di irridere, a Fantastico, l’ayatollah Khomeini, il clamore fu tale che si verificò un’autentica crisi diplomatica con la teocrazia iraniana, a dimostrazione che l’attrice orvietana aveva colto pienamente nel segno, mettendo in risalto l’arretratezza e l’insostenibilità di quella dittatura, evidenziandone le contraddizioni e rendendo un servizio alla satira e alla sua ragione di esistere.

Urticante ma mai offensiva, graffiante e senza peli sulla lingua quando si trattava di fustigare, ridendo, i vizi del nostro modo di essere fondamentalmente ipocrita, straordinaria nella parodia de “I promessi sposi”, con un successo di pubblico che superò ampiamente i dieci milioni di spettatori a puntata, dimostrando che non solo la qualità premia ma che è anche assai apprezzata dal pubblico, desideroso di conoscere divertendosi, di apprendere senza annoiarsi, di scoprire, comprendere e volare con la fantasia, condendo il tutto con un po’ di sana e costruttiva spensieratezza.

E Anna Marchesini questo è stata: una castigatrice dei consumi senza moralismo, una donna capace di compiere denunce fortissime senza mai prendersi troppo sul serio, una coscienza critica che guardava lontano, una lottatrice disillusa ma, al tempo stesso, indomita, una profonda conoscitrice dell’animo umano, in grado di mettere in risalto un disincanto che non degenerava mai nel nichilismo.

Perché in fondo in lei tutto era comico, persino la tragedia, e questo accostamento fra i due registri conviveva a meraviglia, come capita solo alle persone veramente poliedriche, veramente innamorate della vita, capaci di coglierne tutte le sfaccettature e di accettarne il lato drammatico senza eccessivi patemi d’animo, vivendo con filosofia persino il proprio declino, la propria decadenza e la propria fine, avvenuta troppo presto, a soli sessantadue anni, quando chissà quanti altri sogni e quante altre idee da sviluppare aveva in mente, lei che era un vulcano pressoché inesauribile di genialità e buon gusto. 

“Sono così interessata, appiccicata, morbosamente ghiotta, obesa di vita che mi interessa pure la morte che della vita è il finale e non è detto” asseriva, come se fosse giusto andarsene così, in questo maledetto anno, cimitero dell’arte, della poesia e della bellezza.

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